In attesa che la Biennale torni a esporre, una mostra ne racconta la storia. Le Muse Inquiete: la Biennale di fronte alla storia vede l’eccezionale curatela dei direttori di tutte le sezioni che compongono la Biennale: Arti Visive, Cinema, Danza, Musica, Teatro, Architettura. Dal 29 agosto all’8 dicembre 2020.
L’anno è particolare e, come ormai ci ha abituato, genera soluzioni inedite. Così la Biennale di Venezia, che probabilmente non si terrà il prossimo anno come da rodata cadenza, ha deciso di celebrare il suo 125 anniversario con una mostra che ha i crismi dell’eccezionalità. La curatela de Le Muse Inquiete: la Biennale di fronte alla storia viene infatti affidata per la prima volta a tutti e sei i direttore della manifestazione raccolte in Biennale: Cecilia Alemani (Direttrice del settore Arti Visive), Alberto Barbera (Direttore del settore Cinema), Marie Chouinard (Direttrice del settore Danza), Ivan Fedele (Direttore del settore Musica), Antonio Latella (Direttore del settore Teatro) e Hashim Sarkis (Direttore del settore Architettura). Un unicum nella storia della Biennale, che intende esplorare le modalità e le soluzioni attraverso cui l’istituzione è riuscita, lungo tutto il Novecento, a interpretare gli eventi sociali, culturali e politici che hanno scosso il secolo breve.
Innumerevoli le vicende che l’esposizione andrà a ripercorrere, principalmente attraverso documenti d’archivio e opere d’arte: le due guerre mondiali, la Guerra Fredda, la caduta del muro di Berlino e la globalizzazione, solo per citarne alcune. Lo stesso nome della mostra – che sarà visitabile, esclusivamente in loco, dal 29 agosto all’8 dicembre – rimanda non solo alle divinità greche protettrici delle arti, ma anche alle Muse inquietanti di De Chirico, che ben rappresentano lo scenario post bellico che volge alla ripartenza.
L’evento si terrà nel grande padiglione centrale dei Giardini e sarà diviso in sei capitoli (Anni ’30, Guerra Fredda, ’68, Anni Settanta, il Postmoderno e la nascita della Biennale di Architettura, Anni ’90: inizio Globalizzazione), ognuno dei quali affidato a un diverso curatore che si occuperà di indagare un preciso periodo storico. Punto di partenza gli anni ’30: Alberto Barbera (Cinema) torna alle radici del Totalitarismo e ne delinea il rapporto con la Biennale. Per esempio, nel ’38, l’assegnazione del premio al film di propaganda nazista Olympia destò più di una protesta. Da prima della guerra a dopo la guerra: Ivan Fedele (Musica) racconta la guerra fredda attraverso le novità che, faticosamente, continuavano a circolare in un mondo in tensione. Erano gli anni della contrapposizione tra astrattismo e figurativismo, gli anni in cui Peggy Guggenheim cercava di portare in Europa un’arte mai vista.
Nonostante la Biennale Danza nasca solo nel ’99, è proprio la sua attuale curatrice Marie Chouinard ad occuparsi del ’68. Una scelta particolare che mira a sottolineare la versatilità e la capacità di quest’arte di essere, al contrario di quel che talvolta si può pensare, trasversale e altamente comunicativa. Un compito analogo è affidato a Antonio Latella (Teatro), incaricato di raccontare gli anni ’70 e l’arrivo di Carlo Ripa di Meana come presidente della Biennale. Numerosi i cambiamenti apportati in questi anni: dalla dislocazione degli eventi in tutta la città alla definizione dell’evento come fortemente antifascista.
Un altro cambiamento simile è stato, negli anni 80, l’utilizzo delle Corderie dell’Arsenale come nuovo spazio espositivo. Lo racconta Hashim Sarkis (Architettura), che indugia inoltre sulla creazione della Sezione Giovani ad opera di Achille Bonito Oliva. A chiudere la mostra sono le Arti Visive di Cecilia Alemani: Anni ’90: inizio Globalizzazione. Dalla fine della Guerra Fredda a quella dell’idea di stato-nazione, dalla caduta del Muro di Berlino alla nascita dei nuovi influssi culturali che hanno disegnato il nostro oggi.