Manuel Laghi è scrittore, project manager culturale, Art dealer e Art advisor. Non ha una galleria, incontra i clienti, presenta le opere e crea un contatto diretto con l’artista.
Arte dell’incontro o incontro con l’arte? La mia strada si è incrociata con quella di Manuel Laghi un pomeriggio di primavera a Trieste, in Piazza Hortis. Sul muretto che circonda il giardino pubblico una donna anziana vendeva mazzetti di narcisi. Intorno gente a passeggio, qualche turista che scattava foto alla statua in bronzo di Italo Svevo. Mi ero fermato alla bancarella dei libri usati, dove si trovano spesso volumi interessanti, provenienti da colte librerie svendute da non troppo colti eredi di proprietari passati probabilmente a miglior vita. Avevo in mano il libro appena comprato e lo sfogliavo seduto su una panchina.
Non mi ero accorto del personaggio che si stava installando sul lato opposto. La sua bicicletta, instabile sul cavalletto, si era schiantata a terra e dal cestino erano caduti due libri: le Lettere a Lucillo, di Lucio Anneo Seneca, e L’italiano che inventò l’Arte in America, di Leo Castelli. Ce n’era abbastanza per chiedersi chi fosse il proprietario. Un tipo magro, con capelli lasciati un po’ lunghi, mossi, gli occhiali, di eleganza disinvolta, con una giacca blu che teneva chiusa, bizzarramente, con una clip fermacarte. Vedendo il mio sguardo incuriosito si è presentato, spolverando con gesto rapido i volumi.
“Manuel Laghi, vengo spesso qui a leggere. Questa piazza accoglie memorie e atmosfere. Lei è di Trieste?”. “Più o meno”, ho risposto, senza allargarmi troppo. Mi trovavo dunque di fronte a un professore, un insegnante, uno studioso? “No, un poeta forse. O meglio, mi occupo di arte”. Artista? Neppure. “Piuttosto un project manager culturale, un art dealer e un advisor. Potrei dire, e rido, che sono l’arte che cammina, nel senso che incontro i clienti – non ho una galleria – presento le opere e creo un contatto diretto con l’artista”. E Seneca in tutto questo? “Ho interrotto gli studi classici a causa di un incidente, però amo la filosofia, per me un veicolo di attività spirituale, che mi consente di comprendere meglio me stesso, il mondo circostante e gli uomini che incontro, spesso in preda a impulsi distruttivi di potere”. E Castelli? “Un uomo che non pensava di occuparsi di arte e che è riuscito a creare l’arte contemporanea a New York. Un mito, un riferimento e per di più un concittadino”.
Poteva essere un incontro come un altro, ma tornando a Trieste nel 2016, in occasione della personale Blu/Bleu di Marcello Lo Giudice (uno degli artisti contemporanei più in vista degli ultimi anni), al Castello di Miramare, ho ritrovato Manuel Laghi, in veste di realizzatore e curatore dell’esposizione, promossa dall’Associazione Culturale Arte…Sìì. Nel catalogo gli interventi di due grandi autori come Juan Octavio Prenz e Tahar Ben Jelloun. La mostra è stata un volano che, grazie alla collaborazione di Laghi, ha portato Lo Giudice alla mostra Eden, pianeti lontani, al MAXXI di Roma nel 2017, curata dal direttore Bartolomeo Pietromarchi. Un evento di grande successo, organizzato a sostegno della Fondazione Principe Alberto II di Monaco.
Ma è stata una conversazione con il regista e scrittore Giorgio Pressburger (scomparso nel 2017) che mi ha fatto scoprire un altro lato della personalità di Manuel Laghi: la sua grande passione per il cinema. In un tempo mitico, si era trasferito a Roma per… fare l’attore, realizzando però, dopo aver prodotto alcuni film, che si sentiva più portato a scrivere sceneggiature, apprezzate persino da Claudio Magris. Di una in particolare si erano innamorati Anthony Quinn, Giancarlo Giannini e persino la famosa cantante Ute Lemper aveva aderito al progetto. “Non se ne fece nulla a causa dell’improvvisa scomparsa di Quinn. Di lì a poco l’incontro con Lo Giudice è stato l’inizio di una nuova avventura e neanche conoscere la grande Mariangela Melato – come ho raccontato nel libro “MMelato Forever” (Ed. Falsopiano 2013) presentato alla 70ma Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia – ha cambiato il corso degli avvenimenti”.
Forse, come per molti triestini, il richiamo della città natale è stato una sirena irresistibile. Da Trieste si può partire, o desiderare di farlo, restando però ben ancorati tra le strade, le piazze e persino gli scogli della costiera (storico lo “scoglio della meditazione”, così battezzato da Laghi allo stabilimento Miramare, per tutti, da sempre, “Sticco”). Crogiolandosi nelle atmosfere artistiche e letterarie del capoluogo giuliano, Laghi, con in mente il romanzo Solo gli alberi hanno radici (La Nave di Teseo, 2017) di Juan Octavio Prenz (mancato nel 2019), mescolando umorismo, trasgressione, malinconia e amore, come i protagonisti del libro, pensa al prossimo progetto.
Da “vorace esploratore di varie espressioni artistiche”, come lo aveva definito Giorgio Pressburger, sta lavorando a un romanzo, sviluppato proprio a partire da “Alba in smoking”, la sceneggiatura rimasta in sospeso. Saldo però nella convinzione di continuare a occuparsi di arte pittorica, con il grande progetto di far invitare Marcello Lo Giudice a esporre al Guggenheim di New York. Perché l’arte “non è un lusso bensì il cibo dell’anima e soprattutto il più grande e intelligente investimento economico”.