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The body as language. A Milano, le performance di Zhang Huan in una mostra fotografica

Zhang Huan, To raise the water level in a fish pond (close up), 1997, courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio
Zhang Huan, To raise the water level in a fish pond (close up), 1997, courtesy the artist and Galleria Giampaolo Abbondio

La Galleria Giampaolo Abbondio presenta, nella sede milanese della Galleria Giovanni Bonelli, un’esposizione dedicata all’opera di Zhang Huan: una serie di fotografie documentano le performance più famose dell’artista cinese, tra i maggiori esponenti dell’arte contemporanea internazionale. Fino al 16 gennaio 2021.

La Galleria Giampaolo Abbondio prosegue nel suo programma di presentare, in vari luoghi espositivi della città di Milano, progetti dedicati a grandi protagonisti dell’arte contemporanea internazionale. Dopo l’installazione di Magdalena Campos Pons, ospitata nello spazio temporaneo di corso Matteotti, è il turno dell’artista cinese Zhang Huan (Henan, 1965), contemporaneamente protagonista di una personale al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo. A dieci anni dalla sua esposizione al PAC, The body as language (il cui titolo è un tributo a Lea Vergine), a cura di Flavio Arensi, ripercorre gli anni di formazione dell’artista tra la Cina e New York. Una serie di opere fotografiche documentano le sue performance più famose, da quelle degli anni novanta fino a My Rome, prodotta nel 2005 dalla Galleria Giampaolo Abbondio.

© Antonio Maniscalco

Giocata sul confine tra Oriente e Occidente, l’opera di Zhang Huan esplora il corpo come incontro e scontro di diverse culture e temporalità. Ne sono un esempio le fotografie della serie Family Treeche documenta la performance in cui Zhang Huan aveva chiesto a tre calligrafi di scrivere sul suo volto in ideogrammi, miti e divinazioni della tradizione popolare cinese, dalle prime luci dell’alba fino a sera. Nel corso della giornata l’iscrizione di questi racconti aveva tramutato il viso dell’artista fino a renderlo irriconoscibile: al calare della notte, il volto di Huan, diventato completamente nero, simboleggiava l’impossibilità di definire un’identità precisa.

© Antonio Maniscalco

Il percorso prosegue con To Raise the Water Level in a Fishpond, in cui l’artista insieme a una quarantina di persone si immergeva nell’acqua di uno stagno tentando di alzarne il livello dell’acqua. Lo scopo, trascendere il significato di un detto cinese secondo cui un singolo individuo non poteva influenzare l’ambiente circostante. Quindi con 3006m3: 65Kg, realizzata nel 1997 al Watari Museum di Tokyo, dove ‘3006 m3’ indicava il volume totale del museo giapponese e ‘65 kg’, il peso dell’artista. Legato alla struttura da centinaia di tubi usati per le trasfusioni di sangue, Zhang Huan cercava di abbattere il museo, uno dei simboli della civiltà moderna, ricevendo in cambio di essere sbattuto indietro verso le mura dello stesso museo.

© Antonio Maniscalco

Passando per Window (2004, Shanghai) con l’artista cinese che inscena una relazione, al limite dell’intimità spinta, con un asino, la mostra si chiude idealmente con My Rome. In quest’ultima performance, il corpo diventa tramite tra la cultura tradizionale cinese e l’occidente, rappresentando il suo incontro con le statue della Roma antica conservate nei Musei Capitolini. Zhang Huan si relaziona con il Marforio, l’enorme scultura marmorea di epoca romana, risalente al I secolo d.C.

© Antonio Maniscalco

 

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