Cineasti, artisti e intellettuali invitati a confrontarsi con un modello di sperimentazione cinematografica come La Jetée di Chris Marker. È il progetto online di Fondazione Prada a cura di Luigi Alberto Cippini e Niccolò Gravina, che presenta il suo terzo video saggio firmato da Brady Corbet.
Ogni mese, da giugno in poi, il progetto online Finite Rants (letteralmente declamazioni finite) si arricchisce di un nuovo saggio visuale commissionato da Fondazione Prada a cineasti, artisti, intellettuali e studiosi. Il film o video saggio, come sosteneva Hans Richter nel 1940, è una forma espressiva capace di “ritrarre concetti” grazie a una completa libertà creativa, che incoraggia la trasgressione delle convenzioni linguistiche. A farne da modello indiscusso è La Jetée di Chris Marker, cortometraggio del 1962 costituito da una sequenza di fotografie e una voce narrante fuori campo che tracciano una storia di fantascienza ambientata in un’era postatomica.
A partire dal primo video saggio pubblicato online, Werewolf playoffs di Satoshi Fujiwara e Alexander Kluge, Finite Rants invita gli autori ad affrontare tematiche sociali, politiche e culturali contemporanee attraverso un linguaggio che strizza l’occhio al capolavoro di Marker. A firmare la terza opera del progetto è Brady Corbet, attore e regista di Vox Lux (2018) e L’infanzia di un capo (2015).
L’autore, attraverso una sequenza di video girati attraverso il software iOS 4k, denuncia lo sfruttamento di un programma di finanziamento destinato ad aree urbane a basso reddito che si cela dietro il piano immobiliare di Manhattan Hudson Yards. Si tratta del più grande progetto edilizio privato degli Stati Uniti, costituito da un complesso di edifici lungo il fiume Hudson. La struttura si presenta come una cittadella ideale composta di uffici, centri commerciali, abitazioni e la celebre social climber, una struttura composta di sole scale che non portano da nessuna parte. Il progetto, tutt’ora in corso di sviluppo, è fortemente criticato da chi sostiene che lo sviluppo economico del quartiere stia solo spostando energie e investimenti da diverse parti della città. Oltretutto, gli edifici ospitati dal distretto sono quasi tutti privati. Anche il design delle strutture appare freddo e impersonale, molto più simile a una grande boutique di lusso che non a un luogo pensato per gli esseri umani.
Brady Corbet contrappone scorci horror-fiabeschi di questo distretto newyorkese, commentati da una musica enfatica in stile Metropolis, a una delle numerose manifestazioni del Black Lives Matter che riempiono le strade americane dalla morte di George Floyd, in cui la musica è quella generata da applausi e tamburi. Il risultato è un inevitabile confronto fra un contesto disumanizzato e l’energia di chi sfila compatto per strada, protestando contro la disuguaglianza razziale nel sistema giuridico americano. A interrompere lo scorrere delle immagini a intermittenza una schermata nera: nell’era dell’iperstimolazione visiva, Corbet incita il nostro occhio a spegnersi e riaccendersi ogni volta che ricompare un’immagine, come in un alternarsi di sonno e veglia.