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Quel che non funziona nella mostra sul Realismo magico a Palazzo Reale di Milano

Mario Broglio, Il romanzo, olio su tavola. Collezione privata Mario Broglio, Il romanzo, olio su tavola. Collezione privata
Mario Broglio, Il romanzo, olio su tavola. Collezione privata
Mario Broglio, Il romanzo, olio su tavola. Collezione privata
Accostamenti errati, interpretazioni sbagliate e dimenticanze imperdonabili. Per quanto interessante e valida, la mostra Realismo magico, a Palazzo Reale di Milano fino al 27 febbraio 2022, presenta alcuni evidenti errori.

Un evento espositivo come Realismo magico – in questi giorni presente a Milano nelle sale di Palazzo Reale – avrebbe meritato discussioni  o almeno a qualche interrogativo sui quotidiani e sui periodici d’arte. Niente di tutto questo;  e neppure una recensione che esprimesse nostalgia per la classicità recuperata fra gli anni ’20 e ’40 del secolo scorso.

Eppure il Realismo Magico è stato un passaggio saliente dopo la decadenza del Movimento Futurista, voluto con determinazione da Giorgio de Chirico con la sua geniale intuizione della Metafisica e, in seguito, da un drappello di pittori come Morandi, Bardi, Francalancia, Usellini, Bernasconi, Lega. Ma se, giustamente, ricercassimo le composizioni del Pictor Optimus, non crederemmo ai nostri occhi: in tutta l’esposizione ci sono solo due dipinti che proprio magici non sono. Uno è di piccole dimensioni – un brutto  autoritratto dagli occhi roteanti – a distanza insufficiente da tre opere di Felice Casorati eseguite su committenza di Riccardo Gualino. A distanza invece rispettabile di Casorati si impone la mirabile lezione di pittura che ritrae Silvana Cenni, dimostrando il fallimento etico ed estetico delle teorie farneticanti, e non ancora perdenti, di Tommaso Filippo Marinetti.

Ma l’altra tela del padre putativo dei Realisti Magici dove è stata collocata? Si accede prima alla visione metafisica dell’ex futurista Carlo Carrà, perla emozionante della mostra. Poi alla eccezionalità del pensiero visivo dell’ex futurista Mario Sironi, con il magico ritratto di un personaggio eretto che pare seguirci con occhi attenti. E finalmente il secondo lavoro di de Chirico appare imponente in una sala piuttosto piccola; si tratta di una splendida composizione titolata Silente, ma – incredibile! – negli abiti sensuali del Barocco. Le è stato posto accanto, in un angolo e soffocato come l’autoritratto di de Chirico nella prima sala, un gioiello metafisico di piccole dimensioni di Carlo Carrà. Lasciamo da parte il quesito se il Barocco e la Metafisica del Realismo Magico abbiano una parentela sinora del tutto sconosciuta.

Felice Casorati, Silvana Cenni

Quanto al pubblico armato di cuffia didattica, ci chiediamo se non è stupito di fronte a due autorevoli tele di Carlo Levi; negli anni oscuri del Fascismo era entrato nel gruppo dei Sei di Torino, avendo come modello prioritario la libertà di espressione proveniente dalla Francia; il suo messaggio era quello poetico del Post Impressionismo e della creatività irrefrenabile di Henri Matisse; questi suoi due lavori sono stati eseguiti come ricerca e sperimentazione del  tutto personali. Carlo Levi era del tutto estraneo alle linea estetica del periodico Valori Plastici, diretto da Mario Broglio, con Giorgio de Chirico come severo collaboratore, e Alberto Savinio – fratello di de Chirico, scrittore stupefacente, mirabile pittore surrealista, compositore e saggista musicale – a capo della redazione. Mario Broglio è presente in mostra insieme alla consorte Edita, della quale uno solo dei dipinti esposti è attinente al tema espositivo.

Gli artisti che negli anni ’20 e ’30 si  riconoscevano nel Realismo Magico, erano espressivamente simili ai colleghi tedeschi della Nuova Oggettività, che l’inquisizione nazista aveva bollato come Arte Degenerata. In Italia, in apparenza, tutti liberi alla Quadriennale di Roma e alla Biennale di Venezia. Ma non era tutto oro quello che luccicava. Prendiamo il caso di Cagnaccio di San Pietro, anarchico individualista. Qui in esposizione vediamo il capolavoro L’Orgia, che  va letto in chiave sia estetica che di provocazione politica; di autentica classicità sono le variabili delle stesure cromatiche, la costruzione prospettica dei corpi nudi, figure plastiche in atteggiamento di felice ubriacatura, distese per terra e circondate da bottiglie, bicchieri e carte da gioco; non è un caso che Margherita Sarfatti, Presidente della Biennale di Venezia, e fidanzata intellettuale di Benito Mussolini, abbia respinto la composizione considerandola oscena; pertanto è evidente che  la provocazione aveva colpito il bersaglio. Per altro, Cagnaccio di San Pietro aveva altri  dipinti da inviare a Venezia, e ora appaiono qui a Palazzo Reale. Sono decisamente brutti, anche se prodotti da uno dei pochi pittori italiani senza la tessera del Partito Nazionale Fascista. Ma erano vendibili, e anche lui aveva il diritto di mangiare. Al contrario i Curatori avevano il dovere di  non offenderne la memoria.

Cagnaccio di San Pietro, Dopo l'orgia, 1928, Olio su tela, 180 x 140 cm, Milano, Collezione privata
Cagnaccio di San Pietro, Dopo l’orgia, 1928, Olio su tela, 180 x 140 cm, Milano, Collezione privata

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