Print Friendly and PDF

Orazio Riminaldi. Un maestro pisano tra Caravaggio e Gentileschi, un’importante mostra lo celebra

Orazio Riminaldi, Sacrificio d'Isacco. Roma, Gallerie Nazionali d'Arte Antica, Palazzo Barberini Orazio Riminaldi, Sacrificio d'Isacco. Roma, Gallerie Nazionali d'Arte Antica, Palazzo Barberini
Orazio-Riminaldi-Amore-vincitore-1620-collezione-privat
Orazio-Riminaldi-Amore-vincitore-1620-collezione-privata
Moriva di peste il 10 dicembre 1630 nella sua città, Pisa, dov’era nato il 5 settembre 1593. La famosa peste di manzoniana memoria interrompeva così vita e carriera di un grande artista, il maggiore pisano del Seicento e uno dei più importanti “caravaggeschi” della terza generazione. Un pittore europeo, non meno bravo di un Simon Vouet o Nicolas Régnier. Sembra impossibile che in soli trentasette anni di vita e ventisei di attività sia riuscito a realizzare un così gran numero di dipinti, molti perduti, per prestigiosi committenti. A ricordarlo oggi è una mostra interessante, che nasce dopo anni di studio, Orazio Riminaldi. Un maestro pisano tra Caravaggio e Gentileschi, aperta nel Palazzo dell’Opera del Duomo di Pisa (28 maggio- 5 settembre 2021), organizzata dall’Opera della Primaziale pisana con un bel catalogo (Edifir).

Curata da Pierluigi Carofano e Carlo Lattuada, con un comitato scientifico, nasce dopo il restauro, durato dal 2016 al 2018, dell’Assunta portata in cielo dagli angeli dipinta da Riminaldi tra il 1627 e il 1630 a olio (e non ad affresco) all’interno della cupola della cattedrale di Pisa. Un’impresa gigantesca per il pittore, e altrettanto per i restauratori, che hanno lavorato in un cantiere a oltre trenta metri di quota su 330 metri quadrati di superficie pittorica per oltre venti mesi. Emozionante vedere esposto in mostra il bozzetto con Assunzione della Vergine e santi, del 1627 circa, ricordato dal notaio Giovanni Battista Barberi il 27 febbraio 1666 nello studio del fratello del pittore, Girolamo, come “modello in tela ovato della cupola del Duomo fatto dal signor Orazio Riminaldi con suo adornamento dorato”. Una sinfonia dinamica roteante di angeli, già barocca.

Orazio Riminaldi, Sacrificio d'Isacco. Roma, Gallerie Nazionali d'Arte Antica, Palazzo Barberini
Orazio Riminaldi, Sacrificio d’Isacco. Roma, Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Palazzo Barberini

Il percorso della mostra comprende cinquantatré dipinti, venti di Riminaldi, gli altri del contesto, che delineano con competenza tutta l’attività, gli scambi con i colleghi pisani, romani, emiliani. Dagli inizi a Pisa nella bottega del mediocre pittore Ranieri Borghetti e poi in quella del pisano Aurelio Lomi Gentileschi, fratello di Orazio Gentileschi, al trasferimento a Roma intorno al 1612 dove avviene gran parte della sua formazione. L’ambiente pisano di esordio è ricordato da dipinti tardo cinquecenteschi della famiglia Lomi Gentileschi, tutti artisti in diverse arti, da opere di Borghetti, e da due straordinarietavole con santi di Bronzino, Sant’Andrea Apostolo e San Bartolomeo, giunte dall’Accademia di San Luca di Roma, superstiti di una grande ancona d’altare per il duomo di Pisa, commissionata nel 1555 e realizzata nel 1556. La presenza di Bronzino rappresenta il forte legame di Riminaldi con la Toscana, con il disegno e con la pittura manierista del tardo ‘500, sempre presente nonostante l’adesione al caravaggismo.

Ma è a Roma che avviene la grande svolta. Quando vi arriva? Si suppone intorno al 1612, all’epoca del processo intentato da Orazio Gentileschi contro Agostino Tassi. O poco dopo, comunque entro il 1615. Aurelio Lomi in quegli ha contatti con il fratello ed è probabile che gli parli del suo giovane allievo Riminaldi ansioso di imparare e attratto dalla capitale. Il giovane artista conosce Orazio Gentileschi, ne frequenta l’atelier, aderisce al suo caravaggismo intriso di luce e di toscanità. Conosce i pittori della cerchia toscana e altri che lavorano nei grandi palazzi romani, dal cavalier d’Arpino ad Agostino Tassi (il celebre stupratore di Artemisia), da Giovanni Baglione ad Annibale Carracci, da Guercino a Guido Reni. Di questi artisti sono esposti capolavori, come il San Giovanni Battista con l’agnello di Baglione. Non solo, ma il ritrovamento di nuovi documenti illumina su rapporti e relazioni.

Poi sfilano le opere di Riminaldi, forti, potenti, sensuali, tra luci e ombre, come la tela con Dedalo adatta le ali a Icaro del 1620 circa o Salomé riceve dal carnefice la testa recisa del Battista dello stesso anno circa, o ancora il Sacrificio d’Isacco, del 1625 circa, giunto da Palazzo Barberini di Roma. Evidente l’influenza di Bartolomeo Manfredi e di caravaggeschi della seconda generazione come Simon Vouet e Artemisia Gentileschi, presente con una Susanna e i vecchioni del 1630 circa di collezione fiorentina. Le ultime simpatie di Riminaldi vanno verso il classicismo bolognese di Reni e Guercino e chissà che cosa avrebbe ancora fatto se fosse vissuto. Ma è inutile chiederselo.

Una mostra stimolante, che pone problemi e fa pensare.

Per informazioni e prenotazioni: www.opapisa.it

Commenta con Facebook