Sette fiere tra settembre e novembre? Troppe per Dominique Lévy, co-fondatrice -con Brett Gorvy- della galleria Lévy Gorvy, quattro sedi in tre continenti diversi. Intervistata dalla rete CNNMoney Switzerland, la gallerista racconta le sue impressioni sul presente e i piani per il futuro.
Cosa pensano i galleristi del nuovo calendario fieristico 2020? Dominique Lévy non sembra troppo convinta. Secondo la gallerista è utopistico pensare che a settembre (sempre che per quell’ora le cose si siano sistemate) qualcuno abbia voglia di volare da New York a Londra, a Basilea, a Parigi. Anche se le misure di distanziamento fossero garantite, prima della creazione di un vaccino la situazione faticherà a tornare normale.
Davanti a una totale incertezza di tempi e modalità, è ora che l’intero mondo dell’arte inizi a essere realistico, senza cercare di “mettere una toppa” per arginare il problema. Bisogna anteporre salute e responsabilità sociale al desiderio di salvare i guadagni.
Lévy dichiara già ora che non intende prendere parte a tutte le fiere programmate -per adesso- negli ultimi mesi del 2020, appuntamenti a cui normalmente non mancherebbe. Massimo 2 o 3, privilegiando sopra tutte Art Basel, FIAC e Tefaf New York. E sottolinea comunque il suo scetticismo sul fatto che vengano effettivamente organizzate.
Ma non sono queste le cose a cui bisognerebbe pensare ora. Il mondo dell’arte così come lo conosciamo è entrato in crisi, e questa pausa imposta deve servire a ripensarlo partendo da molto lontano, dal tempo in cui le trattative avvenivano per telefono ed erano i galleristi a dover girare per far vedere le opere al pubblico, non il contrario. Bisogna chiedersi cosa vuol dire esporre arte, qual è il senso della professione del gallerista.
All’indomani dello scoppio del virus, Lévy Gorvy ha preso parte alla versione online di Art Basel Hong Kong, che Dominique dichiara essere stata utile per capire quello che non andava. La maggior parte dei partecipanti non erano collezionisti ma curiosi accorsi a vedere il nuovo format per una quindicina di minuti prima di abbandonare la piattaforma. Una soluzione che non pensa possa avere un futuro, talmente è lontana dalla natura dinamica e partecipativa di una fiera.
Tra i galleristi si parla molto del futuro di Basel, considerata da tutti la tappa fondamentale dell’anno. Lévy insiste sul fatto che salvare la fiera sia una responsabilità di tutti, che questo significhi sostenerla in questo momento difficile o reinventarla da zero. La crescita post traumatica che seguirà questi primi mesi deve servire a ripensare l’intero status quo in modo creativo e innovativo.
Alla domanda su quale pensa sarà il decremento degli affari, la gallerista stima candidamente un rallentamento dell’attività del 90-95 % (che non si può far altro che accettare). La prima cosa da fare è stata cercare di controllare i costi fissi, dagli affitti ai salari. Così come altre grandi gallerie, Lévy Gorvy ha dovuto licenziare diversi impiegati, che sembra però verranno riassunti dopo 90 giorni. In una situazione del genere, è più forte che mai la responsabilità che la titolare sente di avere nei confronti dei lavoratori rimasti, a cui sono stati chiesti grandi sacrifici.
Dopo il primo periodo di panico, il mercato è ora in fase di assestamento. Una volta che le acque si saranno acquietate, Dominique Lévy è fiduciosa sul fatto che il bisogno di arte tornerà a farsi sentire. “Serve il cibo, la salute, un riparo, ma anche l’arte”. Se ci sarà chi, per fare economia, diminuirà i propri consumi culturali, sarà proprio ora che altri sentiranno più che mai il bisogno sia di fruirne che di investirvi.
Si definisce realistica, Dominique, ma sente anche la necessità di essere fiduciosa e flessibile nel trovare un giusto equilibrio tra business e responsabilità sociale. Ci troviamo davanti a una crisi diversa da quelle passate, in cui c’erano sempre paesi meno colpiti a cui potersi rivolgere. Ora non c’è nessun ricco paese estero da colonizzare, siamo tutti sulla stessa barca malandata.
Ma l’essere umano -si spera- impara qualcosa da ogni crisi. Bisogna adattarsi e accettare di cambiare comportamenti consolidati ma che ormai non funzionano più. È incerto il come e il quando, ma anche questa situazione avrà una fine. E prima di allora, Dominique Lévy confida nella capacità evolutiva sua e di chi le sta intorno.