Il 14 aprile la galleria Massimo De Carlo ha ufficialmente inaugurato la sua quinta sede, accogliendo ben 200 visitatori nei primi due minuti di apertura. La mostra prosegue fino al 30 aprile.
Un assembramento inimmaginabile di questi tempi, e avvenuto infatti solo virtualmente: The RobPruitt and John Armleder Show è infatti un’esibizione visibile dal sito con tecnologia real-time e – per i più “fortunati” – utilizzando gli Oculusquest. La mostra unisce i due artisti in un dialogo concettuale dal sapore pop: da una parte le astrazioni di Pruitt e la sua inclinazione per il design, dall’altra i le riflessioni colorate di Armleder, paralizzate e vivificate da una pioggia di lustrini. Il tono gioviale dell’esposizione sembra voler alleggerire questi tempi difficili, ma a incuriosire è soprattutto il contesto.
Quella che lo stesso De Carlo definisce “una galleria virtuale per arte reale” è uno spazio espositivo che andrà ad affiancarsi alle quattro gallerie già esistenti, ospitando mostre ogni due o tre settimane: prima e unica nel suo genere offre allo spettatore un’esperienza immersiva e fotorealistica, che mima in tutto e per tutto gli spazi di una normale galleria traendo spunto da quelli – reali – di De Carlo a Hong Kong.
Il progetto potrebbe sembrare una soluzione alla crisi attuale, ma non è certo nato nel giro di poche settimane: l’idea infatti, seppur profetica, nasce come risposta alla chiusura imposta alla sede asiatica dalle rivolte civili del 2019, e affonda le radici nella primavera dello scorso anno.
A differenza delle Viewing Rooms avviate da Zwirner e Pace – e ormai in costante aumento – quella di VSpace è una piattaforma che non si limita a mostrare le opere, ma vuole replicare in toto il contesto galleria: dalla reception al panorama fuori dalla finestra tutto è specchio di uno spazio concreto e, in quanto tale, visitabile e percorribile, con tanto di mappa e prezzi in bella vista.
La verosimiglianza è impressionante e le tecnologie impiegate sono evidentemente avanzate: la visita è fluida, l’esplorazione senza intoppi, le opere nitide e ben visibili anche a distanza molto ravvicinata, osservabili in ogni dettaglio. È ovvio che le possibilità siano molteplici e che, grazie alla sua flessibilità e alla sua adattabilità, il Virtual Space possa essere piegato ai più disparati scenari espositivi.
Gli artisti avranno la possibilità di interagire con gli spazi in modo libero e creativo plasmando l’architettura, il pubblico potrà sperimentare una modalità di fruizione senza precedenti, al contempo reale e virtuale; nulla da dire poi sul rapporto collezionista-galleria che, specialmente di questi tempi, sarà forse salvaguardato proprio da iniziative digitali, soprattutto se ponderate e ben eseguite.
Vanno sicuramente premiate visione e progettazione ma a fare la differenza è lo spirito, pragmatico e imprenditoriale, che salta particolarmente all’occhio in un momento storico in cui il mondo dell’arte fatica a tenere il passo. Certo i mezzi a disposizione sono diversi ma si assiste alla reazione di chi davanti all’imprevisto ha saputo reinventarsi, trovare altre strade, rendere un problema un’opportunità di evoluzione.
Ben vengano quindi sperimentazione e accessibilità che – Oculus a parte – si apre in tempi difficili a nuovi pubblici e nuove possibilità. Unica raccomandazione non abituarsi troppo e ricordare le peculiarità dell’esperienza fisica, sempre più lontana in questi giorni: implica sfumature di partecipazione e osservazione altrimenti irraggiungibili.