Van Gogh a Hollywood: la leggenda cinematografica dell’artista, un libro per scoprire come gli artisti vengono rappresentati al cinema
Non solo Van Gogh, il mondo del cinema ha sempre avuto una grande attrazione per gli artisti e le loro storie, forse anche per merito dell’aura di leggenda che spesso li circonda: artisti geniali ma incompresi e sfortunati che trovano attraverso la lora arte riscatto agli occhi del mondo, anche se – spesso – troppo tardi per goderne a pieno.
Modigliani, Pollock, Warhol, Picasso, sono solo alcuni dei grandi artisti che hanno trovato sul grande schermo nuova vita; con loro anche Giacometti (Final portrait con Geoffrey Rush e Armie Hammer), Margaret Keane (Big eyes di Tim BUrton), Klimt, Schiele e molti altri. I registi più ambiziosi e gli attori più quotati hanno fatto a gara per dirigere e interretare queste “vite d’artista”, per fare rivivere al cinema il magnetismo della loro opera artistca e la complessità dei loro caratteri.
Attraverso l’attenta analisi di questo filone, Marco Senaldi nella nuova edizione del suo Van Gogh a Hollywood: la leggenda cinematografica dell’artista (Meltemi Editore) mette in luce come «proprio nelle nostre società, apparentemente laiche e inclini al cinismo, resista un’autentica “mitologia mediale” e sopravviva l’inossidabile “leggenda dell’artista”».
Il libro procede prende in esame alcuni artisti particolarmente significativi e mette a confronto le diverse rappresentazioni che hanno avuto al cinema, in questo confronto vengono così evidenziati aspetti diversi di questi personaggi, e l’esame delle loro differenze lascia trasparire che cosa significhi, per esempio, Van Gogh per noi: «il modo in cui il suo mito ci serve per colmare le nostre incoerenze, gli “enigmi che noi siamo a noi stessi”». L’autore procede procede non tanto in una comparazione di carattere formale tra i film, ma prende piuttosto in considerazione quegli artisti le cui biografie hanno dato vita a una o più opere cinematografiche: «Ciò che si cercherà infatti di delineare sarà piuttosto una “genealogia dell’immaginario”; ossia quell’insieme di snodi storici e concettuali tramite i quali la vita e l’opera di determinati artisti vengono elevate al rango di icona mediale popolare».
In quale modo si è venuta a creare la mitologia specifica di questi artisti nel nostro immaginario? Quella di Sartori è un’analisi che combina prospettive sociologiche, mediali e psicologiche, restituendo i motivi e i momenti di una “figura” in grado di assillare il nostro desiderio e il nostro godimento estetico, un fenomeno in cui le vicende produttive e culturali delle pellicole stesse non sono estranee.
Il libro analizza in maniera approfondita cinque artisti in particolare e le loro vite sullo schermo: Vincent van Gogh (e collateralmente Gauguin), Picasso, Pollock, Frida Kahlo, Andy Warhol. Tra i vari cliché che incombono sull’artista (definendolo, descrivendolo e cristallizzandolo) quello di refusé è uno dei più immarcescibili, e tra i vari tòpoi (vecchi e nuovi) che definisco l’artista in quanto tale – agli occhi della percezione popolare – a costituire la base della trasformazione dello stereotipo simbolico in idealizzazione immaginaria troviamo proprio quello di refusé.
L’artista è percepito come un ousider, geniale ma in preda (ovviamente) a un tormento interiore, una figura che trovo posto non al centro della società ma ai suoi margini o – anche quando con un ruole centrale nell’apparato sociale – estraneo ai suoi meccanismi, eroe vittima dello scontro ideologico e dell’autodistruzione psicologica (Brama di vivere di Vincente Minnelli su Van Gogh, con Kirk Douglas; Il tormento e l’estasi su Michelangelo, La fonte meravigliosa di King Vidor su Frank Lloyd Wright). Attraverso queste rappresentazioni l’artista diventa uno schema attraverso cui prende vita la figura dell’eroe.
Un’antropologia di Van Gogh: partendo dalle osservazioni di Georges Bataille e Antonin Artaud, Senaldi inizia a prendere in esame Lust For Life (Brama di vita) come primo grande esempio di operazione hollywodiana che ha saputo rendere un artista, Van Gogh in questo caso, un eroe cinematografico – sottolinenado le peculiarità di un momento di snodo nella storia dell’industria cinematografica (la metà degli anni ’50) in cui lo star system vede dei profondi cambiamenti al suo interno. La peculiarità di questa operazione cinematografica (poi non dissimile da altre, in questa accezione) è quella di aver restituito al pubblico un Van Gogh che potesse trovare un riscontro (positivo) nell’immaginario della cultura popolare.
Si passa poi all’analisi di Vincent & Theo diretto da Robert Altman, con Tim Roth nei panni del pittore olandese, di Sogni di Akira Kurosawa che crea un ponte (di ritorno) tra narrazione orientale e arte occidentale, poi ancora Van Gogh di Maurice Pialat e Vincent e io di Michel Rubbo. Nella parte finale del libro, dove vengono citati alcuni esempi di biopic artistici più recenti, si torna poi a parlare di Van Gogh in relazione al film di Schnabel, Sulle soglie dell’eternità, sottolineando il diverso approccio registico rispetto alle pellicole precedenti.
La seconda parte del libro è invece dedicata a Picasso, che simbolicamente rappresenta un sistema di valori diametralmente apposti a quelli incarnati della figura di Van Gogh: «Picasso rappresenta l’opposto mitico di Van Gogh. Se la costellazione immaginaria di quest’ultimo richiama invariabilmente la solitudine, l’incomprensione degli amici e del pubblico, la povertà, la rinuncia fino al martirio, e al supremo sacrificio della vita, la mitologia picassiana si nutre viceversa di numerose e influenti amicizie, di un consenso che si trasforma in successo planetario, di agiatezza che diviene ben presto immensa ricchezza, di inarrestabile carica erotica. Se Van Gogh è il Cristo degli artisti, Picasso ne è il Dioniso, e insieme il Minotauro». La sua è una figura che ha calamitato l’attenzione di registi come Henri-George Clouzot (Le Mystère Picasso) e Orson Welles (F for Fake), interpretato al cinema da attori come Anthony Hopkins (in Surviving Picasso di James Ivory).
Frida Kahlo? Un esempio perfetto di “diva a rovescio”, a lei è deciata la terza sessione del ibro che analizza la sua natura di mito recente: al contrario di Van Gogh e Picasso che affondano le radici della loro notorietà e del loro alone mitico nelle viscere del ‘900, Frida Kahlo è un’artista che ha visto salire le sue quotazioni (sia all’asta che nei consensi del grande pubblico) solo da pochi anni, complice anche il film di Julie Taymor (Titus, Across the universe) interpretato e prodotto da Salma Hayek.
Proseguendo la sua trattazione concentrandosi sulle figure di Pollock e Warhol (senza tralasciare altri artisti e titoli cinematografici), con un taglio filosofico e psicanalitico (non mancano le voci di Žižek e Lacan), il libro stimola una riflessione approfondita sui metodi e sui meccanismi con cui il linguaggio cinematografico (e le sue intenzioni) è in grado di costruire mitologie artistiche, in grado di mutare negli anni, sia nella forma che nella propria sostanza. Un excursus gustosissimo e ricchissimo tra arte, cinema e filosofia, per capire più a fondo la complessità della fascinazione sul grande pubblico delle “vite d’artista”.
>> Marco Senaldi è critico, teorico d’arte contemporanea e ricercato-re indipendente. Ha pubblicato, fra l’altro, Enjoy! (20062), Doppio sguardo (2008), Rapporto confidenziale (20122) e Duchamp (2019).