Nel suo ultimo libro Lorenzo Canova esplora la Neometafisica: l’ultimo intenso periodo di De Chirico in bilico tra eterni ritorni e approdi definitivi.
Idolatrato da alcuni, ripudiato da altri, riscoperto nel tempo: Giorgio de Chirico è stato uno dei più grandi artisti del XX secolo. Nel suo ultimo coinvolgente libro Il grande ritorno. Giorgio de Chirico e la Neometafisica (La nave di Teseo, 2021) Lorenzo Canova ne ricostruisce l’eterogenea vicenda artistica, prendendo le mosse dalla sua ultima gloriosa stagione. Del resto lo stesso de Chirico ha sostenuto nel 1941 che «per “capire” certi misteri bisogna “girare la posizione”; gli attacchi frontali non servono a nulla». Per sviscerare il grande mistero dechirichiano Canova inizia dalla fine e procede a spirale, dialogando costantemente con numerosi studiosi contemporanei e con le personalità che hanno animato la vita del maestro, da Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche, da Guillaume Apollinaire a Thomas de Quincey.
Nel 1910 a Firenze de Chirico dipinge L’enigma di un pomeriggio d’autunno, il suo primo quadro metafisico. Il conflitto mondiale è alle porte e le sue opere rispecchiano l’angoscia che si sarebbe diffusa ovunque. In questo senso l’artista è un veggente in grado di anticipare la realtà, mentre la sensazione di presagio è intrinseca alla natura umana: «Essa esisterà sempre. È come una prova eterna del non senso dell’universo». La Metafisica giovanile, concepita tra Parigi e Ferrara, segna il tempo delle partenze, di imprese da compiere in un mondo privo di significato profondo, avvolto dall’enigma e sedato dalla malinconia.
È la prima tappa del lungo itinerario dei decenni centrali del Novecento, caratterizzato da ritorni eterni di soggetti e tematiche in forme rinnovate. Così la Metafisica, considerabile come continua, approda alla meta finale negli ultimi dieci anni di vita dell’artista. La Neometafisica è il compimento del percorso all’interno di una concezione ciclica del tempo, ma non per questo sempre uguale a sé stesso. Tra il 1968 e il 1978 de Chirico riconosce ciò che ha sempre saputo: l’insensatezza dell’universo e la melanconia cosmica non sono altro che manifestazioni del grande gioco della vita a cui nessuno può sottrarsi e che tutti devono accettare serenamente. L’artista testimonia questa consapevolezza con una tavolozza più lucente, vitale, necessaria per non sprofondare nel baratro della disperazione e solcare, come Zarathustra, nuove vette.
La Neometafisica è dunque la stagione dei grandi ritorni, in cui i personaggi del maestro fanno rotta verso casa. Canova ripercorre lucidamente le loro storie, dedicando a ognuna di esse delle rispettive stanze, ricche di suggestioni e rimandi. I ritornanti hanno volti differenti, appartengono a universi altri, ma condividono la medesima sorte. Ulisse rema una piccola barca al centro di una stanza sospesa nell’eterno presente, Leonida varca la porta al confine tra due realtà, Ettore può finalmente abbracciare Andromaca. Nel Ritorno al castello un misterioso cavaliere attraversa il ponte, simbolo del collegamento tra la dimensione terrena e l’aldilà, testimonianza della ritrovata fede dell’artista. Il sole adesso splende: è la luminosa consolazione, la manifestazione alchemica, la realizzazione della grande opera. I manichini abbandonano la melanconia giovanile e si affermano come autoritratti idealizzati del loro creatore. In numerosi quadri Orfeo, il cantore degli Argonauti, attesta il suo ritorno nella terra degli avi e de Chirico «celebra sé stesso come gladiatore dalla testa di manichino dotato del terzo occhio per vedere egualmente nel passato come nel futuro, sulla linea dell’eternità».
Artista e filosofo, poeta e veggente, Giorgio de Chirico ha preso parte al grande gioco cosmico con le sue immortali creazioni in anticipo sui tempi. La sua Neometafisica è l’accettazione definitiva e serena del non senso della vita, da parte di un uomo che ha vissuto intensamente la più grande commedia: «Il pittore avverte l’eternità sul volto e può celebrarsi facendo tornare tutte le sue opere, tutti i suoi personaggi, tutte le sue costruzioni, che possono affollarsi nel suo studio e finalmente applaudire il loro inventore alla fine di un lungo viaggio sui mari dell’arte».