È la mostra collettiva Contact ad inaugurare lo spazio virtuale NOTSpace curato dall’artista Vicentino Matteo Casali (1994, Schio), e realizzato con Mozilla Hub. Lo spazio, nuovo progetto curatoriale di Casali, si presenta come un luogo espositivo aperto e adatto alla sperimentazione con la realtà virtuale ed aumentata, che viene a sua volta messa in relazione con tecniche tradizionali, come pittura e scultura.
L’esibizione virtuale non si compone di una semplice e banale serie di slide, ma si svolge in uno spazio nel quale i visitatori hanno la possibilità di muoversi, con avatar scelti personalmente, e conversare con gli altri presenti in sala, attivando il microfono del proprio device. Inoltre, la presenza di link accanto alle opere, permette di accedere ai siti web e ai vari profili social delle artiste e degli artisti in mostra, così da avere la possibilità di conoscerli, ed eventualmente contattarli, con grande facilità.La mostra è visitabile attraverso un QR code, ed è accessibile tramite telefono, computer, e visore per la realtà virtuale. Una volta seguito il link, il visitatore si troverà direttamente negli spazi di NOTspace.
L’esposizione riunisce le opere pittoriche, sviluppate durante i periodi di pandemia, di sei artiste ed artisti dell’Atelier 12, dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Il periodo di chiusuranon li ha scoraggiati, è stato per loro un momento fertile per creareche li ha spinti a sviluppare percorsi inediti. Le ricerche artistiche, seppur individuali, presentano elementi in comune, che trovano in Contact occasione perincontrarsi e conversare.Il “contatto” è l’idea che i dipinti commentano e rappresentano, alla quale reagiscono e che fanno propria. Se da una parte sono le opere, assieme alle artiste e agli artisti, i protagonisti che mostrano le loro conclusioni e riflessioni su questa tematica; dall’altra lo stesso NOTspacesi configura come una meditazione sul contatto tra produzione artistica e pubblico, chesi palesa non più fisicamente ma tramite avatar virtuali.
La nursery di Matteo Brigo (1998, Treviso), con la sua culla adagiata in un ambiente vagamente inquietante richiama chiaramente le tematiche trattate dall’artista: il passato e il mistero. La culla dalla foggia gotica, separata dal resto della stanza da una tenda, che restituisce solo vagamente le silhouette di ciò che è dietro di lei, ospita una sagoma scura: un bambino? Una presenza? Questa sagoma non fa che aumentare l’enigma che ci propone la tela: chi si occuperà di quella strana figura? Che cosa, effettivamente, stiamo guardando? La tenda, il pavimento – simile a sabbia vulcanica – ripido,l’identità e l’umanità incerte dellafigura infantile rendono la composizione austera e misteriosa.
Le tele di Matteo Casalimostrano figure anonime, colte in momenti di stasi e riflessione, il loro è un movimento soltanto interiore, fiaccato dall’assenza di interlocutori ed elementi esterni. L’identità misteriosa di queste due figure e le loro attese – per qualcosa di reale? – che prendono corpo in non-luoghi sfuggenti – che forse, addirittura, le intrappolano – rendono vano il loro contatto con l’esterno, che sfuma e svanisce. Lasciamo questi personaggi ad un bivio: il loro meditare li porterà ad una nuova identità? O li renderà per sempre immobili?
La realtà e il ricordo si intrecciano nel paesaggio Marchigiano di Marta Giacomin (1999, Mirano). Il dipinto in mostra, prima di essere ultimato dall’artista, ha dovuto aspettare la conclusione della pandemia e la riapertura delle università: è stato concluso solo un anno dopo il suo inizio. Il tempo trascorso è stato incamerato dalla tela, che, oltre a mostrare una veduta, ora esprime il senso dell’attesa:da una parte, quella privata, dell’artista che attende di finire un’opera,dall’altra, quella pubblica, espressa dal lungo pomeriggio nella campagna Marchigiana che ammiriamo. Lo scenario rappresenta anche una memoria di Giacomin, che, inevitabilmente, la rende parte di questo spazio: seppur lontano ed estraneo, esso conserva un pensiero dell’artista.
Il contatto che ci mostra Giacomo Gilli (1996, Treviso) è quello terribile e commovente di due fratelli, il maggiore che porta il corpo del minore sulle spalle. I due giovani protagonisti ricordano l’immagine tristemente nota del bambino sopravvissuto al bombardamento di Hiroshima, che, ormai solo, trasporta il corpo del fratello defunto. La ricerca di Gilli nasce dalla necessità di mostrare le dinamiche tra individui e società. L’artista utilizza i social come base, dove ricerca immagini di vita privata e non; dopodiché, esse vengono rielaboratein modo che suggeriscano messaggi più ampi ed universali.
L’occhio assorto di Sara Pacucci (1999, Treviso) racchiude la sua meditazione sul contatto, centro della sua ricerca. L’analisi dellaPacucci, così come la sua attitudine, sono stati rivoluzionati dai momenti di chiusura dell’anno passato: palette, tecnica, ed approccio artistico sono cambiati. Il suo interesse si è rivolto su come rappresentare gesti di rinnovata delicatezza, contatti sinceri tra persone, un’umanità gentile: il contatto tra individui dunque diventa centrale. Per contrastare ilperiodo di isolamento, l’artista evoca nelle sue tele il senso tattile, il tocco, a lungo negato: con superfici e colori che ricordano acqua e vapore,la pelle, l’occhio, appaiono, come punti di contatto tra esterno ed interno, interiorità privata ed esteriorità sconosciuta. Quest’occhio, etereo e meditabondo, oltre che essere una porta tra interno ed esterno, rappresenta anche un’unione empatica tra natura e uomo, esemplificazione dell’equilibrio.
La ricerca di Elisa Ziero (1999, Camposampiero) è sostenuta dal profondo interesse per l’anatomia, della meccanica che sta dietro ai gesti, di un legame profondo tra le parti. Questa si sviluppa con l’analisi di dettagli, isolati, di figure umane: nei dipinti in mostra vediamo due volti, scomposti e misteriosi. Con queste sezioni, l’artista vuole mostrare e sottolineare il dialogo, il contatto, tra le varie parti, che parlano del senso di sé. Il tagliofotograficotende ad esprimere un senso di opprimente chiusura, accresciuto dall’indeterminatezza degli spazi: l’ambiente scompare, il soggetto si perde.