Teatro, maschera, trucco, pagliaccio, clown. Lo sguardo “patafisico” di Bruno Ceccobelli fra arte, politica e società. Fra Beuys e De Dominicis
Ve la immaginate l’incredulità di un “pottarello” di campagna di cinque anni che un giorno nel 1957 vede piazzarsi, nell’aia sotto casa sua, a cinquanta metri in linea d’aria dal suo lettuccio, un minuscolo e rattoppato circo di strada? In questo sapore antico delle fiabe ho conosciuto Fiacca, un pagliaccio senza colore, pigro… Aveva scarpe nere e tutte sbrindellate e così lunghe e strette che ad ogni passo inciampava, facendo ridere. Io lo seguivo ammutolito. A differenza dei suoi famigliari circensi, sempre forsennati nei montaggi, lui, dalle brume della mattina alle ombre dei vespri, non cambiava mai il suo “costume”, il suo trucco.
Vedendolo in giro ciondolare con le mani in tasca e capo ricurvo, tutti l’appellavano: “Ehi! Fiacca dove vai?”. Fiacca, stralunato e noncurante, rispondeva poco complice, solo con qualche mossetta, indebolita dalla sua magrezza esistenziale. E poi filava dritto senza fiatare o soffermarsi con alcuno. Pur pressandolo con la mia innocenza curiosa, da quel pagliaccio per caso non imparai nessun trucco. Ecco, in questo attuale tragico stillicidio della giornaliera punizione del Covidiano Giudizio Universale, rivedo tutta l’umanità in quella figura bislacca melanconica della mia infanzia.
“Ehi dove vai fiacca umanità?” sopravvissuta, ma oramai sperduta nel benessere dei tempi facili che furono. Ti vedo fiaccata, non ce la fai più a riprenderti, o a escogitare la “vista” di un bel quadro… Insomma, ci ritroviamo prigionieri di una società post-umana, che alla prima difficoltà globale, è senza più “visioni” globali e particolari. Con una politica, una scienza e una tecnica fiaccate nelle meningi creative. Rabdomanti e senza soluzioni certe… tipo medicina a distanza. Forse che tutti quegli ormoni per successi forzati, degli anni dell’edonismo, forse che tutto quel voyeuristico consumistico e forse che quel mediatico virtuale-psichedelico stravacchismo ozioso, ci hanno alienati e castrati… esponendoci a tempi difficili?
Oleg Konstantinovic Popov, il grande clown del Novecento, precursore del naso rosso, fu insignito negli anni Sessanta della massima medaglia al valore del Popolo Russo. E disse che “…solo i cattivi clown hanno dei segreti…”. Ecco, “mutatis mutandis”: dai segreti ai misteri, fare politica, dicono gli “esperti”, è l’arte (o la recita) del compromesso. Eh sì! Perché non sanno applicare la regola “solo i cattivi politici hanno dei ‘segreti’”. I politici, invece di essere “dei servi di scena”, sono anch’essi buffoni tristi, salgono su un palco, recitano la loro parte secondo un copione da teatrino e fanno promesse che poi non mantengono.
Bene, bene, bravi; allora ci ricorderemo che quando andremo a votare per scegliere un partito o un movimento, voteremo una mezza promessa, una mezza cartuccia…, una mezza bugia. E così via, anche la scienza con la sua sicumera che tutto sa e tutto può… ha i suoi “segreti”. Così le case farmaceutiche oggi ci fanno credere che tutti nascono malati… di vita (dai portatori sani, di una volta, ai famosi covidiani, tutti, malati asintomatici). Eh sì, così bisogna curarsi, fin dalla nascita con terapie hi-tech… intanto muoiono in troppi. Allora quel regime dittatoriale russo premiò un artista, un clown, come mai da noi nell’occidente “acculturato e democratico”. Per esempio nella Costituzione Italiana la parola arte non è mai citata come un interesse nazionale (da tutelare con risorse), se non perché si possa insegnare liberamente. Eh beh no! Allora forse i Padri Costituzionali “infelici” e frastornati dalla guerra non si ricordarono di essere nella Patria dell’Arte, con nessun altro confronto nel mondo.
Si potrebbe riformulare la stessa “perla” di saggezza del clown nell’Arte Contemporanea: “solo i cattivi artisti hanno delle strategie economiche”. Non esporrò concetti sulla Bellezza, ma scriverò dei Centri Estetici dei “costumi” delle Mode, di quella società dei trucchi e parrucchi, bellimbusti con quegli atteggiamenti da palloni gonfiati artificialmente, di quell’élite mediatica dei ritocchini uno qua e uno la e voilà, sgorbi rimodellati, semi-industriali, contaminati. Dei signori delle luci della ribalta, altrimenti salta l’audience, insomma dei bulimici del potere, degli arconti mai sazi; mostrerò i famosi cavalieri del mascara che “mascarati” truccano.
I miei maestri teosofici** mi hanno insegnato che la mia reincarnazione era sempre la stessa, cioè l’attore sempre lo stesso e il personaggio diverso. L’anima era sempre quella, ma il corpo cambiava nelle epoche… ecco un non segreto. Invece nella società del maialesimo (no, non c’entra niente con quella del vaccinesimo), si indossa il solito “costume” truccato, sto cercando di decifrare quella società del corpo-porco e della sua adeguata classe politica. Insomma, parlo della solita società dei magnaccioni, di quelli che non leggono mai un libro, ma che poi, se mai, lo utilizzano come spessore, di quelli che non comprano quadri perché si dovrebbero fare buchi sulle pareti. Avete capito no, intendo quegli uomini e donne travesti dell’attuale Transumanesimo trasbordante, liberticida e beota.
Nelle molte sequenze filmiche d’inizio del Secondo Millennio i vari “lupi” mimetizzati di Wall Street recitano una loro frase clou ed è sempre: “…tutto è economia, il resto sono discorsi…”. Un artista per loro è un’anima persa… invece loro sì fanno veri “capolavori”… sbancano tutto con i loro trucchi. Dalla serie: “non è oro tutto quello che luccica”, l’Arte Reale ci insegna invece che la ricerca dell’oro che ognuno fa attraverso il suo “canale” è quella di una Luce del Divino, che in arte si chiama creatività.
L’Oro, come lo intendo, è “Intelligenza” onnisciente. Che, come Platone si ostinava nel dire, “è l’insieme di tutte le idee”, che gli alchimisti chiamavano cauda pavonis o lapis o quinta essenza, l’elisir di lunga vita. Sì, perché, come ci insegnano i grandi alchimisti di un tempo l’artista reale è “colui che riesce a fare di sé stesso una vera opera d’arte”. Joseph Beuys artista antroposofo*** è stato il mio più grande modello. Profeta e sciamano, propagandava una “plastica sociale”. Cioè scolpire non un uomo attraverso il suo ritratto, ma l’insieme dei rapporti sociali, senza segreti, solo attraverso ideali spirituali, umanitari e ambientali. L’arte vista in una prospettiva sociale è una disciplina del colorarsi di valori, di ammantarsi di responsabilità e di solidarietà per la comunione armonica, così essa è reale.
Un altro degli artisti del secolo scorso che spesso incontravo a Roma e che mi ha più divertito ed entusiasmato, non era nato per caso il primo aprile 1947 ad Ancona. E passò tutta la vita a fare opere, ma sembravano “pesci d’aprile”, un vero Patafisico****, e aveva il piglio di un’altra epoca, tra la scapigliatura ottocentesca goliardica e la Dolce Vita Felliniana. Gino De Dominicis, pur essendo un esoterico… non aveva “segreti”, era una vera personalità, un mago prodigioso, sempre in tensione per il suo ruolo dal quale non usciva mai. Un artista “sospeso” e sciolto, non faceva gruppo con nessuno, fisico asciutto, faccia da moschettiere. Pieno di battute e risposte argute, che lì per lì, sembravano strambe… si direbbe una vera faina dell’humor e degli amori sciolti.
Sguardo vivido alla Dalì, aveva vari tic di testa, si riaccomodava spesso i suoi lunghi capelli, attento nel vestirsi, generalmente monocorde in nero. Con pullover a collo alto, oppure camicia bianca con cravattino nero, bocchino bianco per sigaretta continua. La sua mitopoietica filosofica mi era molto affine e io ne assorbii molti insegnamenti. Studiava: i Sumeri, l’Immortalità, Teoremi Temporali, l’Invisibilità, la Gravità Cosmica, il Doppio, i Gemelli. Il suo raggio d’azione durante il giorno erano triangolazioni spettacolari di esibizioni, con apparizioni tra diversi bar del centro di Roma a diversi orari. In quest’ordine: da Rosati in Piazza del Popolo sotto la sua Galleria Sprovieri, al Caffè Greco in Via Condotti per incontrare Giorgio de Chirico, in piazza Navona al bar Navona per incontrare personaggi del cinema, al Bar della Pace al Tempietto della Pace per incontrare i giovani artisti e per finire a notte fonda al piano bar “Le Privé”… davanti al suo hotel Locarno per incontrare i suoi colleghi.
Di episodi epici su Gino ne potrei raccontare molti, ma la sera che me lo gustai di più fu quando venne alla cena per la mia ultima mostra alla Galleria Sperone a Roma, nel 1986, dal titolo Colmo Calmo. Nonostante la presenza di Gian Enzo Sperone, il gallerista italiano più internazionale, Gino fu naturalmente l’ospite d’onore più ambito, e io gli preparai una sorpresa che lo divertì molto, prenotai tutto il “Govinda” in via dei Coronari. Un piccolo Tempio indiano degli Hare Krishna dove si poteva anche mangiare, era in un ex teatro popolare prima ancora ex chiesa barocca; il sacro spazio era addobbato eccessivamente: con lucine, drappi e fiori dai colori sgargianti, incensi e flauti dell’India e, al centro, sull’altare-palcoscenico rialzato, un enorme Shiva celeste, in posa danzante.
La scena bollywoodiana del “tempio ristorante” era animata dagli adepti del “movimento arancione”, perfettamente in costume Hare Krishna con tanto di “tilak” sulla fronte, il loro simbolo di riconoscimento, d’argilla bianca. Tutti molto affabili, quasi tutti pugliesi. Gino, in questo contorno “saporito”, si eccitò molto, fu per lui uno spasso nuovo, un’ottima cornice esotica-casareccia e così lì sbizzarrì il suo genio sarcastico e non percepì certo l’alimentazione come sacralità di comunione.
Mangiò poco, e fu sempre tra i tavoli a rinfuocare con i suoi vanesi aneddoti gli animi fantasiosi degli artisti e dei collezionisti, entusiasti del suo show. Gino era tabagista e non resistette al tentativo di accendersi una sigaretta, e al pronto diniego degli Hare Krishna per questo suo atto blasfemo, si vendicò subito. Si alzò e gridò forte: “Ehi! Peppino dov’è la mialette”. Pur essendo i “discepoli” tutti nostri connazionali, fecero finta di non sentire… e noi giù a ridere, poi Gino sparì con la sua caratteristica risata beffarda nella toilette a fumare.
Nel disimpegnato cattolicesimo della campagna umbra, lo “Spirito Santo” fu da me frainteso e si converti, negli anni, in una pura “ironia santa” figlia di un dio ridens. Fui più vicino a quelle umane fragilità di poveri e alle loro non salubri fatiche, condite da motti di spirito e da fantasiose bestemmie dialettali, piuttosto che ai “segreti” dei misteri teologici. L’ironia non ha trucchi, dissimula, svela attraverso artifici e arguzie figurali, con una creatività lampante che mostra semplicemente il rovescio delle realtà extraumane o inconsce, inconfessabili o non esprimibili dalla logica discorsiva.
Ogni individuo, religioso o ateo, indossa una “maschera” anche attraverso il suo linguaggio, quegli si chiama persona, mentre i bugiardi, i malfattori e gli psicopatici o semplicemente gli ignoranti, di maschere ne hanno di più e più ancora lingue biforcute; codesti si chiamano anonimi, errano sconosciuti per di più a se stessi. Poi ci sono le personalità, coloro che si distinguono perché individui speciali, veri, originali, insomma non copiano nessuno e ci indirizzano verso una trasformazione. Questo significa che ognuno di noi che si realizza nella propria autocoscienza è un’artista e trova la bellezza e l’oro dentro se stesso e non in quello del marcato scherzo che è il mercato.
Non voglio certo negare che vendere i propri prodotti artistici o di altra natura mentale… siano attività disdicevoli o vanagloriose, ma esse sono soprattutto i passaggi che testimoniano la propria sublimazione: quadri, sculture, testi narrativi, spartiti, video. Questi sono certamente il risultato di una ricerca esistenziale, ma sono solo i mezzi, i calchi, le orme, i corpi, la testimonianza di una crescita spirituale nell’Arte Reale. Cerchiamo una volta per tutte di capovolgere una fandonia, la depravazione patologica razionale del capital-tecno-scientista, che vuole che solo il vile conquibus sia la risoluzione del proprio benessere o della propria qualità meritoria.
È difficile far capire che non siamo noi che esprimiamo, rappresentiamo, sperimentiamo, leggiamo qualcosa di fisico, ma in realtà è il metafisico che si esprime in noi, e noi siamo uno dei tanti preziosi canali di recezione dell’Infinito che l’Assoluto possiede. L’Arte Reale come lingua del Sacro è l’ideografia della Civiltà della Luce certosina sapienziale che svela i contorni e le cornici dell’imbroglio di “costume” e soprattutto “dell’arte della moda” con una vista senza veste.
Il Sacro vuol dire “aderire elevando”, cioè superarsi nell’integrarsi nella Natura, amorosamente, è ritrovare l’individuo intero nella sua totalità… nel suo significato animico. Jacopone da Todi (1230-1306) nella laude II del suo celebre Laudario afferma: “…l’uomo nasce nemico…”. Ebbene, di questa terribile affermazione io ho dato una mia interpretazione, tra le mille che le si possono attribuire: l’uomo misero nasce nemico di sé stesso, nemico dell’anima e della verità e amico del trucco sociale figlio della sua ignoranza. Il successo, nell’arte come nella vita, non è avere gli onori e i poteri, le proprietà, i like o i soldi. Ma, come diceva lo psicanalista Jacques Lacan con profonda convinzione: “…la realtà non è il Reale”, il successo deve essere nel ritrovarsi “veri”, il capitale è sempre nell’animo umano.
Bruno Ceccobelli
http://www.brunoceccobelli.com/
Note
*“Il trucco e l’anima” è il bellissimo libro di Angelo Maria Ripellino del 1965 sulle origini del Teatro Russo nel Novecento, libro scritto con una prosa narrativa che rese deliziosa la mia formazione di Storia del Teatro. Nelle mie precedenti stagioni sono stato scenografo e attore, soprattutto nei primi tre spettacoli, con il gruppo “ La Gaia Scienza” di Giorgio Barberio Corsetti, oggi Direttore artistico del Teatro di Roma.
**Teosofia: Una dottrina neoplatonica propugnata nell’ Ottocento da Elena Petrovna Blavatsky, secondo la quale tutte le religioni del mondo conservano soltanto residui parziali di un’unica verità divina, conosciuta nelle varie epoche da un numero ristretto di grandi iniziati. Molti artisti furono teosofi da Vassily Kandisky a Kazimir Malevic da Luigi Russolo a Piet Mondrian.
***Antroposofia: dottrina che deriva dalla Teosofia, che fu elaborata dal filosofo austriaco Rudolf Steiner (1861-1925), che riconosce all’uomo la capacità di elevarsi alla conoscenza dell’invisibile e di compiere la sua necessaria funzione nell’universo. E’ noto che Joseph Beuys amò la poetica di Friedrich Schiller e condivise le teorie di Steiner.
****Patafisica: definita inizialmente come la scienza delle soluzioni immaginarie dal suo creatore, lo scrittore e drammaturgo francese Alfred Jarry, nel libro “Gesta e opinioni del dottor Faustroll” del 1911, patafisico, e spesso considerata come una logica dell’assurdo, uno schema metafisico eccentrico e una parodia della metafisica, ha successivamente influenzato vari scrittori, pittori, cineasti, critici, matematici e filosofi, fino ad essere considerata una vera e propria corrente artistica.