Che ArtVerona fosse uno dei più realistici osservatori per guardare al mondo indipendente italiano lo si sapeva. Vuoi per il suo essere una fiera di mezza grandezza e con le ambizioni alte ma i piedi ben piantati nel territorio veneto, vuoi per il coinvolgimento di curatori e curatrici che hanno saputo cogliere nel tempo il fermento che anima la penisola e cavalca sotto il vessillo del no-profit.
Con Giulia Floris quest’anno abbiamo visto qualcosa in più. LAB1 ha portato in fiera project spaces e collettivi, invitandoli a pensare una collaborazione con altre realtà del sistema, come le residenze istituzionali, con l’intento di promuovere proficui sviluppi futuri. LAB1 ha voluto così sottolineare l’importanza che gli spazi indipendenti hanno assunto come “centri di sperimentazione e libertà ideativa, dotati di grande flessibilità e adattamento all’interno del contesto italiano” . Se l’hashtag di ArtVerona è stato quello di “backtoitaly”, Giulia Floris l’ha interpretato perfettamente: “tornare in Italia” dall’Italia, infatti, oggi vuol dire guardare a tutte quelle realtà che non si sono mai fermate – anche e soprattutto perchè non avevano nulla da perdere – e che mentre gallerie e musei arrancavano nella speranza delle riaperture, non hanno mai smesso di fare ricerca e farlo in modo attivo.
Nè è stato un esempio Spazio Volta, che in collaborazione con il Mattatoio di Roma ha portato visori vr per pubblici e bovini, ragionando sul rapporto umano-animale e tentando di ribaltare quella prospettiva antropocentrica e quel desiderio tutto nostro di manipolare gli universi che riteniamo sotto la nostra egida. Udders For Mum era un’opera collettiva, composta da un headset per animali e due i visitatori e le visitatrici, progettati da Carlo Gambirasio, che invitavano a immergersi nella realtà virtuale di seni e mammelle dell’artista Yuli Serfati. Potere della tecnologia, intersezione e rimescolamento di punti di vista, allucinazioni e inquietudini uterine sono stati i caratteri di quel “feticcio virtuale” che ancora una volta ha confermato l’attitudine del giovane curatore bergamasco Edoardo De Cobelli a una ricerca che non guarda in faccia a pudori e spiriti impressionabili.
Se nel rapporto tra umano e bovino presentato da Spazio Volta le dinamiche di potere erano ruminazioni di turbinii deliranti, Francesco Pozzato a contrario è partito dall’osservazione delle gerarchie e degli ordini figurativi nelle rappresentazioni della potenza. La tenda dei cento divani a cura di BRACE BRACE in collaborazione con A Collection muoveva dalla tradizione dell’arazzo per analizzare il rapporto tra “violenza e decorazione”. Sono state infatti indagate alcune raffigurazioni di vincitori e vinti, “sottolineando il forte legame che esiste tra decorazione e manifestazione di potere”. Alludendo alla famigerata tenda dei cento divani di Alessandro Magno, Francesco Pozzato e il team curatoriale hanno questionato le modalità delle immagini, in particolare quelle araldiche, di veicolare messaggi di forza e innescare meccanismi di sottomissione. L’artists run space milanese non ha rinunciato nemmeno questa volta a instaurare un discorso serrato con l’artista invitato e, come nell’esempio miceneo, ha configurato il proprio stand, così come ha sempre fatto nella sua storica sede, come un ambiente totale, una narrazione immersiva, dove la storia dava appuntamento alle proprie contraddizioni e si incarnava in figura.
A imparare dalla storia, o meglio dall’attualità, ci hanno provato Post Disaster Rooftop e Città dell’arte Fondazione Pistoletto, ponendo domande e cercando risposte a tutte quelle prospettive e vesti che oggi l’idea di “Disastro” assume. Il collettivo di Taranto ha ribadito il proprio essere una piattaforma di interrogazione critica su tutte le questioni aperte e mai chiuse della contemporaneità urbana, cercando di immaginare insieme al pubblico futuri alternativi nei quali il disastro fosse il punto di partenza e non quello di arrivo.
Sul concetto di luogo come identità, invece, si sono concentrati La Portineria di Firenze con Fondazione Zimei e Senza Bagno di Pescara con Museo Carlo Zauli. I primi hanno indagato il “luogo dell’abitare”, in tutti i significati e le implicazioni che il termine “abitare” può rivestire oggi, nel tentativo di trovare un nuovo vocabolario, sentimentale e visivo, per esprimere il carattere dei luoghi. I secondi invece hanno direttamente trasportato in fiera ciò che più lega le artiste e gli artisti pescaresi al loro luogo, alla loro casa, ovvero il mare: 1000 bottiglie d’acqua marina hanno atteso di essere prese dal pubblico, per portare anche al nord un po’ di quella brezza estiva, di quell’emozione salata che vive nella memoria di ciascun* e parla con la voce del nostro bambino interiore.
Proprio in merito alle voci e al loro sovrapporsi in coralità ha ragionato lo stand di Mucho Mas con il progetto Uncoated-Content, che nasceva dalla piattaforma www.uncoated-content.com, sito web dove sono raccolti dialoghi tra artist* in merito alla potenza generatrice e creativa del fare comunità. Interconnessione, dunque, è stata la parola d’ordine del collettivo, presentata in fiera attraverso video, suoni, testi e addirittura una chat whatsapp con * autor*. Nello stand era possibile infatti navigare in libertà tra i contenuti e i pensieri e ricordare ancora una volta l’importanza della condivisione come chiave per aprire scenari di possibilità.
Sovrapposizione e connessione sono anche stati il concept adottato da Spazio In Situ, che ha deciso di lavorare coralmente, ribaltando l’idea di stand fieristico come “macchina per vendere”, trasformandolo invece in un accumulo di pezzi unici senza interruzione o distinzione. Una vera e propria valanga di opere di tutto il gruppo, che convivevano l’una sopra l’altra per ribadire quell’idea di accoglienza e incontro che ha sempre contraddistinto la loro storia come collettivo.
Restituire la complessità di approcci e di approfondimenti che LAB1 ha portato a Verona è difficile. Ma una cosa è risultata molto chiara: l’esperienza di Giulia Floris e la sua storia come co-fondatrice di Cluster Report, oramai ben nota piattaforma di analisi dei project spaces italiani, ha comportato quel quid ulteriore per la riuscita del tutto. Non solo per la selezione e l’attenzione dimostrata a tutt* * partecipant*, ma anche e soprattutto per il livello di ricerca proposto. Ciò è stato possibile anche per la decisione della curatrice di dare a ciascuno spazio un piccolo budget di partenza con cui finanziare l’intervento per ArtVerona. In un periodo in cui sempre più spesso si alzano voci e teste per protestare contro la situazione di precariato, sfruttamento e deregolamentazione cui artworkers e cultural workers sono condannat* in Italia, questo apparentemente piccolo contributo è risultato essere uno statement molto forte. Sarebbe bello, infatti, abitare un magico mondo in cui si può sopravvivere d’aria e alte aspirazioni, ma purtroppo-per fortuna nel mondo reale c’è bisogno di poter sostenere i progetti anche a livello economico. Quasi sempre ciò non è possibile e questo comporta una perdita importante in termini di possibilità e accrescimento culturale.
Bisogna smettere di dare per scontato tutti gli sforzi e i sacrifici che i lavoratori e le lavoratrici del sistema fanno quotidianamente. Durante un talk qualche tempo fa mi è stato domandato da quale posizione di privilegio fosse possibile portare avanti un project space in Italia: la verità è che poch* sono consapevol* delle rinunce e delle difficoltà che il caro e amato no-profit comporta per tutt*. Parlando con Giulia le ho chiesto se ritenesse possibile compiere una mappatura del sistema indipendente italiano e la sua risposta è stata che ad oggi non lo è: non si fa a tempo a censirlo che già si è evoluto, si è trasformato o qualcuno ha chiuso i battenti ed è andato perso per la strada. Cosa fare allora? Esattamente quello che ha provato a fare lei per ArtVerona: scattare un fermo immagine, di certo temporaneo e impermanente, senza rinunciare però a guardare al lungo termine, adoperandosi in favore di una sostenibilità economica e culturale per poter coltivare appieno gli sviluppi che il futuro riserva al nostro settore.