Delude la personale di Maurizio Cattelan che sceglie come opera cardine del percorso espositivo un lavoro risalente al 1997, già visto in due Biennali di Venezia
La montagna ha partorito il topolino. Una metafora di immediata comprensione, se si parla di arte contemporanea italiana: visto che l’immagine del topolino rimanda immediatamente all’opera Bidibibodibiboo, firmata da Maurizio Cattelan nel 1996. Con un ratto suicida sopra a un banco da scuola. Ma qui l’accezione è diversa: parliamo della (prevedibilmente) grande mostra personale di Cattelan all’Hangar Bicocca di Milano. Ma le attese, per noi che l’abbiamo vista in anteprima stampa questa mattina, sono andate decisamente deluse.
Andiamo subito al dunque: veniamo da un periodo notoriamente “down”. E in particolare Cattelan torna a farsi vivo sulla scena dopo un (improbabile) annuncio di pensionamento. Seguito da una serie di uscite improvvise e a volte lievemente schizofreniche. Operazioni ad alto tasso di marketing come il water d’oro al Guggenheim, che ha raggiunto livelli parossistici con l’episodio del “furto” da una magione inglese. O la “piéce teatrale” della banana appiccicata al muro alla fiera di Miami. Insomma, una mostra ben fatta in un prestigioso centro d’arte ci sarebbe proprio stata bene. E invece che succede? Che il grande artista piazza come opera cardine del percorso espositivo un lavoro risalente al 1997, già visto in due Biennali di Venezia (1997 e 2011, pur se leggermente rimodulato, come lo è in questa occasione).
Domanda: perché? La prima risposta, a cui tutti si rifiuteranno di credere, è l’inaridimento creativo. Difficile pensare che un vulcano come il Maurizio nazionale non sia stato capace di produrre qualcosa di clamoroso, avendo peraltro a disposizione spazi poliedrici e monumentali come quelli dell’Hangar. Allora? Una nuova, ma ormai tanto vecchia, provocazione? Tipo “tutta l’arte è nuova, nulla è nuovo nell’arte”? Ma un momento tragico come quello da cui ci piace pensare stiamo uscendo, con milioni di morti e una società messa in ginocchio da un nemico invisibile, può essere il terreno giusto per i giochini di Cattelan? Resta la noia, implacabile. Vai a vedere la mostra, curioso di scoprire cosa frulli in testa di un artista di innegabile (magari passata) genialità: ed esci con il morale a terra.
Poco serve a lenire la delusione un allestimento straordinario, luci altamente evocative pensate dal grande Pasquale Mari. E un’installazione che invade con i ben noti piccioni tutte le Navate dello spazio ex industriale. E poco servono a salvare l’operazione nel suo complesso deludente la altre due opere della trilogia Breath Ghosts Blind, che da il titolo all’esposizione. Una nuova scultura in marmo, Breath (2021), la cosa migliore vista, con la figura di un uomo in posizione fetale, disteso a terra di fronte a un cane. Con una forte sensazione di fragilità e pietas che conferisce alla composizione una innegabile connotazione religiosa. E poi, nel Cubo, Blind (2021), monumentale installazione minimalista che vuole rievocare – o magari esorcizzare – il dramma delle Twin Towers, con un aereo conficcato nel corpo parallelepipedo che assume toni quasi decorativi.
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