MASSIMODECARLO presenta, nel suo spazio di Londra, la prima mostra internazionale di Jordan Casteel. There is a season, visitabile dall’11 ottobre al 17 novembre, racconta i dettagli dell’umanità contemporanea: persa nei suoi pensieri, ma immersa nel ripetersi delle stagioni che, inconsapevolmente, la accomuna.
Le stagioni hanno un meccanismo semplice. Si susseguono, una dopo l’altra, fino a ripetersi. Sono una costante della nostra esistenza. Vanno e vengono, ogni anno. L’uomo ne ammira lo svolgersi, ne attende il ritorno, ne agogna la fine; a seconda delle preferenze di ognuno, s’intende. Ciclico, preciso, ineluttabile. Facile. Eppure, sottotraccia, il ripetersi stagionale nasconde delle minuzie piuttosto interessanti. Niente di sconvolgente, sia chiaro; ma a volte queste evidenze celate contengono un buon grado di poesia.
Per esempio: il primo giorno di ogni stagione coincide con l’inizio della sua fine. Dopo il solstizio d’estate le giornate iniziano ad accorciarsi; e così anche per l’inverno e gli equinozi. Il principio è anche l’apice; poi segue una lunga decadenza. Una tremenda e malinconica poesia. Rifacendoci a un leopardiano ragionamento (vedi il Sabato del villaggio), potremmo addirittura arrivare a pensare che l’attesa della stagione sia in realtà la stagione stessa, che non fa in tempo ad arrivare e già comincia a salutare.
Inoltre le stagioni sono immediatamente riconoscibili, soprattutto quando siamo all’esterno. Il fogliame, la neve, i fiori, il sole. Ma quando siamo all’interno? Quando stiamo all’interno le stagioni si incarnano in dettagli meno evidenti: l’abbigliamento, le finestre, il modo di muoversi, il tono della pelle, le abitudini, l’umore e non solo.
Di queste e altre modalità umane per unirsi alle stagioni parla Jordan Casteel (1989, Denver).
Con una rinnovata attenzione alle minuzie delle interazioni quotidiane, delle conversazioni e delle relazioni, There is a Season abbraccia il flusso e riflusso delle esperienze vissute, scandite dal battito ritmico del tempo e delle stagioni. Casteel è infatti una pittrice che si nutre di umanità, dei dettagli dell’umanità. Osserva le persone per strada, nella metro o nelle loro case. Spesso scatta loro delle foto, per poi riprodurle nel suo studio. Sono sconosciuti, passanti, studenti; ma talvolta si lascia sedurre anche da una natura morta o un paesaggio. In ogni caso, rimane centrale la traccia psicologica che traspare dal loro apparire. Sentimento che non può prescindere dal momento e dal luogo in cui viene catturato. E niente più delle stagioni segna lo scorrere del tempo e muta le fattezze degli ambienti che viviamo.
Noor and Adam è la prima opera che lo spettatore vede entrando nella mostra. Illuminati dalla luce di una giovane primavera e circondati dal fogliame rigoglioso, la coppia pare osservarci. Partendo da una base gettata ad ampie pennellate, Casteel stratifica gradualmente linee, gesti e colori. Come la natura che al tornare della bella stagione gradualmente riprende i suoi spazi.
Nasturtium rappresenta invece il giardino dell’artista in piena estate. La stagione in cui si è solitamente più liberi, aperti, disposti all’incontro. Difatti è una delle rare volte che l’artista apre uno scorcio sulla sua vita personale. Così il paesaggio diventa uno spazio metaforico dove vissuto individuale ed esperienze universali si sovrappongo in un costruirsi armonioso di piani e prospettive. Straordinaria la resa delle foglie grondanti di rugiada, come una lacrima che sfiora la guancia prima di scomparire nel vuoto. Lo stesso che si intravede all’orizzonte dell’opera. La fine di qualcosa, l’inizio di qualcos’altro.
Ricordate il giorno esatto in cui Barack Obama è stato eletto Presidente degli Stati Uniti? Era il 4 novembre del 2008. Autunno. Con The New Black View (Still life with James and Yvonne), Casteel rievoca un periodo di gioia e speranza per la comunità afroamericana. La prima pagina del The New York Amsterdam Journal riporta alla mente un momento che sembra lontanissimo, come l’estate appena passata ci pare già appartenere a un’altra vita. Eppure, anche se la memoria già sbiadisce, la politica inclusiva di Obama deve sopravvivere al dilagare di odio e tensioni che minacciano la società americana.
A maniche corte, con la felpa, con il giubbotto. Qualunque sia il momento dell’anno, nelle grandi città la metropolitana è un luogo, ma anche un momento, da affrontare quotidianamente. Nella sua natura transitoria siamo tutti inconsapevolmente riuniti; per un attimo i percorsi di ognuno si sovrappongono, condividono momenti di attesa e preparazione. L’artista immortala questi istanti di pausa, catturando l’interiorità di un bambino che mangia o di un uomo che sonnecchia. Casteel si inserisce in questi soggetti: ne estrae la dimensione personale contestualizzandola in un contesto pubblico e altrimenti anonimo.
Solitudine e introspezione che ci conducono all’inverno, la stagione del ritiro e del riposo. Anche Wayde, nonostante sia per strada, pare ripiegarsi su se stesso. Il suo sguardo elude l’osservatore, perdendosi altrove. I sottili cambiamenti tonali nel terreno innevato – dal grigio fangoso al bianco brillante – sono sostenuti dall’azzurro glaciale che ghiaccia l’aria tutt’intorno. il risultato è un’immobilità apparentemente eterna. Eppure, la neve inevitabilmente si scioglierà. E arriverà la primavera, il caldo; poi l’estate che declinerà in autunno. Questo ripetersi è consolante, dà l’idea che nulla esista veramente, almeno non in modo definito.
E se niente inizia mai ad esistere, allora niente può mai finire.