A fronte di alcune buone operazioni promozionali – l’attività su Tik Tok e la visita di Chiara Ferragni – le Gallerie degli Uffizi mancano ancora l’appuntamento con le istallazioni contemporanee, di livello nettamente inferiore a quello che è lecito aspettarsi.
Partendo dal retorico e per un certo verso ironico presupposto che ad ogni iniziativa contemporanea si accompagna un certo grado di polemica, questa estate le Gallerie degli Uffizi sembra stia impegnandosi particolarmente per stupire, forse anche negativamente, un pubblico reso ancora più sensibile e desideroso d’arte di quanto non fosse prima di questi mesi di lockdown. Così come tutti noi, anche lo storico museo fiorentino ha percepito la necessità di ripartire con uno slancio nuovo, determinato ed entusiasta anche nello spingersi oltre quella che era la consuetudine. Così – dopo l’inaspettato ingresso degli Uffizi su Tik Tok, dove i suoi grandi capolavori prendono vita in modo grottesco ma divertente, seguendo in maniera coerente ma innovativa i dettami dell’engagement digitale – in un paio di settimane il Museo ha invitato Chiara Ferragni a visitare i suoi spazi e ha inaugurato due esposizioni destinate a far discutere.
Se l’operazione social – sia per quanto riguarda Tik Tok che la Ferragni – ci sembrano, al di là di sterili recriminazioni, intelligenti e proficue operazioni di promozione. Più che luccicanti cartine tornasole, queste appaiono abili e lungimiranti iniziative che hanno non solo lo scopo di promuovere l’arte rinascimentale anche nelle fasce più giovani (+27% di giovani rispetto al weekend precedente alla visita dell’influencer e museo fiorentino trend topic su Instagram e Twitter), ma anche di posizionare gli Uffizi in modo chiaro e definito su Internet, luogo non certo prediletto del Museo. Si pensi, per esempio, che fino a pochi anni fa non c’era un logo univoco che riunisse tutte le sedi dell’istituzione, frammentata in un panorama di difficile identificazione.
Manovre mirate, dunque, che non vengono però affiancate da un altrettanto riuscito programma espositivo, inciampato un questo luglio in controverse opere ambientali. La prima è quella ormai nota dei lupi di Liu Ruowang. L’istallazione – composta da 100 lupi (teoricamente ognuno minaccioso in modo personale, in realtà si ritrovano accomunati da una limitata varietà e forza espressiva, forzata all’interno di una fattura tecnica approssimativa) proviene da Napoli, dove ha sostato in Piazza del Municipio – ha intercettato una parte del consenso popolare, sopratutto per via del carattere interattivo, ma si è scontrata con lo scetticismo della critica e dell’altra parte del pubblico. Le critiche derivano (oltre dalla già citata incertezza tecnica) dall’asimmetria tra intenzioni dell’opera e la sua fruizione. Come può infatti un’installazione che simboleggia la furiosa rivolta della natura contro le barbarie dell’uomo, prestare poi generosamente il fianco ad amichevoli e tenere interazioni con i visitatori? Siamo di fronte a una perentoria ammonizione o a una conciliante stretta di mano? Su questo aspetto sembra essere confuso lo stesso artista cinese – per di più privo di un adeguato e importante curriculum espositivo – che teso fra i due spiriti dell’opera non definisce i suoi veri intenti. Quel che è certo è che i minacciosi lupi, stretti tra l’abbraccio di Eike Schmidt (direttore degli Uffizi) e Dario Nardella (SIndaco di Firenze) appaiono tutto tranne che risentiti dell’umano sfruttamento della natura.
Un medesimo scetticismo accompagna anche l’inaugurazione della nuova, se così possiamo definirla, scultura di Lorenzo Quinn. L’artista figlio d’arte di Anthony torna nuovamente a insinuarsi in un contesto di prestigio che mal si intona alle enormi manone bianche, ormai riproposte in qualsiasi salsa soprattutto in occasione della Biennale di Venezia. Sgraziate, ingombranti, ma soprattutto prive di qualsiasi contenuto artistico, sono due le mani di Quinn che questa volta si congiungono ai Giardini di Boboli a formare un grembo che raccoglie un albero. L’inaugurazione, prevista per domani, potrà forse chiarire meglio gli intenti dell’opera dello scultore, sempre identico a se stesso, sempre grottescamente spettacolare, sempre retorico e privo di fascino. Se il ponte che Quinn ha creato a Venezia lo scorso anno poteva impressionare (o rovinare) il panorama sullo sfondo lagunare, Give, questo il nome dell’opera donata alla città di Pietrasanta e momentaneamente in mostra a Firenze, promette di deturpare senza nemmeno sorprendere.
Nel complesso le iniziative installative esterne, non paiono essere al livello del programma di tutto rispetto che gli Uffizi, per quanto naturalmente incline all’arte rinascimentale, continuano a proporre: da Tomàs Saraceno ad Ai Weiwei, fino alla mostra prossimamente dedicata a Jeff Koons. Pare dunque incomprensibile questa linea-non linea curatoriale, di livello nettamente inferiore rispetto alle consuete proposte espositive, che non può essere sintomo di cattiva gestione, ma piuttosto di cattive scelte, dettate da scivoloni forse intrapresi per la volontà di includere e coinvolgere il pubblico in maniera più leggera, ma per il momento spiccatamente inappropriata.