Fra gli artisti meno considerati da critica e mercato c’è il siciliano Onofrio Tomaselli. Maestro di Renato Guttuso e uomo di politica, Tomaselli di distinse per una capacità espressiva e uno spessore umano fuori dal comune.
In fotografia, il volto del pittore siciliano Onofrio Tomaselli rammenta quello di Lev Trotsky; baffi e pizzo sono identici, solo le guance più paffutelle. In realtà non ricordo immagini del rivoluzionario russo in tenuta borghese, ovvero camicia bianca, cravatta, gilet, orologio con catenella. Ma d’altra parte Onofrio Tomaselli era socialista, anche se non esibiva mascheramenti proletari.
Era nato a Bagheria nel 1866 e le sue esequie furono celebrate a Palermo nel 1956. È stato il maestro di Renato Guttuso, il padre del realismo socialista, membro del comitato centrale del Partito Comunista Italiano, e senatore. Quando Palmiro Togliatti parlava di arte con troppa supponenza, sapeva controbatterlo senza tanti complimenti. Guttuso era un uomo dolcissimo e umano, e credo che queste qualità, insieme ai suoi messaggi figurativi, le abbia ereditate proprio da Onofrio Tomaselli. Il maestro deve essere stato un grande esempio per l’allievo. Tornavano spesso insieme a Bagheria ed è probabile che presenziassero anche a riunioni politiche presso la locale Casa della Cultura.
La carriera di Tomaselli inizia dopo l’Unità d’Italia con una borsa di studio del comune di Palermo, grazie alla quale frequenta un corso di pittura che termina con tanto di “lode e di approvazione”. Si unisce poi in matrimonio con la figlia dei marchesi di Tagliavia, Emilia Glaudi, e nel 1887 vince il concorso di composizione bandito dall’Istituto di Belle Arti a Napoli.
All’inizio del Novecento la corrente espressiva del Verismo occupa la scena culturale, e non solo in letteratura; nell’arte figurativa Onofrio Tomaselli, con la composizione I carusi del 1905 – carusi in dialetto significa bambini, o ragazzini – anticipa e annuncia il realismo sociale. Questa inquietante composizione su tela rivela la spaventosa condizione di sfruttamento dei bambini poveri, dati in affitto dai genitori per lavorare nelle miniere di zolfo. È probabile che l’artista avesse in mente quello che era avvenuto nel 1881 a Gessolungo, vicino a Caltanissetta dove, a causa di un’esplosione in miniera, oltre a trentasei minatori adulti morirono sedici carusi. È dunque possibile che, quando Guttuso ha eseguito lo stesso soggetto nel 1953, avesse ben presente l’opera di Tomaselli; tuttavia, in questa sua opera realizzata in chiave espressiva post-cubista è del tutto assente la tensione emotiva del suo maestro. È comunque significativo il fatto che gli artisti siciliani noti e apprezzati a livello nazionale, come Carla Accardi, Bruno Caruso e lo stesso Renato Guttuso, hanno potuto emergere solo lasciando la loro terra.
Il destino di Tomaselli ha avuto invece un corso diverso, forse proprio per il fatto di essere rimasto legato al suo territorio. Sarebbe interessante chiedere ai collezionisti del nord Italia se hanno opere del maestro di Bagheria. Domanda retorica, dato che chi ha realizzato l’Unità d’Italia in arte è stato il mercato, e non la qualità degli artisti. Di questa realtà Onofrio Tomaselli è una delle vittime ingiustificate.