La Galleria Massimo Minini, a Brescia, presenta con la mostra puro e disposto a salire le stelle una nuova generazione di quattordici artisti, voce e anima dell’ultima ricerca artistica intrapresa dalla galleria. Il percorso espositivo, che si sviluppa intorno al tema del cielo, è stato allestito come ideale percorso di discesa dal cielo fino alla sfera terrestre e quindi umana. La mostra sarà visitabile da novembre a gennaio 2021.
Con puro e disposto a salire a le stelle, Dante Alighieri concludeva la cantica finale del Purgatorio. La Galleria Massimo Minini invece inizia con questo verso un nuovo capitolo artistico, in cui quattordici artisti internazionali, nati tutti tra la fine degli anni sessanta e gli anni ottanta, sono chiamati ad affrontare il tema del cielo o firmamento o volta celeste.
Vi presentiamo i quattordici artisti
Becky Beasley (Regno Unito, 1975), Elena Damiani (Perù, 1979), Daniel De Paula (USA, 1987), Simon Dybbroe Møller (Danimarca, 1976), Haris Epaminonda (Cipro, 1980), Ceal Floyer (1968), Runo Lagomarsino (Svezia, 1977), David Maljkovi (Croazia, 1973), Jonathan Monk (Regno Unito, 1969), Wilfredo Prieto (Cuba, 1978), Mandla Reuter (Africa del Sud, 1975), Alice Ronchi (Italia, 1989), Ariel Schlesinger (Israele, 1980), Armando Andrade Tudela (Perù, 1975).
Occorre ora scoprirne le opere
Il percorso della mostra all’interno degli spazi della Galleria Massimo Minini inizia con Jonathan Monk. Artista inglese celebre per appropriarsi delle opere di artisti noti che poi rielabora con nuovi significati, mosso dall’idea che ormai sia impossibile essere originali. All’ingresso della galleria una sua opera: una Vespa, dal titolo All the possible combinations of twelve lights lighting (one at a time), del 2014. Ci ricorda che il cielo ci attrae per i suoi bagliori, fissi o in movimento o intermittenti, come le luci della Vespa.
Alice Ronchi realizza sculture e installazioni, in cui gli oggetti di uso quotidiano si incontrano con il mondo della fantasia e dell’invenzione, dando come risultato lavori di sintesi tra la semplicità formale e l’ordine geometrico. Lo sguardo curioso di Alice Ronchi ci restituisce un’idea di mondo come posto magico da vivere. In mostra dell’artista, Cielo (2009) e Sole (2016). Al cielo guardano i pellegrini per cercare la stella del Nord e la Stella Polare, dimenticandosi per un attimo il Sole, la prima stella.
Proseguendo incontriamo Elena Damiani. Artista che si interroga sul presente attraverso il passato e che sfrutta il potenziale delle immagini per comprendere l’universo. Lavora soprattutto con il collage, la scultura e le video-installazioni, attraverso cui decontestualizza materiali e oggetti che preleva da alcuni campi specifici come l’archeologia, la geologia e la cartografia. Per la mostra espone un’opera del 2019, Transit I: una scultura in cui la combinazione di marmo nero, pietra bianca e ottone suggerisce l’allineamento di masse che riflettono la luce in modi diversi: corpi scuri, corpi che riflettono la luce e corpi luminosi. È un’eclissi, che rende il visibile attraverso l’invisibile.
Ceal Floyer, inizia in occasione della mostra la collaborazione con la Galleria Minini, con due opere: Cumulus (2008) e Drop (2013). Opere che rivelano l’una l’instabilità poetica delle gocce e l’altra le varie forme possibili delle nuvole. Artista attiva a Berlino, lavora con gli oggetti del quotidiano spesso trascurati, che altera con alcuni interventi per condurre lo spettatore verso una maggior consapevolezza dell’ambiente circostante.
Il viaggio intorno al cielo continua con l’artista greca Haris Epaminonda. Le sue installazioni evocano enigmi visivi che suggeriscono una molteplicità di significati. Il suo linguaggio tende spesso all’astrazione, evocando atmosfere che sfidano la classificazione precisa. Per l’occasione, Haris Epaminonda espone Untitled #18 t/g (2019), dove si appropria del cielo e lo mescola con la fisicità della scultura e con la materialità del legno.
Lo svedese Runo Lagomarsino è invece artista poliedrico, che si serve della scultura, delle installazioni, della pittura e dei film per mettere in discussione la storia, soprattutto quella del Sud America (poiché egli è nato in Svezia, ma è figlio di genitori argentini; inoltre São Paulo è ora la sua città), offrendone una riscrittura, non certo priva di ambiguità. Nella storia egli ricerca le relazioni di potere tra la cultura e la politica, e tra le immagini e le metafore come risultato di un processo storico-sociale. Partecipa alla mostra con We, una scritta in acciaio del 2017.
A seguire, David Maljkovic. Altro artista poliedrico, conosciuto per l’uso di sculture, film, collage e installazioni in cui esplora la questione del tempo e la relazione tra passato e presente, attraverso strutture astratte ed effetti digitali. Per la mostra espone Glimpses (2019), dove dimostra di sapere trasformare oggetti del lavoro quotidiano in vere opere d’arte.
Agli oggetti di uso comune guarda anche Simon Dybbroe Møller, attraverso i quali dimostra di poter raggiungere la bellezza celeste. Basta cambiare punto di vista e guardarli con occhi diversi. La sua opera in mostra è Shame Shield (modern ceramics), del 2015. L’artista indaga le forme, lasciando che la razionalità finisca per essere tradita dal caso. Infatti, il suo lavoro riflette sul valore creativo dell’errore, della negazione e della sottrazione, come elementi fondanti del fare artistico.
Mandla Reuter, artista sudafricano ma attivo ora a Berlino, riflette sulla relazione tra lo spazio e i corpi. Egli inserisce nello spazio installazioni che permettono di esperire in modo nuovo e attivo l’ambiente, in un gioco di inclusioni ed esclusioni, di luce e di suoni. L’opera esposta in occasione della mostra è Untitled I (2010): una superficie nera che assorbe in sé la tangibilità della notte, la stessa dell’opera di Becky Beasley. Artista britannica che si serve della fotografia e delle installazioni per evocare misteriose atmosfere, che rifuggono da precise definizioni, come nel caso di Night music (2007) in mostra.
Proseguendo verso la fine del percorso, incontriamo Armando Andrade Tudela, il quale utilizza diversi media, come il disegno, la scultura, l’installazione, il film e il collage, col fine di esplorare il legame tra cultura popolare, politica e arti visive. Con l’opera Ahora si #1 (2018), ci riporta al qui ed ora, verso una dimensione più terrena. Così anche l’opera dell’americano Daniel de Paula. Artista la cui attitudine non lo lega al campo dell’arte, ma al contrario lo vede interessato all’architettura, all’urbanistica, alla geografia e all’astronomia. I suoi oggetti hanno una forte e indivisibile relazione con le azioni che gli permettono di esistere e di significare. È il caso di Abstract time (2019): un orologio da polso, questo sostituito da banconote, corrispondenti al salario minimo di un lavoratore. Opera che ancora una volta ci ancora al tempo presente.
Concludendo, incontriamo l’israeliano Ariel Schlesinger. Attraverso la sua arte, fatta di oggetti comuni trasfigurati e resi surreali, costruisce un immaginario poetico che suggerisce alcune situazioni e contesti, come ad esempio quello del suo paese natale, ma non solo. Partecipa alla mostra con The retroactive thinkers (2018), due scarpe incalzabili, abbandonate a terra, come se non fi fosse il tempo di sistemarle, perché esso fugge ed è inafferrabile. Infine, a riportarci a terra e a ricordarci che l’essere umano è imperfetto è Wilfredo Prieto con Camisa sin botòn (2019), la cui camicia senza bottone richiama le parole di Voltaire, che dell’essere umano diceva: metà terra, metà cielo; un po’ sopra le bestie e un po’ sotto gli angeli, vagabondi tra paradiso e inferno.
Informazioni
Galleria Massimo Minini
Via Apollonio, 68, Brescia
Tel. +39 030383034
info@galleriaminini.it
Mon to Fri: 10.30 – 7.30 pm
Sat: 3.30 – 7.30 pm