DANIELA FERRARI | Curatrice e Conservatrice presso il Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto.
Daniela Ferrari nasce a Trento nel 1973 e dopo gli studi in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, si laurea in storia dell’arte contemporanea all’Università degli Studi di Milano. Dal 2006 è conservatrice presso il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto e curatrice di numerose esposizioni. I suoi interessi vertono principalmente sull’arte italiana del XX e XXI secolo in particolare su Futurismo, Novecento Italiano e ricerche verbovisuali.
Nel 2012, editi da Silvana Editoriale, sono stati pubblicati il libro Archivio di Nuova Scrittura Paolo Della Grazia. Storia di una collezione e il Catalogo della Collezione VAF-Stiftung, i cui capolavori sono conservati presso il Mart come deposito a lungo termine. Nel 2018 ha scritto con Andrea Pinotti il libro La cornice. Storie, teorie, testi e di recente la postfazione per la riedizione de Il mio Morandi di Luigi Magnani, entrambi pubblicati da Johan & Levi.
Tra le mostre curate si segnalano Oltre il confine della tela. Fontana Burri Manzoni Dadamaino Bonalumi Scheggi (2015, MAG, Riva del Garda); I pittori della luce. Dal Divisionismo al Futurismo con Beatrice Avanzi e Fernando Mazzocca (2016, MAPFRE, Madrid; Mart, Rovereto); Fontana/Melotti. Spazi angelici e infinite geometrie (2016, Mazzoleni Art, Londra); Un’eterna bellezza. Il canone classico nell’arte italiana del primo Novecento con Beatrice Avanzi (2017, MAPFRE, Madrid; Mart, Rovereto); More thanwords… (2018, Mazzoleni Art, Londra); Margherita Sarfatti. Il Novecento Italiano nel mondo (2018, Mart, Rovereto).
Daniela, come nasce la sua passione per l’arte? Come si è avvicinata alla professione di curatrice?
Tutto è nato da un desiderio intenso, da un’attitudine che – seppur priva di margini precisi – è apparsa in me fin dall’infanzia e in seguito la consapevolezza di voler essere parte attiva nel mondo dell’arte ha determinato il resto e definito le mie scelte. L’Accademia di Belle Arti ha plasmato la mia formazione a diretto contatto con gli artisti e le opere, consentendomi di intraprendere poi il percorso di studi come storica dell’arte con una diversa e più complessa capacità di visione. L’avvicinamento alla professione di curatrice è avvenuto in modo graduale, dopo varie esperienze di lavoro sempre in ambito artistico, un master in gestione delle istituzioni artistiche e museali, vari stage che mi hanno permesso di imparare molto e, infine, l’approdo al Mart.
Come anticipato, dal 2006 è approdata in qualità di curatrice e conservatrice al Mart, importante istituzione museale di Trento e Rovereto – fondata nel 1987 – e punto di riferimento per l’arte moderna e contemporanea in Italia. Che tipo di curatore è Daniela Ferrari? Quali sono le sue principali mansioni?
Le mie prime collaborazioni con il Mart risalgono al 1998, ma solo nel 2006, dopo aver vinto un concorso come funzionaria storica dell’arte si è realizzato il sogno di accedere al “dietro le quinte” del museo, per così dire, e da quel momento è stato un crescendo: nuove mostre, collezioni, pubblicazioni, progetti. Grandi soddisfazioni, ma anche molta dedizione e impegno, osservando e cercando di imparare sempre, in primis da Gabriella Belli, fondatrice del Mart, a cui devo un imprinting fondamentale e poi dai direttori a seguire, Cristiana Collu e Gianfranco Maraniello.
Il mio lavoro si articola secondo molteplici mansioni: la conservazione, l’incremento, lo studio, la valorizzazione, la gestione delle collezioni del museo e la progettazione di mostre. Amo particolarmente lo studio delle opere, necessario all’ideazione di progetti di ricerca e valorizzazione, mi entusiasma la realizzazione delle esposizioni sia permanenti sia temporanee, nell’ambizione di creare dialoghi sempre rinnovati tra le opere, così come la scrittura di saggi di approfondimento o la curatela di pubblicazioni scientifiche.
Oltre 20 mila opere, raccolte nel tempo grazie a una lungimirante politica di acquisizioni, depositi e donazioni, costituiscono le Collezioni del Mart. Una Collezione che attraversa oltre 150 anni di storia dell’arte italiana e internazionale, dalla fine dell’Ottocento al contemporaneo, spaziando tra dipinti, sculture, fotografie, disegni, incisioni, video arte, installazioni di importanti maestri quali Agnetti, Basilico, Boccioni, Boetti, Carrà, de Chirico, de Pisis, il futurista roveretano Depero, Dorazio, Fontana, Kandinskij, Manzoni, Morandi, Schifano, Sironi, Vedova, solo per citarne alcuni. Quanti curatori vanta il museo? Lei, in particolare, di quale Collezione si prende cura e quali metodi di promozione e di valorizzazione adotta?
Le mie funzioni sorgerebbero su un terreno arido se non vi fosse una costante cooperazione con le diverse professionalità in museo. Il confronto con gli altri curatori deve essere costante: siamo una decina tra curatori e assistenti a cui vanno aggiunti anche i colleghi che si occupano dell’Archivio del ’900 e della Biblioteca, una miniera preziosa di documenti e materiale librario raro e specialistico, risorsa imprescindibile per un museo che voglia realizzare mostre di ricerca.
Mi dedico in particolare all’arte moderna, anche se la collezione di cui sono curatrice responsabile al Mart, la VAF-Stiftung creata da Volker Feierabend, spazia dalla fine dell’Ottocento, con sculture di Medardo Rosso e Paolo Troubetzkoy, ai giorni nostri. Vanta capolavori dell’arte italiana del primo Novecento di Balla, de Chirico, Campigli, Carrà, Casorati, Funi, Oppi, e del dopoguerra, con opere di Agnetti, Dadamaino, Rotella, Uncini, per arrivare al contemporaneo più stringente con opere di artisti molto giovani promossi attraverso il premio biennale VAF-Stiftung. La collezione annovera più di 2.000 opere e centinaia di artisti ed è in crescita costante.
Le mostre, i riallestimenti nella collezione permanente, il lavoro divulgativo dell’area educazione e i prestiti fra musei sono solo alcuni dei metodi di promozione e valorizzazione del patrimonio artistico del Mart. Spesso viaggio come courier, seguo da vicino l’allestimento delle opere che il Mart concede in prestito, ed è straordinario entrare in dialogo con altre realtà museali in una crescita reciproca.
Tra così tante bellezze custodite al Mart, qual è il suo “pezzo del cuore” e perché?
È veramente difficile rispondere senza far torto a tante opere che amo e fanno parte del mio percorso di studiosa, come Le figlie di Loth (1919) di Carrà o Beethoven (1928) di Casorati, per citare solo due capolavori del Mart, la cui eredità visuale è così determinante nella storia dell’arte moderna italiana che prediligerne uno crea imbarazzo. Nominerò, quindi, un’opera che arricchisce da pochi giorni la collezione del museo. Si tratta di un nuovo deposito a cui ho lavorato nel corso dell’emergenza sanitaria: il Ritratto della moglie sullo sfondo di Venezia (1921) di Ubaldo Oppi, un dipinto intenso e misterioso. La donna, elegantissima, quasi regale, nel suo abito in velluto ottanio sembra posare serena e confondersi nelle variazioni di blu, azzurro, smeraldo su cui si gioca tutta l’articolazione cromatica della composizione. Negli occhi chiari si cela un’espressività vivissima, un’inquietudine, come se fosse in procinto di scattare, di scappare da quella realtà dipinta, tra il magico e il metafisico. Sullo sfondo si intravede una laguna silenziosa e calma, cristallizzata in un eterno istante, così simile alla Venezia silente che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi.
Quali sono gli aspetti fondamentali per la buona gestione di una collezione d’arte di un museo? Quale sistema di ordinamento e informatico avete adottato? Come vengono conservati, tutelati e protetti i capolavori del Mart?
Il criterio per gestire al meglio una collezione d’arte si può semplificare con due parole: conoscenza e responsabilità. Dietro a questo si cela una macchina complessa di singole professionalità che collaborano. Il mio ruolo impone sì uno studio costante, ma non può prescindere dalle competenze altrui.
La collezione del Mart è da anni monitorata e organizzata grazie a un database relazionale aggiornato regolarmente con nuove informazioni e approfondimenti. Al database accedono più settori del museo poiché risponde alle esigenze di vari ambiti, anche quello dell’organizzazione delle mostre, per fare solo un esempio: ogni settore implementa la parte di propria competenza. Come curatrice devo confrontarmi con l’archivio fotografico e mediateca, con il responsabile degli allestimenti, ma soprattutto con il registrar. C’è un aspetto logistico molto delicato in capo all’ufficio registrar che deve preoccuparsi di mettere in pratica tutto ciò che riguarda la tutela, la conservazione, il trasporto, l’assicurazione, la protezione delle opere.
È necessaria un’attenzione costante nei diversi momenti in cui si articola la vita di un’opera in museo: la verifica periodica dello stato di conservazione con il supporto di restauratori, la gestione dei prestiti, le fasi di allestimento e disallestimento di mostre e collezione permanente, il monitoraggio delle opere esposte o conservate nello storage. Durante il lockdown, a museo chiuso, i colleghi dell’ufficio registrar hanno controllato regolarmente le opere e il dialogo con loro è stato quasi quotidiano.
Sempre in merito alla buona gestione, come ha già giustamente anticipato, diverse e specifiche sono le competenze su cui può contare il Mart (curatori, conservatori, ricercatori, archivisti, professionisti della formazione, della divulgazione scientifica e della comunicazione) e sulle quali fonda e costruisce la sua attività culturale ed espositiva. In qualità di curatrice e conservatrice, con quali professionisti o uffici le capita di collaborare più di frequente?
Il ruolo che rivesto comporta un confronto costante con tutti i settori del museo, a partire dalla Direzione. È un privilegio potersi dedicare a progetti anche molto diversi fra loro, mantenendo sempre un contatto vivo e arricchente con le varie professionalità presenti in museo. Mi piace immaginare la struttura del museo come una ragnatela che collega ognuno di noi e rende il lavoro di tutti interdipendente: amministrazione, mostre, collezioni, biblioteca e archivi, educazione, archivio fotografico, comunicazione, stampa e marketing sono settori indispensabili l’uno all’altro.
La mostra che ho curato tra il 2018 e il 2019 dedicata alla figura di Margherita Sarfatti – la prima donna storica dell’arte, fondatrice di Novecento Italiano e ideatrice del concetto di “moderna classicità” che ha definito l’arte italiana tra gli anni Venti e gli anni Trenta – mi ha consentito di collaborare con molti colleghi del Mart e con quelli del Museo del Novecento di Milano. È stata una bella sfida organizzativa e soprattutto una mostra di ricerca nata a partire dal desiderio di esporre non solo le opere d’arte, ma anche i documenti e i libri preziosi conservati nell’Archivio del ’900. Ho amato molto la fase ideativa del progetto e lo straordinario lavoro di squadra che ha comportato: vorrei rivivere nuovamente i momenti dell’allestimento, quando un giorno dopo l’altro ciò che prima era ancora nell’immaginazione diventava via via sempre più concreto e pronto per essere fruibile dal pubblico.
Daniela, il Mart è uno di quei musei “capace di sovvertire l’ordine canonico della tradizione espositiva” e in esso nel corso degli anni ha curato numerose mostre di grande qualità e rilevanza artistica in collaborazione con prestigiosi musei italiani e internazionali. Quale, secondo lei, è l’esposizione meglio riuscita e perché?
Le mostre al Mart che hanno fatto storia sono numerose, a partire da quella inaugurale Le stanze dell’arte (2002–2003). Progetti interdisciplinari hanno trattato grandi temi, come la danza, la musica, il teatro, persino l’automobile, restituendo al visitatore una molteplicità di sguardi e attraendo il pubblico proprio per questa vocazione alla trasversalità dei linguaggi. Abbiamo esposto capolavori provenienti da musei di tutto il mondo e sperimentato diversi allestimenti. Sono legata personalmente alla mostra La parola nell’arte. Ricerche d’avanguardia nel ’900. Dal futurismo a oggi attraverso le collezioni del Mart(2007–2008) che indagò il connubio tra immagini, parole e pensiero, strumenti privilegiati del contemporaneo. Fu un’esperienza coraggiosa che coinvolse nove curatori, con un catalogo imponente, ricco di contribuiti, centinaia e centinaia di opere e un allestimento quasi invasivo, che si allargava anche negli spazi della biblioteca e degli uffici, ma rispettoso dei volumi progettati da Mario Botta. I muri del museo sembravano dotati di voce. Le sale risuonavano di parole.
A proposito di mostre “non convenzionali”, l’anno scorso ha curato insieme a Denis Isaia Passione. 12 progetti per l’arte italiana, un programma dedicato alla prestigiosa Collezione della VAF-Stiftung, impresa culturale tedesca, fondata da mecenati illuminati, che sostiene e promuove l’arte italiana, e che dal 2002 trova casa al Mart. Com’è nata l’idea di questo “dinamico” progetto espositivo e quali le opere esposte?
Abbiamo messo in mostra il risultato di un sentimento travolgente, ciò che muove un collezionista quando dà vita a una raccolta complessa e articolata come quella della VAF-Stiftung interamente dedicata all’arte italiana: la passione. E la passione ti porta a perseguire obiettivi lontani dal calcolo razionale. Abbiamo raccontato il Novecento, descrivendone le tendenze in modo libero e antidogmatico, con oltre 250 opere allestite per mettere a fuoco diverse storie dell’arte, creando accostamenti inediti, giocando per associazioni e forti contrasti, mettendo in luce i protagonisti noti e quelli che meno ti aspetti, ma soprattutto cercando di esporre, accanto ai capolavori, opere poco conosciute, per offrire al pubblico un panorama visivo davvero ampio. È stata una scoperta per molti e uno sforzo articolatosi in più momenti espositivi definiti da titoli evocativi come Materia, Tradizioni e anacronismi, Modernità e industria, Immaginario Pop, Interno borghese, Roma anno zero, Miracolo a Milano, Pittura analitica e Arte nucleare.
Al giorno d’oggi il mondo dell’arte sta subendo un duro colpo, la pandemia da Covid-19 imperversa e blocca interi paesi, costringendo musei, gallerie, archivi e fondazioni a fermarsi e le fiere al posticipo o addirittura all’annullamento dei propri appuntamenti. Il momento di trasformazione e di incertezza economica che stiamo vivendo impone un brusco cambiamento alle nostre abitudini e un ripensamento del proprio lavoro. Quali, dunque, i suoi pensieri sul prossimo futuro, attualizzati anche al suo ruolo di curatrice e conservatrice?
Quest’esperienza drammatica ci ha costretti a tirare il freno. La produzione incessante di progetti, le scadenze che incombono e il tempo che incalza. La pandemia ha imposto uno stand by a tante consuetudini e il ritmo frenetico che regolava le nostre vite all’insegna della velocità si è trovato a doversi sincronizzare con un metronomo rotto. Abbiamo provato ogni sentimento e il suo contrario e per ognuno di noi l’esperienza è stata unica e diversa perché rapportata con realtà di convivenza domestica di ogni genere. Nel mio caso, in attesa di poter allestire le mostre primaverili posticipate a fine giugno, ho potuto privilegiare la ricerca e lo studio. Da tempo lavoro a una nuova edizione del catalogo ragionato della collezione VAF-Stiftung che si articolerà in tre volumi. Quello dedicato al primo Novecento è atteso entro l’anno: più di trecento opere corredate da schede scientifiche. Il mio smartworking si è dovuto però scontrare con la chiusura di biblioteche e archivi per cui le risorse digitali sono diventate fonti ancora più preziose.
Molto si è fatto per proiettare il mondo del museo e dell’arte nelle case ed è stato uno sforzo necessario, per tenere viva la curiosità e la voglia di conoscere, per ingaggiare nuovi visitatori. Ma il mondo dell’arte vive di relazioni reali, di rapporti diretti tra me, l’opera e lo spazio che abito. La cornice dei nostri schermi non sarà mai “magica” quanto quella che incastona un quadro reale. Il lavoro di creativi, storici dell’arte, mediatori culturali e didattici, programmatori è stato e continuerà a essere fondamentale. Hanno rapidamente ideato strategie per aprire i musei o i siti d’arte alla realtà digitale, hanno implementato quanto era già attivo: ed è il caso del Mart che nell’utilizzo del digitale e dei social come canale di comunicazione e fruizione è stato pioniere. Nuove regole e nuovi parametri dovranno regolare i nostri comportamenti futuri. Serviranno formazione e rispetto.
Ha una “mostra nel cassetto” che le piacerebbe curare e organizzare con i capolavori del Mart?
Ne ho molte a dire il vero. Vorrei dedicarmi a mostre monografiche per approfondire e promuovere un artista nella sua complessità, raccontando al pubblico tutto il suo percorso creativo. Felice Casorati è un mio grande amore da sempre, ma la mostra che vorrei davvero poter curare e che realmente è nel cassetto ha l’ambizione di esplicitare in immagini un tema trasversale, indagato da molti filosofi e artisti del Novecento: il dispositivo della cornice. Grandi capolavori sono protetti da cornici altrettanto significative, talvolta indisgiungibili dal dipinto e create insieme a esso. Parlare di cornice significa parlare di margini, di soglie, di finestre e di confini. È un tema estremamente versatile che ho esplorato con Andrea Pinotti in un libro uscito nel 2018. Mi piacerebbe raccontare la storia di questo elemento giungendo al contemporaneo, evidenziando i momenti in cui ci si è resi conto che la cornice poteva essere superflua e non più necessaria a definire il confine dell’opera. Del resto il museo stesso è una cornice ipertrofica che segna lo spazio sacro dell’arte.
Per concludere, Tips&Tricks, tre consigli che si sente di dare a un (neo)curatore che si sta approcciando per la prima volta alla professione.
Studiare (sempre), ascoltare (gli artisti, i colleghi), osare (senza peccare troppo di hybris). In poche parole: essere dei concreti visionari.