Print Friendly and PDF

Bruno Ceccobelli. Sanificare anche l’Arte?

Bruno Ceccobelli, 2015, Photo Courtesy Auro e Celso Ceccobelli Bruno Ceccobelli, 2015, Photo Courtesy Auro e Celso Ceccobelli
Bruno Ceccobelli, 2015, Photo Courtesy Auro e Celso Ceccobelli
Bruno Ceccobelli, 2015, Photo Courtesy Auro e Celso Ceccobelli

Anche nell’arte i pochi detentori “delle redini della psico-dittatura” impongono le logiche del commercio globale. Ma l’arte non può e non potrà mai essere una merce

Se ancora in questi giorni si discute se sarà necessario tornare a chiudere gli italiani fra le quattro mura della propria casa, la società già da tempo – dopo una relativa pausa estiva – è rientrata in quella sorta di “bolla” che anestetizza ogni attività. Regna la paura, è necessario rallentare ogni situazione vitale, tenere distanti le persone, proibire che si riuniscano. Una “sospensione” che riguarda anche il mondo dell’arte: niente fiere, pochissime e distanziatissime inaugurazioni delle pochissime mostre programmate, incontri e confronti di idee trasportati di nuovo sui mezzi virtuali. E un sistema dell’arte così “frenato” si espone ad essere osservato anche nei suoi meccanismi ormai metabolizzati. Bruno Ceccobelli analizza le dinamiche dell’opera fra valore intrinseco e valore di mercato: ci piacerebbe che sul tema si aprisse un dibattito…

In quest’anno covidiano mi sono venuti alcuni dubbi su uno stato dell’arte stordito da tutti i passaggi commerciali. Che, se da un lato potrebbero anche aumentare il valore economico dell’opera, allo stesso tempo diminuiscono la comprensione della sua portata “sacrale”. E dell’energetica riflessione estetica-esistenziale che deve provocare.

Ricordo tempo fa, a Roma, una conferenza universitaria sul mondo della pittura classica e dell’archeologia, che toccava anche la commistione con opere d’arte contemporanea e la dialettica dei loro rapporti estetici. Un conferenziere, professore, studioso, archeologo, quando iniziò a parlare dell’arte del mondo contemporaneo, mi stupì con la seguente frase: “…e poi c’è l’arte del mercato”.

Non avevo mai immaginato che per alcuni studiosi dell’arte dell’antichità classica, l’Arte Contemporanea potesse risultare un prodotto così artefatto da un sistema di mercato coercitivo, o addirittura da un sistema di critica prezzolata.

Naturalmente questa è una credenza di parte, comune tra i non addetti. È miope credere che la Storia dell’Arte con la sua modernità e tutte le Avanguardie del Novecento abbiano costruito arbitrariamente dei segni e dei simboli del tutto funzionali ad una seduzione borghese del tutto simile ad un qualsiasi sistema di produzione di oggetti standard. Questo davvero è troppo!

Ma questa è la visione di molti fruitori che si approcciano all’arte contemporanea guardandola dai risultati formali finali. E non osservandola fin dalla sua nascita nei suoi passi significativi e nei suoi successivi scatti poetici. Non osservando il suo svolgersi tra l’antecedente stile ed il successivo passaggio dello stesso ad un nuovo segno, frutto delle visioni individuali degli artisti.

 

Marcel Duchamp, Bicycle Wheel, 1951
Marcel Duchamp, Bicycle Wheel, 1951

Senza contare poi che, dopo l’Arte Astratta, da Duchamp in poi, la concezione dell’Arte Moderna diventa, nella sua valutazione estetica, visione concettuale. Cioè il “bello” passa dall’oggetto all’idea, dal segno all’azione (vedi Action Painting, Arte Comportamentale, Narrative Art, ecc…), dalle forme alla materia. Dal racconto mimetico al messaggio metafisico spirituale, dallo stile all’analisi semantica o antropologica del linguaggio estetico, dallo studio dell’artista all’ambiente, o all’installazione (site specific art).

Andreotti, buonanima, diceva: “a pensar male si fa peccato ma a volte ci si azzecca”! Quindi mi sento un po’ complottista. È che non riesco a fidarmi degli uomini, forse perché ho capito qualcosa di me.

Ho sempre visto l’arte come parte di un Tempio, o se volete delle nostre tempie. E il mercato come una “profanazione” dello stesso.

Ora, potreste pensare che non sia realista. O che stia falsando il discorso. E che stia approfittando del mio “potere” discorsivo: “tu non sputare sul piatto dove mangi… Non si possono fare discorsi ideali, perché con gli ideali e con la cultura non si mangia”. Io rispondo: “Ehi! Allora figurarsi quanto si mangia con l’arte contemporanea!”.

Un momento prima della realtà c’è sempre un’idea: come Giordano Bruno disse della realtà, ci sono le “idee”, noi possiamo percepire “le vestigia delle idee” e poi possiamo solo comprendere… Ma solo come le “ombre delle idee”. Ecco quindi un’ipotesi o una teoria, dove vi spiego quello che si potrebbe vedere se l’osservatore fosse “nudo”.

Questa società post-capitalistica mercantilmente impura, suicidata di ritorno dalla natura stessa, è bloccata (vedi l’anno horribilis 2020). Non si riesce mai ad andare “oltre”, a pensare ad un “altrove” che l’attuale sistema produttivo non voglia. Non un’altra maniera di vivere che quella attuale. Perché non è che tutto questo, comunque, faccia comodo ai più, ma è solo che quei pochi detentori delle redini della psico-dittatura impongono una forzata meccanica logistica del commercio globale: il sistema autoritario ricattatorio delle merci.

Ebbene, l’arte non può e non potrà mai essere una merce. Certo si compra e si vende, ma chi la vive come merce è un feticista infelice. Perché? Perché allora, nella sua brama, dovrebbe acquistare tutte le scarpe del mondo!

 

Jacopone da Todi nell'affresco di Paolo Uccello, nel duomo di Prato
Jacopone da Todi nell’affresco di Paolo Uccello, nel duomo di Prato

L’arte come metalinguaggio ha sempre un vero valore nella sua Bellezza, nella sua Aura, nella sua Essenza-Assenza, nella sua non appartenenza a questo mondo. Quando essa appare ci sorprende per la sua capacità di meraviglia, ci stupisce, ci inonda. O, come diceva Jacopone da Todi, nel suo amore per l’Eterno: “ci abissa”, cambiandoci.

Ed ora abbiamo un’opera d’arte, cioè una creazione ex-nihilo, un’epifania da contemplare che ci fa riflettere e che poi dobbiamo, per necessità quotidiane, monetizzare… Ma chi ne è autorizzato?

L’arte ci eterna e ci restituisce al primato cosmico della rigenerazione infinita. Ci rende la Grazia della salvezza da un mondo terroristico e disumano, un mondo oscuro dominato dal male. Perché dovremmo darle un qualsiasi prezzo?

Anche vendere un’opera è un arte, richiede conoscenza, sensibilità e altruismo. Far pagare un’opera più del suo valore è un abuso; bisognerebbe quindi avere un metro di misura per tutte le opere e per tutti gli artisti? Ma quali sono le vere opere e quali i veri artisti? È il mercato che li sa riconoscere?

Ora rientriamo nel Tempio dell’Arte, incontriamo l’artista, che è il “deus ex machina”. È lui che porta la luce. Il gallerista è il sacerdote che la espone. Poi inizia una catena di potere pagano superfetato: il mercante che è il porporato che “abbraccia” la curia, e poi le aste. E le televendite, che sono i banditori liberi, i ras del quartierino.

Questi ultimi sono dei madonnari di strada, stregoni fattucchieri che elargiscono “tele”, sporcando e svilendo gli originari valori artistici. Traslandoli in valori speculativi, tipo mercato azionario, “vendite allo scoperto” e bolle speculative urticanti. Minando così i valori nella fede artistica del vero credente.

 

Giorgio De Chirico, L’enigma di un pomeriggio d’autunno
Giorgio De Chirico, L’enigma di un pomeriggio d’autunno

Poi c’è un ultimo giro di valzer, in questa nostra “società dello spettacolo” o dei liquidi (soldi) o del suo stato gassoso (i suoi contenuti). Che sono i falsi d’autore, i fac-simile e i remake patentati da musei, da fondazioni, da riviste, da art dealer e da video promoter.

Ad onor del vero è nel mercato dell’arte del passato, è lì dove si annoverano le più grandi “ribalderie”. Che si chiamano perizie, stime, autentiche per fini personali. A cominciare da Bernard Berenson in giù. Il falso d’autore si consolida da Michelangelo in giù; fino – mi hanno raccontato testimoni – alle false opere dichiarate come proprie da de Chirico, o quelle che lui stesso pare retrodatasse; o al rifacimento di opere altrui eseguite da Picasso, che però a sua discolpa osava dire: “l’arte viene dall’arte”.

In tutto questo marasma pascola una sovrastruttura mercantile: “tutti vendono e rivendono“, come sostengono alcuni galleristi. È molto frequente che un artista ritrovi sul mercato la sua firma e il suo prodotto, venduto contemporaneamente da centinaia di possessori concorrenti: i suoi galleristi, i mercanti vari, i suoi stessi collezionisti, le aste e le televendite. Di chi ci dobbiamo fidare? In questa generalizzata speculazione, studiosi onesti dell’Arte Classica si fideranno mai dell’Arte Contemporanea?

Sono convinto che per curarsi, prima ancora di analizzare le patologie psicofisiche, occorra salvare l’anima. E ora mi domando: scampato il pericolo Covid, chissà se per il prossimo anno gli scienziati potranno scoprire un vaccino artistico per la nostra anima? Forse bisognerebbe sanificare la morale sociale

Bruno Ceccobelli

http://www.brunoceccobelli.com/

Commenta con Facebook