Print Friendly and PDF

La parola e l’immagine, forme dell’astrattismo: la nuova mostra del Louvre Abu Dhabi

Vassily Kandinsky, Trente, 1937 Photo © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist. RMN-Grand Palais Philippe Migeat Vassily Kandinsky, Trente, 1937 Photo © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist. RMN-Grand Palais Philippe Migeat
Paul Klee, Östlich Süß [Douceur d’Orient], 1938 © Department of Culture and Tourism - Abu Dhabi Photo AFP
Paul Klee, Östlich Süß [Douceur d’Orient], 1938 © Department of Culture and Tourism – Abu Dhabi Photo AFP

Prima mostra del 2021 al Louvre Abu Dhabi, dedicata al rapporto fra arte e linguaggio calligrafico. 100 capolavori provenienti sia dalla collezione permanente del Museo, sia in prestito da prestigiose istituzioni internazionali, e che spaziano dall’antichità al contemporaneo. Un affascinante percorso artistico e filosofico, a cura di Didier Ottinger e Marie Sarré, in collaborazione con il Centre Pompidou. Dal 18 febbraio al 21 giugno 2021.

Abu Dhabi. Le avanguardie artistiche europee del primo Novecento hanno avuto il merito di introdurre il linguaggio dell’astrattismo nella pittura e nella scultura, sin lì dominate dal figurativo. Ma quella che per l’Europa dell’epoca sembrò una novità assoluta, traeva in realtà ispirazione dalle antiche culture africane e asiatiche; se le prime influenzarono in particolare il Cubismo, quelle asiatiche, arabe e indocinesi su tutte furono il punto di partenza per sviluppare molteplici volti dell’astrattismo, dall’espressionismo del secondo Paul Klee all’Action Painting di Jackson Pollock, dall’astrazione lirica di Hans Hartung alle composizioni “calligrafiche” del pittore-poeta Henri Michaux. Ed è proprio sull’arte calligrafica e sull’influenza che ha avuta nell’arte, che si concentra Abstraction and Calligraphy – Towards a Universal Language, la grande mostra con cui il Louvre Abu Dhabi inaugura il 2021.

La cultura mesopotamica fu la “madre” dell’arte della scrittura grazie all’invenzione del “segno a forma di cuneo”, che evoca la pressione dello stilo sull’argilla. Il sistema, all’inizio, è logografico o ideografico, il carattere designa una parola o l’idea di una parola, senza pregiudicare il modo in cui il suono può essere pronunciato La costa del Levante, allora sotto l’influenza egiziana e in contatto con la cultura mesopotamica, è il luogo di nascita dei primi alfabeti, che notano solo le consonanti a causa della struttura delle loro lingue semitiche. I Fenici enfatizzarono la progressione dei segni alfabetici verso la pura astrazione, e attorno al I Millennio a.C. dalla costa libanese li diffusero in Occidente, in Grecia e in Italia, dove si adattarono al sistema linguistico indoeuropeo, aggiungendo anche le vocali. Era nato un nuovo sistema di comunicazione che permetteva di fissare la parola scritta, a sua volta traduzione di pensieri e avvenimenti; da orale, la memoria diventava scritta, si formava la codificazione delle fedi religiose, dalla Bibbia al Corano, si scrivevano trattati scientifici, filosofici, eccetera. Prendeva forma, in sintesi, la civiltà come l’abbiamo intesa fino a oggi.

Vassily Kandinsky, Trente, 1937 Photo © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist. RMN-Grand Palais Philippe Migeat
Vassily Kandinsky, Trente, 1937 Photo © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist. RMN-Grand Palais Philippe Migeat

Più o meno nella medesima epoca, attorno al XIV Millennio a.C. nasceva anche la scrittura cinese, che i maestri Zen perfezionarono in simboli per esprimere i concetti del pensiero. Tre dipinti della collezione del Louvre Abu Dhabi illustrano alcuni dei simboli specifici che rappresentano l’allegoria dell’ubiquità del pensiero sviluppata nel buddismo zen. La pittura calligrafica zen cerca di rappresentare lo spirito istantaneo di un’azione attraverso abbreviazioni suggestive, allegorie non convenzionali e calligrafia.

L’incontro fra l’immagine e il simbolo calligrafico specchio del linguaggio e, quindi, della civiltà. Segno calligrafico che è, inoltre, un piccolo universo estetico, con i suoi giochi di pieni e di vuoti che evocano, a uno sguardo sensibile, quel mondo dei suoni e dei sensi cui appunto aspirano i pittori astratti. Ad esempio, già affascinato dal Nord Africa nel 1914, quando soggiornò in Tunisia, Paul Klee scoprì l’anno successivo lo studio di Karl Weule, Dal Kerbstock all’alfabeto: archetipi della scrittura dedicato alle metamorfosi astratte dei primi linguaggi pittografici, che lo ispirò per Destroyed Egypt (1924), prima opera di una serie dedicata ai geroglifici dell’antica civiltà dei Faraoni. Fu un passo importante per l’artista, che, dopo le derive estetiche del periodo tunisino, tornava a un approccio concettuale all’opera d’arte, sviluppando un vocabolario dei segni capace di dotare le composizioni di un significato universale.

La mostra emiratina è un lungo e approfondito excursus sulla nascita dell’arte calligrafica – con l’esposizione di splendidi pezzi dell’antichità -, e insieme una riflessione sull’influenza della scrittura nell’arte visiva, a partire dall’astrazione, passando per le varie traduzioni dei “segni” orientali effettuate da Hartung, gli esperimenti surrealisti con i calligrammi di Apollinaire, l’approccio di Masson – che traduce il tropismo letterario del surrealismo in composizioni lineari – e quello di Joan Miró – che introduce direttamente lettere e parole nelle sue composizioni -, fino alla New York School con Pollock che dipinge tenendo la tela a terra, come fosse la pagina di un amanuense, e arrivando agli artisti mediorientali come Mona Hatoum, Shakir Hassan Al Said, Ghada Amer, i cui dipinti omaggiano la pittura araba fatta di leggiadri motivi geometrici, cui però aggiungono ispirazioni alfabetiche.

Joaquín Torres-García, Composition universelle, 1937 Photo © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist. RMN-Grand Palais Philippe Migeat
Joaquín Torres-García, Composition universelle, 1937 Photo © Centre Pompidou, MNAM-CCI, Dist. RMN-Grand Palais Philippe Migeat

Se nella pratica occidentale la contaminazione fra scrittura e pittura ha origine in motivazioni estetiche e filosofiche, in Oriente l’approccio è più marcato, in parte per il divieto islamico di ritratte figure umane, in parte per la specifica volontà di una ricerca delle radici antiche dell’Islam per riportarlo alla purezza delle origini e mostrarne la ricchezza spirituale, troppo spesso oscurata da pratiche assai più violente. I calligrammi, con i quali Apollinaire inaugurò nel 1913 la poesia surrealista, hanno origini molto più antiche nei carmi figurati della tradizione medievale europea, ma anche della tradizione araba, che appunto si cerca oggi di recuperare. Ma c’è di più: la scrittura avvicina i popoli e le culture, come avvenne nelle piazze commerciali del Libano e della Mesopotamia, e come ha continuato a fare nei secoli successivi, con gli scambi fra sapienti nelle grandi biblioteche di Alessandria e Baghdad. Da questi scambi è scaturito il progresso civile, il cui patrimonio si è arricchito proprio grazie al confronto e al dialogo.

In chiusura di mostra, le installazioni di due artisti contemporanei, eL Seed (calli-graffitista franco-tunisino) e Sanki King (graffitista pakistano) che esplorano come gli artisti oggi siano ancora alla ricerca di nuove forme visive per rispondere agli attuali cambiamenti della civiltà. Che si fonda sulla capacità degli individui di comunicare fra loro attraverso il linguaggio, per sviluppare e condividere idee sociali e politiche, scoperte scientifiche, invenzioni tecniche. Linguaggio di parole e di immagini, sempre accompagnate da un concetto e da una riflessione. Proprio ciò che la civiltà occidentale rischia di perdere, con la sempre più diffusa elementarizzazione del linguaggio causata dalla comunicazione digitale che avviene tramite smartphone, canali social, eccetera, e che rischia a sua volta di impoverire anche il linguaggio artistico.

Shakir Hassan Al Said, Writing on the wall, 1978
Shakir Hassan Al Said, Writing on the wall, 1978

Commenta con Facebook