Print Friendly and PDF

Disperazione e speranza in Philip Guston. A New York la sua rivoluzionaria epoca figurativa

Philip Guston: The Line, 1978, oil on canvas, 71 x 73 1/4 in. Private Collection. © The Estate of Philip Guston. Curtesy Hauser & Wirth
Philip Guston: The Line, 1978, oil on canvas, 71 x 73 1/4 in. Private Collection. © The Estate of Philip Guston.
Curtesy Hauser & Wirth

Dal 9 settembre 2021, Hauser & Wirth New York presenta Philip Guston, 1969-1979, una mostra incentrata sulla rivoluzionaria figurazione emersa nell’ultimo decennio della carriera del maestro del XX secolo. Comprendendo dipinti mai esposti prima, la mostra riunisce diciotto capolavori realizzati dopo che l’artista si è allontanato dall’astrazione per affermare un nuovo linguaggio figurativo senza precedenti. L’esposizione è visitabile fino al 30 ottobre nell’edificio di Hauser & Wirth sulla West 22nd Street nel quartiere delle arti di Chelsea.

Mentre i critici denunciavano il suo drammatico spostamento verso immagini oscure e simili a cartoni animati, i dipinti degli ultimi anni di Guston sono oggi considerati pietre miliari dell’arte moderna. Mostrano non solo una grande maestria tecnica, ma un coraggio senza compromessi nell’affrontare direttamente le ingiustizie della società americana. Realizzati al culmine della sua vita creativa, i dipinti in mostra attestano l’influenza duratura di Guston e la sorprendente rilevanza per gli artisti contemporanei e il pubblico di oggi.

La mostra mette in luce l’intimità confessionale, l’introspezione e l’autorivelazione delle ultime tele di Guston, con i loro temi universali ripercorrendo l’evoluzione del ritorno alla figurazione di Guston dalla fine degli anni ’60, quando le sue caratteristiche figure incappucciate apparvero per la prima. La crescente urgenza delle immagini di Guston nel successivo decennio è evidenziata da un’iconografia riccamente resa e profondamente inquietante. Il suo linguaggio visivo include gambe disincarnate, dita puntate e pile di scarpe che evocano gli orrori dell’Olocausto e fanno presagire successivi genocidi e crudeltà razziali. Tuttavia, la genialità di Guston risiede nella sua capacità di trasmettere la persistenza, anche se delicata, della speranza all’interno di questo regno oscuro, con un’iconica lampadina che suggerisce un eterno potenziale di illuminazione.

Philip Guston, The Studio
Philip Guston, The Studio

L’esposizione è presentata in due grandi spazi adiacenti al livello stradale della galleria. Nella prima sala i visitatori saranno accolti da sei tele realizzate nel 1969 e 1970, anno in cui il ritorno di Guston alla figurazione fu preannunciato dalla sua ormai famigerata mostra personale alla Marlborough Gallery di New York City. Questi sei dipinti presentano le figure incappucciate da cartone animato dell’artista, che ricordano inconfondibilmente il Ku Klux Klan. Spinti dalla violenza e dai disordini civili in America alla fine degli anni ’60, i dipinti di Guston parlano dell’insidiosa banalità con cui il male permea la società: le figure non sono impegnate in atti di terrore ma in attività quotidiane ordinarie, mentre fumano i loro sigari o vivendo la routine della vita americana, come nei dipinti Riding Around e Blackboard, così come Open Window II (tutti nel 1969), una delle quattro opere presentate al pubblico per la prima volta in questa mostra.

In questo gruppo di dipinti, Guston rappresenta uno specchio non solo per il passato e il presente razzista dell’America, ma anche per la sua stessa colpevolezza in forza del privilegio di essere bianco e della complicità che genera. In The Studio (1969), uno dei dipinti più iconici dell’artista, Guston si raffigura nella grande tradizione dell’arte occidentale, come un artista al lavoro davanti al suo cavalletto. In questa allegoria della pittura, tuttavia, Guston non occupa il ruolo esaltato mostrato nei celebri autoritratti di antenati come Gentileschi, Vermeer, Velazquez e Courbet, ma come una delle sue figure incappucciate, sigaro in una mano e pennello nell’altra con il cappuccio schizzato di macchie rosso sangue. Identificandosi con il nemico, Guston crea l’immagine radicale di un artista che lotta sia con l’atto della pittura che con il proprio ruolo nello stato del mondo.

McKees
I McKees con Philip Guston nello studio dell’artista negli anni Settanta

Di fronte alle critiche negative successive alla mostra della Marlborough Gallery, Guston e sua moglie Musa fuggirono all’American Academy di Roma. In Italia, l’artista si immerse nel lavoro dei grandi maestri italiani e dopo il suo ritorno a casa a Woodstock, New York, iniziò a rimuovere il cappuccio alla sue peculiari figure. Emerge una testa a forma di fagiolo con la fronte corrugata e l’occhio fisso, di personaggi spesso sdraiati a letto o che fumano una sigaretta, come nell’opera in mostra Pittore (1973).

La crescente intensità del lavoro di Philip Guston negli anni successivi alla sua morte, avvenuta nel 1980, viene messa pienamente a fuoco nella seconda sala della mostra, dove sono presentati dodici grandi dipinti realizzati tra il 1973 e il 1979. Il linguaggio visivo unico di Guston riporta gambe, scudi, insetti, fruste, porte e pile di scarpe aggrovigliate e disincarnate che ricordano le orribili immagini emerse attraverso i media dalla liberazione dei campi di concentramento nazisti, la carneficina della guerra del Vietnam e dei campi di sterminio della Cambogia.

In Ancient Wall (1976), suole di scarpe sono impilate lungo il primo piano del dipinto mentre una collezione di gambe flosce penzolano su un imponente muro di mattoni. Un solo occhio impassibile giudica la scena dall’angolo in basso a destra della tela, testimone del terrore. Immagini simili sorgono in dipinti come Night Room (1976), in cui un mucchio di gambe e scarpe si staglia contro il vuoto nero del cielo notturno, ed Entrance (1979), dove una porta si apre su una stanza ricolma di scarpe, gambe, scudi e insetti.

Philip Guston in this studio 1957
Philip Guston nel suo studio nel 1957

In Back View II (1977), Guston presenta la schiena di una figura colossale che si allontana dallo spettatore, verso l’orizzonte. L’immagine è considerata il ritratto del padre di Guston, un ex fabbro che, come immigrato ebreo russo, era stato ridotto a lavorare in condizioni disumane. La sensibilità di Guston nei confronti della condizione umana e il suo attaccamento artistico ai dogmi del Rinascimento si fondono in questo straordinario ritratto. L’influenza dei grandi maestri è evidente anche in Sleeping (1977), autoritratto dell’artista rannicchiato nel letto, sotto una coperta, ancora con le scarpe calzate. La composizione di scorcio e il tessuto delicatamente drappeggiato ricordano il Compianto di Cristo di Andrea Mantegna. Nel rendere omaggio al Rinascimento, Guston evidenzia il potere duraturo dell’arte come catalizzatore per l’espressione, l’illuminazione e la coscienza elevata. In Tears (1977), realizzato dopo che la moglie di Guston subì in ictus, è rappresentato il potente richiamo al personale e all’universale, il dolore umano dell’invecchiamento, della malattia e della perdita.

La mostra raggiunge il suo culmine e la sua conclusione con il dipinto On Edge del 1978, una tela scura e composita, con una ricca superficie nera scintillante, sottili sfumature rosa e rosse, non mostrata per 20 anni. Specifica ma profondamente enigmatica, l’opera invita a miriadi di associazioni, suggerendo sia la traccia di un messaggio rimasto su una lavagna cancellata sia il bagliore di una lampada che fa capolino sotto la porta chiusa di una stanza buia come la pece. Nella mescolanza mozzafiato di disperazione e speranza, questo lavoro sembra indirizzare gli spettatori verso l’orizzonte, uno dei motivi più duraturi di Guston.

Philip Guston, Head and Bottle (1975)
Philip Guston, Head and Bottle (1975)

Philip Guston, 1969-1979 è l’ultima di una serie di mostre tematiche in corso nelle varie sedi di Hauser & Wirth, che la galleria ha presentato a livello internazionale da quando ha inaugurato la rappresentanza di The Philip Guston Estate nel 2015.

hauserwirth.com

Commenta con Facebook