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Il Messner Mountain Museen Ripa a Brunico. Un vecchio castello tirolese, la mitologia indiana e il buddismo cinese

Ripa ©Magdalena Messner
Ripa-©Michela-Bassanello

Non conoscevo l’MMM Ripa, quindi percorrendo il sentiero che si arrotola dolcemente intorno alla collinetta che sovrasta la città di Brunico ero certa che avrei visitato una classica fortezza, con le classiche sale affrescate, le stufe a olle piastrellate di maioliche, i letti a baldacchino e i passaggi segreti nei sotterranei. http://www.messner-mountain-museum.it

Invece, appena varcato l’ingresso del Castello, un enorme Yali dai colori sgargianti mi osserva e mi confonde, come un’apparizione onirica. Nel piccolo giardino, all’ombra di un susino un giovane Buddha pratica la Padmasana, la posizione del fiore di loto, protetto da due Shishi, i leoni cinesi che simboleggiano lo yin e lo yang.

Ripa-©Michela-Bassanello
Qual è la correlazione tra un vecchio castello tirolese, la mitologia indiana e il buddismo cinese?

Il nesso è presto svelato nel nome stesso del museo: RIPA, dove in lingua tibetana “ri” sta per montagna e “pa” per uomo. La montagna e l’uomo. Un rapporto simbiotico che affonda le radici nella storia dell’evoluzione umana, e al quale Reinhold Messner ha dedicato la sua intera esistenza. Tanto da fondare nel 2006 il Messner Mountain Museum, un circuito di sei sedi espositive ricavate dentro antiche costruzioni storiche (Firmian, Ripa, Juval, Dolomites) oppure realizzate da zero (Plan de Corones, Ortles) nell’arco alpino italiano. L’MMM Ripa fu inaugurato nel 2011 dentro il Castello di Brunico e da allora ospita una mostra etnografica permanente sui popoli e le culture, circa una ventina, che abitano le più importanti regioni montane del mondo.

Prima di addentrarmi nel vivo della collezione, la mostra mi richiede di passare dall’Antica Casa del Custode che – appunto- custodisce un affettuoso omaggio all’Alto Adige: la ricostruzione di una casa rurale tirolese con al suo interno mobili, fornelli, pentolame e tutto il tipico corredo domestico.

Ripa ©Magdalena Messner

La scelta di collocare questa tappa a inizio percorso è significativa per comprendere il pensiero di Reinhold Messner, secondo cui è lodevole aprirsi alle culture straniere, cercare di confrontarsi con esse e sostenerle laddove si può, ma è altrettanto giusto riconoscere le proprie radici e rispettarle, poiché hanno fatto di noi le persone che siamo, nel bene e nel male. Crescere in un piccolo paese di montagna può portare a situazioni infelici, come la consapevolezza di possedere speciali capacità o forti ambizioni che non sono compatibili con una mentalità campanilista o con i ritmi sociali e lavorativi della comunità di appartenenza. Ma è proprio in quei contesti che prende forma il sogno, il desiderio di migliorarsi, di sfidare l’impossibile.

“La mia infanzia tra i contadini di montagna in Sud Tirolo e tante spedizioni hanno acuito il mio sguardo sulla forza di sopravvivenza della cultura di montagna e destato la mia curiosità.”

Ripa ©Magdalena Messner

La mostra viaggia su tre livelli narrativi dialoganti fra loro: lo Spazio, il Tempo e la Religione.

Lo Spazio è la mappa geografica delle diverse aree del mondo abitate dai popoli di montagna. Mappa che include tre dei quattordici Ottomila e una delle Sette Cime (Everest, K2 e Annapurna nella catena dell’Himalaya, e il Kilimangiaro) e molte altre montagne minori: il Tirich Mir, il Chimborazo, il Puncak Jaya, il Picco Hùjtėn, il Monte Saramati, il Monte Tahat e il Jebal Umm al-Dāmī. Nonostante i nomi buffi, alcuni di questi bestioni rocciosi rientrano nella lista delle cime più alte del pianeta, entro i rispettivi Stati di appartenenza localizzati nei cinque continenti.

Il Tempo è invece quello della Storia, della formazione e della scomparsa di alcune culture, come gli Inca che si pensa furono i primi scalatori a raggiungere i 7000 metri sulle Ande, ma dei quali non ci restano che reperti archeologici, ossa e oggetti legati a misteriosi riti funebri. Sempre il tempo scandisce il fenomeno del Nomadismo, ancora oggi praticato in Tibet, Africa, Medio Oriente e in Mongolia: per questi popoli il movimento è Vita, in certe aree del mondo l’unica strategia possibile per garantire la sopravvivenza è la capacità di realizzare manufatti funzionali e leggeri, e tende montabili e smontabili in poco tempo e che si adattino a ogni clima.

Ripa ©Michela Bassanello

Infine il Tempo è il ritmo della Natura, la ciclicità delle stagioni, l’alternanza fra luce e buio, fra vita e morte, variabili da conoscere e studiare per poter organizzare il lavoro, mantenere il bestiame o garantire la sopravvivenza della propria specie. La morte è fortemente presente nel sistema di valori di molte culture, infatti ampio spazio è dedicato alle Religioni e alla Spiritualità: il Cristianesimo, l’Islam, il Lamaismo, il Buddismo e l’Induismo, fino all’influenza dell’animismo e del paganesimo in gruppi, come i Dani e i Tharu, che venerano la Natura o le divinità animali di matrice induista.

Attraverso queste coordinate la mostra affronta molti aspetti della vita dei popoli montanari e valligiani, e lo fa per mezzo di un efficace apparato installativo che include riproduzioni di tipici ambienti domestici, pezzi d’arredamento, arte e artigianato, infrastrutture idriche, modellini di architetture tradizionali costruite con fango, legno, pietra, fieno, ricostruzioni delle tende nomadi tibetane e mongole. Inoltre tutto il percorso è affiancato da uno storytelling molto efficace fatto di racconti, citazioni, aneddoti e contributi di studiosi e autori della letteratura passata e presente. Le vecchie cantine del Castello, dedicate all’Africa e all’Oceania, ospitano una moltitudine di statue, statuette, maschere, manufatti artistici, totem divini, scudi e armi da guerra. Complice l’illuminazione suggetiva che crea un’atmosfera quasi tribale e carica di mistero, resto affascinata da come i popoli africani, i Dani, i Tuareg, i Maasai e i Beduini, siano comunità perfettamente organizzate a livello politico e sociale e profondamente spirituali tanto quanto legate alla dimensione terrena e alla natura, ma soprattutto dotate di una grande capacità di adattamento ai territori estremi in cui vivono.

Ripa ©Michela Bassanello

Anche in alcune aree del Sudamerica l’adattabilità e la versatilità sono requisiti imprescindibili per proteggere la vita, non soltanto da madre Natura ma anche da fattori legati allo sfruttamento del territorio, alle rivendicazioni politiche e sociali e alla massificazione del turismo. I Kichwa, che vivono nelle Ande settentrionali tra la Colombia, l’Ecuador e il Perù, hanno una impressionante capacità di adattamento che li ha portati a saper valorizzare ogni risorsa disponibile, dando nuove forme e funzioni ai più svariati materiali come i vecchi pneumatici, con cui realizzano scarpe e recipienti. Questa stessa logica dell’adattabilità ha spinto e spinge ancora oggi molti popoli a sfruttare intelligentemente il turismo, al di là dei vantaggi economici, per trasmettere il proprio retaggio culturale e le tradizioni locali agli stranieri e alle giovani generazioni, affermando il loro orgoglio identitario e la propria appartenenza etnica. Gli Sherpa per esempio vivono principalmente di turismo, giacché i maschi delle tribù lavorano come guide nei trekking e nelle spedizioni alpinistiche; così anche i Lopa col tempo hanno abbandonato l’antico commercio del sale sulle rotte fra Cina e India e hanno aperto una via al turismo.

L’elemento più intrigante di tutta la mostra è il concetto di porta, struttura architettonica presente nella simbologia di molte culture e concetto-chiave che rappresenta l’MMM Ripa. Reinhold Messner è da sempre intimamente legato all’idea di porta per la sua valenza simbolica: materialmente, una struttura di attraversamento che testimonia il knowhow artigianale, l’orgoglio e l’ospitalità dei popoli; metaforicamente è un passaggio verso l’ignoto, verso l’“altro”, che conduce alla conoscenza e dà accesso ad altre culture, e in questo senso si identifica appieno nel progetto del Ripa. E come è nella sua natura, Reinhold Messner non si è limitato a perseguire questa apertura verso l’esterno, ma si è spinto “oltre” enfatizzando l’ambivalenza della Porta quale strumento per attuare uno scambio culturale biunivoco. Così ha accolto nella sua terra 20 diverse culture di montagna da tutto il mondo, e se da un lato auspica che i visitatori traggano insegnamento da loro, allo stesso tempo desidera donar loro qualcosa di sé, trasmettendo loro la nostra italianità e l’eredità delle nostre montagne. Da qui l’idea di ospitare al Ripa ogni anno un popolo diverso, sfruttando il museo quale luogo di incontro fra genti di tutto il mondo e piattaforma di mediazione interculturale.

Ripa ©Magdalena Messner

“Quando avevo abbandonato tutto e non mi restava più niente mi sono reso conto che l’uomo ha inventato prima la lingua del cervello. Per sopravvivere. Ad ogni costo.”

L’MMM Ripa mi lascia piena di empatia per un’umanità così distante dal mio background culturale e un desiderio di conoscenza smisurato che non provavo da molto tempo. Non mi ero mai resa conto prima che l’istinto di sopravvivenza potesse generare tanta bellezza, e che dalla difficoltà, dal rischio, dalla naturalezza di stili di vita così precari potessero scaturire lezioni di tale ricchezza culturale.

In questo senso credo che il progetto del Ripa sia irrinunciabile nel circuito dei Musei messneriani: come punto di riferimento per i popoli del mondo che possono in esso trovare una nuova casa, un luogo pacifico di incontro e scambio di saperi; come centro culturale per il comune viaggiatore o l’appassionato d’arte; ma anche e soprattutto come stimolo per la comunità autoctona che con Messner condivide le origini montane e forse quelle stesse esigenze che lo hanno spinto a intraprendere il viaggio che lo ha reso l’uomo che è. Un alpinista, un esploratore, un filantropo, un insuperabile mito contemporaneo ma soprattutto, semplicemente, un uomo che sognava di sfidare l’impossibile.

E che oggi -dopo avere compiuto 3.500 imprese alpinistiche, scalato i 14 Ottomila senza ossigeno, attraversato a piedi il Tibet e la Groenlandia e due deserti dell’Asia, fa il contadino di montagna e si dedica alla sua famiglia. Perché lui la sua parte l’ha fatta, sta a noi cogliere la sua eredità.
Ripa-©Michela-Bassanello
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