La Donna alla Finestra, su Netflix il nuovo film di Joe Wright con Amy Adams, Gary Oldmam e Julianne Moore
La Donna alla Finestra, il nuovo film di Joe Wright con Amy Adams, Gary Oldmam e Julianne Moore, avrebbe dovuto uscire al cinema – sia negli Stati Uniti che in Italia – a maggio 2020, messo in stad by causa pandemia arriva ora in streaming direttamente su Netflix.
L’errore è aspettarsi una storia originale da un libro che non lo è (molto più interessante e contemporanea la storia del suo autore, A. J. Finn, tra fake news confezionate ad arte, disturbi mentali, splendori e miserie). L’errore è aspettarsi un thriller. L’errore è pensare che David Fincher sia l’unico modello possibile per il crime d’autore. Joe Wright (Espiazione, L’Ora più buia) invece fa quello che sa fare meglio, Joe Wright. Prende un testo noiosetto, scontato e derivativo (talmente oltre le possibilità del postmoderno da cadere nelle paludi del plagio e del rimacinato) e ne trae un film che sembra una pièce teatrale, elevandolo a discorso filmico; non a caso alla sceneggiatura ha chiamato un drammaturgo, Tracy Letts, premio Pulitzer con August: Osage County e autore di Killer Joe e Bug (portati sul grande schermo da Friedkin).
Che sia il capolavoro russo (Anna Karenina) o il libro del cestone dell’autogrill, Joe Wright lavora sempre allo stesso modo, per immagini. Si muove sulla superficie, la increspa con tagli teatrali, soluzioni metafisiche e sguardi doppi. Il colpo di scena della storyline crime non gli interessa nemmeno, lo affida a un breve dialogo sbrigativo, è alle immagini che affida invece quello che gli sta più a cuore: la rivelazione dell’inconscio rimosso, del trauma, intersecando i piani del reale e dell’immaginazione, del fattuale e dell’ingannevole. Tutto vero. Tutto falso. Come in Copycat – Omicidi in serie (Jon Amiel, 1995), la protagonista (Amy Adams) soffre di agorafobia, per lei impossibile lasciare la sua casa, un palazzo stretto e alto, come una torre con piani e stanze e scale senza fine, che diventa per lei bozzolo, scudo e prigione. La sua famiglia è un simulacro lontano: voci, fotografie, ricordi.
La vittima dell’assassinio a cui assiste non esiste (Julianne Moore), sparita nel nulla. Al suo posto, crede lei, c’è un suo doppio, una sostituta (Jennifer Jason Leigh). Come nei tanti film citati lo sguardo diventa il vettore centrale attraverso cui si sviluppa la storia. Lei che spia (dalle finestre, con la macchina fotografica, su internet), lei che ricorda (rimuove, si inganna), lei che indaga (false piste, nessun testimone, una credibilità compromessa – alcol, farmaci e mente annebbiata).
La donna alla finestra è un noir che, nella sua natura letteraria, saccheggia tutti i noir della storia dei noir (in maniera scoperta, fin dal titolo e poi ancora nei temi e negli snodi), ma Joe Wright non si limita a questo, fugge dalla messa in scena didascalica, non crea una regia che si sorregge a rimandi e riferimenti (quelli a opere e registi sono ovvi e in primo piano), sventato il pericolo del gioco citazionista (colto e lezioso), ma lo fa attraverso i loro sguardi, obliqui, eccentrici, ingannevoli, mediati dalla propria idea di cinema, popolata da personaggi che si muovono davanti allo schermo come entrando e uscendo attraverso le quinte di un palcoscenico che stavolta diventa non una ribalta, ma una trappola. Questo gli permette di lavorare sui confini delle immagini, sulla percezione dello spazio che catturato dall’obiettivo si sdoppia, diventando proiezione reale e negazione di sé stesso, come – per sua natura – è il cinema stesso.