A Milano, nella sua città natale, il 16 maggio 2020, “l’artista della luce” Fernanda Vigo, nota come Nanda Vigo, si spegne. In occasione della Milano Design Week 2021, nello spazio di Corso Como 10, a partire dal 5 settembre fino al 1° novembre, è stata allestita la mostra intitolata “Nanda Vigo, incontri ravvicinati Arte, Architettura e Design”, con cui la Fondazione Sozzani celebra l’artista. Tanti sono gli appellativi con cui viene indicata: “artista”, “scultrice”, “designer”, certo è che Nanda Vigo amava definirsi “artista-progettista” oppure ancor di più “architetto”. Ciò richiama ulteriormente la reciproca influenza che stabilisce tra l’arte e l’architettura: all’arte dona l’aspetto costruttivo e all’architettura l’artisticità di cui era mancante.
Le interessa la luce diffusa, impalpabile, sospesa che riesce a rendere pura materia nello spazio. Quasi una costante, una ossessione, una “rivelazione” che ebbe da bambina, davanti alla Casa del Fascio di Terragni a Como, quando rimase folgorata dalla luce che fuoriusciva dalle porzioni in vetrocemento della struttura, ultramoderna per l’epoca. Durante quella giornata di sole, la giovanissima Vigo, scoprì la bellezza e la luce, due elementi che si depositarono nel suo inconscio ed ebbero libera uscita nella sua produzione artistica.
Ad introdurla nel mondo dell’arte sarà Lucio Fontana, suo grande amico, grazie al quale entrerà in contatto e poi all’interno del Gruppo Zero, fondato a Düsseldorf nel ’61 dallo scultore Otto Piene, da Heinz Mark, protagonista del Neo Concretismo e della pittura monocroma e da Gunter Uecker, caratterizzato dal sofferto Simbolismo. Nelle opere della Vigo, echi fontaniani si percepiscono in particolar modo nella sensibilità con cui plasma i suoi neon quasi come a scolpire forme astratte nello spazio che diventano oggetti architettonici geometrizzanti.
All’interno della mostra si leggono scritte bianche su pareti nere, citazioni della stessa Vigo poste attorno alle sue opere, quasi come a voler materializzare la sua presenza, rendere viva la sua voce, in questo spazio che la rappresenta, la ricorda e la celebra. Una di queste citazioni parla proprio dell’amore che l’artista prova per i neon nel suo lavoro, tanto che la lampadina è vista come un punto fisso, mentre il neon come una linea da “girare” a piacimento.
La mostra è suddivisa in tre sezioni: “maestra della luce”, “Vigo architetto” e “Vigo designer”.
Nella prima parte vediamo una tra le sue più celebri opere d’arte “L’Ambiente Cronotopico” del 1968. La Vigo cominciò a realizzare questa serie a partire dal 1962, in sintonia con lo spirito di Zero. Alla base della sua ricerca sta’ l’ambiente umano che deve essere costituito da luce, trasparenza e immaterialità, di cui i “cronotipi” sono il massimo risultato. Vetri industriali racchiusi in cornici metalliche sono talvolta illuminati da neon da cui si genera una vera e propria “danza” della luce, che penetra e si diffonde come metafora dello spirito, dell’immaterialità e della leggerezza. In collaborazione con Lucio Fontana, presto queste forme diverranno veri e propri ambienti e specchi tagliati da cui la luce intraprenderà un continuo viaggio.
La seconda sezione mostra l’architettura della Vigo, dove una delle sue prime realizzazioni è la Zero House di Milano datata 1959-1962. Gli spazi interni prevedono pareti composte da pannelli di vetro con telaio di acciaio per permettere la propagazione della luce tra le varie stanze. Le lampade sono assenti, è la luce naturale ad essere protagonista assoluta. La Vigo voleva inserire nelle pareti due opere, una di Lucio Fontana che sarà destinata al soggiorno e l’altra, l’avrebbe fatta realizzare dal suo amatissimo compagno, Piero Manzoni. Quest’ultimo però non vedeva di buon occhio l’attività artistica della Vigo, per lui la donna doveva essere solo moglie e madre. Grande rivoluzionario nell’arte qua mostra una grande contraddizione. La Vigo per mesi, infatti, chiese a Manzoni di inserire le sue recentissime “michette” nella grande parete della sala da pranzo. Doveva essere una parete di “panini” ma dopo i suoi continui rimandi, la Vigo chiamò Enrico Castellani. Poi vediamo altri suoi grandi lavori come Lo scarabeo sotto la foglia realizzata a Malo (Vicenza) nel 1964-1968 con la collaborazione di Giò Ponti. Il materiale predominante è la ceramica bianca che ricopre tetto, pavimento, muri e costruzioni in muratura che sostituiscono gli arredi. A cui si aggiunge la coraggiosa scelta di inserire il contrasto con la pelliccia a pelo lungo grigio, che avvolge tutti gli elementi morbidi e diventerà una costante della Vigo. La luce artificiale è perimetrale e a vista ed il nome della casa deriva dalla forma del tetto in cemento armato, una grande foglia che protegge la struttura tondeggiante al di sotto. Infine, troviamo altri progetti come La casa Museo Remo Brindisi, Lido di Spina (Ferrara)1971-1973, La Casa Blu, 1967-1971, La Casa Nera, 1969-1971, La Casa Gialla, 1970-1971, tutte su Milano.
La terza e ultima sezione presenta Nanda Vigo designer, la parte della sua produzione che maggiormente le permetterà di vivere. Subito si nota la sua passione per la fantascienza, per le realtà parallele e i mondi nuovi e verosimili. Questo incanto vive nei suoi specchi, nelle sue sedie “due più”, tavoli e strutture varie che sembrano appena usciti da una navicella spaziale.
Donna pioniera e grande modello artistico per le generazioni successive, Nanda aveva un carattere riservato, a tratti chiuso. Come disse lei stessa: “la libertà è sempre stata la priorità fin dall’inizio. Nella vita ho corso qualche rischio ma senza libertà non può uscirne niente”. Questi rischi la portarono a raggiungere il Premio alla Carriera, datole dal Museo del Novecento nel 2018, insieme ad Arturo Schwarz e Daniele Crippa. Quest’ultimo, collezionista, critico e fondare del Parco Sculture all’aperto di Portofino (MUPA), è stato suo grande estimatore e amico. Nei primi anni ’80, Daniele Crippa ricorda, che Nanda Vigo gli confessò che il suo grande amore per la luce si nutriva del bianco che caratterizzava la produzione del suo amato Piero Manzoni.