Sabato 22 maggio apre coraggiosamente i battenti la Biennale Architettura 2021 dal titolo How will we live together? curata da Hashim Sarkis. Leggendo attentamente l’esaustiva cartella stampa si ricava l’impressione di un progetto coerente, ambizioso e articolato, accompagnato da qualificati panel ed eventi speciali. Bene, anzi, male, forse malissimo.
Il concept della manifestazione aderisce ad una corrente di pensiero che assegna e definisce con un ardito slittamento semantico nuovi significati, compiti e missioni alla professione di architetto e al concetto di architettura. Non si tratta più, o solo, della progettazione di edifici e di pianificazione urbana ma, bensì, di interrogarsi e ridefinire i rapporti tra uomo e ambiente, inteso olisticamente come insieme di relazioni tra gli umani e gli altri soggetti animali e vegetali che condividono il medesimo environnement le cui condizioni d’esistenza sono ecologicamente intrecciate. Insomma, siamo passati dall’archistar all’archisocial, dall’architetto autoriferito al profeta con tendenza escatologica. Un’anticipazione del menu l’aveva scodellata già la Triennale nel marzo del 2019 con la mostra Broken Nature: Design Take Human Survival, dove appunto si preannunciavano i temi che questa Biennale, già dal titolo, promette di approfondire. Siamo lentamente scivolati dalla political correctness e i suoi corollari alla cancel culture, per approdare alla forma più radicale ed eversiva di revisione culturale che, superata la lotta di classe di marxiana memoria, evolutasi in rivendicazioni di varie ed avariate aggressive minoranze, teorizza la sparizione dell’Homo Sapiens inteso come specie “fasista” che domina la natura e la piega ai suoi bisogni. Ecco preconizzato l’avvento dell’Homo Ecologicus che, spezzando le barriere di separazione fra specie, inaugura una inedita modalità di relazione tra esse. Questo è il concept dell’esposizione e se pensate che abbia smarrito il senno vi invito a seguirmi nei meandri dei progetti speciali che, da quel che ad ora possiamo comprendere, meglio definiscono gli intenti del programma della B.A.2021.
Future Assembly, la mostra nella Mostra, collettiva nata da una collaborazione tra lo Studio Other Spaces (SOS) fondato da Olafur Eliasson e dall’architetto Sebastian Behmann e sei co-designer (Caroline Jones, docente di storia dell’arte; Hadeel Ibrahim, attivista; KumiNaidoo, ambascatore di AfricansRising for Justice, Peace and Dignity; Mariana Mazzuccato, docente e direttore fondatore dell’Institute for Innovation and PublicPurpose presso lo University College di Londra; Mary Robinson, presidente The Elders e professore associato di giustizia climatica presso il Trinity College di Dublino; Paola Antonelli, senior curator di architettura e designer presso il MOMA di NY) si svolgerà nel Padiglione Centrale dei Giardini con l’intento di offrire uno spazio dove possano incontrarsi i partecipanti della Biennale, a conferma del potere dell’immaginario collettivo ed il ruolo vitale dell’architettura nel visualizzare e rendere possibile un futuro più inclusivo. Vista la vasta rappresentanza di partecipanti sotto il profilo geografico, SOS ha ritenuto fosse un’occasione unica per ritrovarsi e riflettere su una domanda che trae ispirazione dalle Nazioni Unite: “Che aspetto potrebbe avere un’assemblea multilaterale del futuro? Come saranno i prossimi 75 anni?“ e perché non 37 o 95 o150? (ndr). Una sorta di Onu che non contempla più unicamente la pace e la sicurezza mondiale, ma che vuole riconoscere e garantire i diritti della natura. Così come Le Nazioni Unite furono una risposta, nel 1945, alla tragedia del secondo conflitto mondiale, così ora è necessaria una risposta radicale all’urgente crisi climatica provocata dall’uomo. Ecco quindi che gli ideatori del progetto hanno invitato tutti i partecipanti della BA 2021 ad immaginare e scegliere uno stakeholder sovraumano (sic!) che ritengano meriti essere rappresentato all’interno della Future Assembly. Urge quindi una risposta che contempli principi di reciprocità, collaborazione e coesistenza al fine di immaginare futuri possibili per rappresentare spazialmente attività non umane perché possano avere voce in capitolo. Ite missa est! Aggiungi un posto a tavola che c’è un sovrumano in più, se sposti un po’ la seggiola stai comodo anche tu… Ora, escludendo per educazione un alto tasso alcolico e respingendo l’ipotesi che per sovrumano si siano vuluti intendere divinità o alieni, non resta altro da supporre che gli stakeholders altro non siano che autorevoli rappresentanti del modo animale, vegetale, financo minerale. Del resto la co-designer Paola Antonelli già ci aveva abituato a questi exploit nelle dichiarazioni rilasciate in occasione della mostra in Triennale, auspicandosi una fine, in quanto Sapiens, elegante e molto fashion, “aiutandoci a far sì che la prossima specie dominante ci ricordi con rispetto come esseri dignitosi, responsabili e intelligenti” (sic, sic, sic!) Mi permetterei di suggerire a Lor Signori di fare un saltino in California dove coltivano una gangia con un tasso di THC altissimo, come ben sa Elon Musk, la cui ultima avventura imprenditoriale, la Neuralink, ha annunciato di aver creato una scimmia Cyborg che può giocare a MindPong usando un chip celebrare. Sempre da quelle parti, per non rimanere indietro, il Salk Institute ha coltivato con successo embrioni uomo-macaco in provetta. Sono durati, per ora, pochi giorni. Welcome in the ApesRevolution!. Ecco trovato l’hospes mancante ad Assembly, Cesar o, in alternativa, il convitato di pietra, per restare ecologicamente corretti, di mozartiana memoria che però recitava: pentiti, ah tempo più non v’è! rivolto all’irridente Don Giovanni prima di farlo sprofondare all’inferno. Madamina il catalogo è questo e comprende pure un’altra chicca, il progetto speciale The British Mosques come risposta al quesito posto al tema della mostra, How will we live togheter?, realizzato con la collaborazione del Victoria and AbertMuseum. Curato dall’architetto ShahedSaleem, esplorerà il multiculturalismo contemporaneo attraverso la presentazione di tre spazi adibiti a moschee a Londra. Il progetto guarda al mondo fai da te, spesso non documentato, delle moschee adattate a questo uso. Come ci hanno spiegato, “Il padiglione sarà rivestito di moquette, come una moschea vera, e queste storie saranno esplorate attraverso proiezioni in 3D, iterviste filmate e fotografie”, coquillages e crustacés.
Miei cari Architetti, dato che amate l’engagement, un’esplorazioncina circa i problemucci che arreca la condivisione ambientale con questa religione non proprio pacifica e rispettosa dell’altrui cultura no, vero?
È ormai da tempo che la Biennale va rassomigliando nello spirito viepiù ad altre grandi manifestazioni cultural mondane, che siano gli Oscar cinematografici o le sofisticate produzioni video dei creativi delle grandi Maison della moda, piuttosto che i serial tipo Bridgerton per arrivare financo “all’incoronazione” di Biden. La stramaledetta pedagogica narrazione è sempre la stessa: propalazione spray di pensiero unico.
Ci siamo Roth (inteso come Philip) le balls.
ONUsti Saluti
L.d.R.