Tra le numerose attività di questa Fase due che hanno potuto finalmente riaprire al pubblico ci sono anche i musei. Non tutti hanno potuto e/o voluto farlo dal primo giorno di via libera (lo scorso 18 maggio): le restrizioni e le nuove regole d’accesso impediscono un ritorno alla normalità. Ogni istituzione si è dovuta così adattare ai necessari parametri governativi per garantire una fruizione sicura dei propri spazi e delle proprie opere. Ma non è solo il distanziamento sociale la grande sfida dei nostri musei, molti altri aspetti dovranno essere ripensati, ricalibrati, cambiati. Ne abbiamo parlato con Anna D’Amelio e Fabiana Marenghi Vaselli direttrici della Fondazione Memmo.
– Com’è stato finalmente riaprire al pubblico? Prime impressioni e feedback dalla ripartenza.
Entrare di nuovo nella sede della Fondazione Memmo, dopo i mesi di chiusura, è stato un momento di grande sollievo ed eccitazione per noi in prima persona. La presenza dei primi visitatori ha avuto anche un valore simbolico: un primo, piccolo segnale di superamento dell’emergenza.
– Come si può ripensare l’idea di accessibilità? Come cambierà il rapporto tra spazio espositivo e fruitore? Come sono organizzate le “nuove” visite? Come saranno rimodulati gli spazi e il percorso espositivo?
La Fondazione Memmo si è sempre caratterizzata per la grande apertura e l’attenzione al pubblico. L’ingresso è gratuito e ogni visitatore viene accolto da personale di sala che introduce alla mostra in corso, in questo caso la sesta edizione di Conversation Piece, serie di mostre curate da Marcello Smarrelli. Da questo punto di vista per noi non cambia molto, se non per il fatto che abbiamo deciso di organizzare visite solo su appuntamento, per un massimo di quattro visitatori alla volta, muniti di mascherina.
– Meno numeri, più valore. Meno quantità, più qualità. Radicalizzazione sul territorio e rapporto con la comunità di cui fanno parte. Come sarà la nuova istituzione d’arte (sia in senso lato che in senso stretto della sua istituzione)?
Per quanto riguarda la nostra realtà, cercheremo di portare avanti la programmazione culturale che ci contraddistingue: progetti artistici basati sull’incontro e sullo scambio tra grandi artisti contemporanei e la città di Roma, la sua storia, il suo territorio, il tessuto produttivo e artigianale. Crediamo che oggi questa mission acquisisca ancora più valore, visto che l’interazione inedita tra artisti e territorio che contribuiamo a creare aiuta spesso gli artigiani a incrementare le loro attività e svilupparle in maniera inaspettata insieme agli artisti stessi. Naturalmente la sfida sarà rendere compatibile questa linea con la condizione attuale, ma contiamo di poter ripartire a pieno ritmo dopo l’estate con l’organizzazione della mostra di Oscar Murillo, a cura di Francesco Stocchi, che avrebbe dovuto inaugurare alla fine di aprile.
– L’utilizzo della comunicazione digitale e della condivisione di progetti online è stato cruciale, ma è parso altresì evidente che la fruizione fisica delle opere, degli ambienti, delle architetture non è in alcun modo sostituibile. Come possono essere integrate al meglio questi due livelli in modo che le specificità del digitale siano sfruttate come una ulteriore proposta museale?
Il momento che stiamo attraversando ha portato a un’inevitabile intensificazione di contenuti digitali, con particolare attenzione ai social network. Anche la stessa Fondazione Memmo ha avviato una campagna, a cura di Saverio Verini, che ha visto decine di artisti che hanno (o hanno avuto) un legame con Roma inviare dei contributi poi pubblicati sui nostri canali social: immagini degli studi, progetti in corso, appunti visivi, suggestioni legate al periodo della clausura. È stato un modo per testimoniare come l’arte, gli artisti e le istituzioni trovino sempre un modo di esprimersi, anche quando non si fanno mostre, come in questa fase. Sempre attraverso i canali social, abbiamo pubblicato dei brevi video che documentano e raccontano i progetti espositivi da noi realizzati negli ultimi anni: da questo punto di vista, la pausa forzata ci è servita anche per ripercorrere la nostra attività e anche in futuro vorremmo procedere in questa direzione, insistendo sulla capacità che il digitale offre di diffondere contenuti.
-Il governo sembra un essersi un po’ dimenticato delle istituzioni e dei professionisti del mondo dell’arte nonché degli artisti. L’attenzione è sempre parsa più rivolta al mondo dello spettacolo. Ritenete che si sia fatto abbastanza per aiutare anche il complesso e variegato panorama museale e i relativi lavoratori? Dal suo punto di vista, di cosa ci sarebbe bisogno?
La crisi è molto recente ed è tutt’altro che passata. Forse è ancora presto per valutare l’efficacia degli interventi statali a sostegno della “categoria”. Detto questo, è stato piuttosto incoraggiante assistere alla nascita di gruppi e realtà che, cogliendo la paradossale opportunità offerta dal blocco delle attività, ne hanno approfittato per mettere in discussione il ruolo e i diritti dei lavoratori della cultura. Forse si potrebbe ripartire proprio dalla spinta e dall’energia che alcuni soggetti stanno mettendo in campo in questo momento.
CONVERSATION PIECE | PART VI
La realtà è ciò che non scompare quando smetti di crederci
Corinna Gosmaro, Philippe Rahm, Rolf Sachs.
A cura di Marcello Smarrelli
fino al 30 giugno 2020
Via Fontanella Borghese 56b
00186 – Roma (IT)
T: +39 06 68136598
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www.fondazionememmo.it