Non è stato facile per le donne affermarsi nell’arte. C’è sempre stato verso di loro qualche pregiudizio. Meno brave degli uomini? E poi le chiusure e le proibizioni secolari di padri e fratelli. Tutto faceva scandalo. Eppure non c’è dubbio che ci siano state brave artiste e che ce ne siano tuttora. Lo sappiamo. Ma a raccontarcelo, con centrotrenta opere di trentaquattro artiste, arriva la mostra “Le Signore dell’arte” che finalmente apre le porte di Palazzo Reale di Milano il 2 marzo (sino al 25 luglio, catalogo Skira).
La loro, quella delle donne artiste, è stata una lunga lotta cominciata secoli fa. Tra le artiste che più hanno cercato la parità con gli uomini nella loro professione, c’è stata Artemisia Gentileschi (Roma, 1593-Napoli, dopo il 1654). Per tutta l’esistenza la pittrice di origine toscana, ha lottato per affermare la parità tra gli uomini e le donne, considerate e pagate meno dei maschi. Il 30 gennaio 1649, ormai celebre in tutta Europa, scriveva a uno dei suoi ultimi committenti, don Vincenzo Ruffo, a giustificazione di essersi fatta pagare una Galatea la cifra importante di 160 ducati: «Padron mio, in qualunque parte io sono stata mi è stata pagata cento scudi l’una la figura tanto a Fiorenza, quanto a Venetia e quanto a Roma e a Napoli…[Purtroppo] il nome di una donna fa star in dubbio sinché non si è visto l’opra…». Chiara allusione alla diffidenza mascolina allora imperante.
Ma a constatare quanto fosse difficile per una donna inserirsi nel mondo dell’arte c’era stata anche Properzia de’ Rossi (Bologna, 1490 circa-Bologna, 1530), figlia di un notaio bolognese, “bellissima”. Scultrice e intagliatrice di gemme, la “femmina scultora” aveva cominciato da piccola a intagliare il legno per fare delicate figure. Lo racconta Giorgio Vasari, nelle Vite del 1568, colpito dalla bravura della “femina virtuosa” non solo nelle cose di casa, ma nel cimentarsi “con le tenere e bianchissime mani nelle cose mecaniche e fra la ruvidezza de’ marmi e l’asprezza del ferro”. Audace e tenace, la scultrice si trova a gareggiare a metà anni Venti del ‘500 con i grandi scultori del cantiere di San Petronio. Talmente brava che suscitò invidie e malanimi, che non solo riuscirono a ridurle la paga ma a darle della “pubblica concubina” in un processo. Bravissima però.
Altra donna e artista geniale fu Elisabetta Sirani (Bologna, 1638-Bologna, 1665)morta ventisettenne, di veleno o di peritonite.A diciassette anni lavorava già nella bottega del padre, il pittore e mercante Giovanni Andrea Sirani, aiuto di Guido Reni. La “virtuosa” pittricesi rivela capace e rapidissima: “Era tale la velocità e franchezza del suo pennello, ch’ella sembrava più leggiadramente scherzare che dipingere” scrive Malvasia, che l’aveva vista all’opera. Rilevata nel 1662la bottega del padre malato di gotta, la pittrice fa carriera. Si trasferisce a Roma ad insegnare all’Accademia di San Luca e fonda la prima scuola europea di pittura per donne. Diventa famosa nel suo ruolo di artista professionista, un mestiere sino allora per uomini. Dipinge piccoli e grandi quadri, soggetti biblici e storici, ma la sua prerogativa era dipingere eroine determinate e feroci, che non esitavano a buttare nel pozzo i molestatori.
Tra le più raffinate artiste, capaci di dipingere piatti di prugne e di ciliegie “fresche”, c’è Fede Galizia (Milano, 1578-Milano,1630), specializzata in nature morte, ritratti, soggetti religiosi, in contemporanea a Caravaggio. Figlia e allieva già a nove anni del bravo incisore Nunzio Galizia, come la ricorda Gian Paolo Lomazzo, a diciotto anni, nel 1596, è già in grado di dipingere ritratti eccezionali come ilRitratto di Paolo Morigia conservato all’Ambrosiana di Milano. Ma è nella natura morta che la pittrice eccelle, alzate di prugne, pere, rose, delicate e brillanti, una firmata nel 1602, precocissima, in gara col conterraneo Merisi, con i bodegones spagnoli e le tavole fiamminghe.
Non meno brava Giovanna Garzoni (Ascoli Piceno 1600-Roma 1670), una delle più grandi pittrici del Seicento,che dipingeva con la leggerezza di una piuma fiori e frutti di rara bellezza. Vere e proprie vanitas floreali dai colori delicati a lungo studiati e dosati. Limoni e gelsomini, ma anche carciofi. Ne ha dipinti tanti e in molte corti, dove veniva chiamata per la sua bravura e per la gioia del duca di Firenze. Per dipingerli Giovanna ne spiava la crescita e la fioritura, ne osservava e immortalava ogni petalo e ogni foglia. E, non ancora contenta, si faceva arrivare dall’Olanda i bulbi di tulipani.
Una vita avventurosa e appassionata è stata quella di Sofonisba Anguissola (Cremona, 1535 circa-Palermo, 1625), la più famosa pittrice del ‘500. “Pittora in natura e miracolosa” l’aveva definita il giovane Antoon Van Dyck, che l’aveva ritratta novantenne a Palermo nel 1624. Il riconoscimento di una straordinaria carriera. Dinamica e coraggiosa, pronta ad innamorarsi di un condottiero di navi molto più giovane di lei, Sofonisba aveva alle spalle un lungo soggiorno alla corte di Spagna e un matrimonio siciliano. Con il nome di un’eroina cartaginese, era entrata a dieci anni nella bottega del pittore Bernardino Campi per imparare a dipingere “dal naturale,” molto prima che vedesse la luce Caravaggio.Si specializza in ritratti dal vero, con studio “dei moti dell’anima”, alla Leonardo, così belli e vivi, da ricevere lettere di encomio addirittura da Michelangelo.
Insomma la carrellata di donne artiste è lunga, da Lavinia Fontana a suor PlautillaNelli, da Rosalba Carriera a Ginevra Cantofoli, dalla “Tintoretta” a Orsola Maddalena Caccia, daEdita Broglio alle futuriste sino alle ultime scoperte.