Recentemente la Corea del sud è finita su molti notiziari italiani con il fenomeno Squid game, l’ultima trovata vincente della Korean Wave distribuita da Netflix. L’anno scorso, Parasite di Bong Joon-ho faceva l’en plein agli Oscar e ancor prima a Cannes. Nel mentre, l’industria musicale coreana riempie gli stadi in Europa e Stati Uniti da diversi anni.
Sembra che nel campo dell’industria culturale e creativa, questo paese asiatico si stia sempre più affermando nel panorama internazionale, ma cosa succede invece nel settore dell’arte?
Chi ha seguito Frieze London, conclusasi a Londra giusto una settimana fa, saprà che è in arrivo un’importante novità per il prossimo settembre: la fiera sbarcherà a Seoul per la sua prima edizione nell’estremo oriente. La domanda, quindi, è: perché la Corea del Sud?
Lo sviluppo economico e l’investimento nella cultura
Parlare della situazione del mercato dell’arte in Corea necessita in primis un breve excursus sulla situazione socioeconomica di un paese che è arrivato nei radar italiani da poco tempo e che, di conseguenza, l’Italia non conosce bene. Oggi la Corea del Sud siede al tavolo con le principali potenze economiche mondiali, ma negli anni ’60, a seguito della fine della guerra, il paese era tra i più poveri al mondo. Ciò significa che in pochi decenni la Corea ha vissuto uno sviluppo economico incredibile, quello che del resto i Coreani stessi chiamano “il miracolo del fiume Han”.
Durante gli anni del grande sviluppo economico, e soprattutto dopo l’inizio della democrazia alla fine degli anni ’80, la cultura ha iniziato ad assumere un ruolo fondamentale. Infatti, il governo coreano avviò un’operazione chiamata “Global Korea”, un vero e proprio sforzo di nation branding che puntava a migliorare la reputazione del paese sul piano internazionale. La dirigenza politica si era infatti accorta delle molteplici possibilità di sfruttare il concetto di “soft power”, una pratica che Joseph Nye ha definito come l’abilità politica di ottenere dei risultati tramite persuasione e attrazione attraverso risorse come, ad esempio, la cultura. Da questa intuizione nasceva quindi la hallyu o korean wave, una strategia ormai globale che vede la produzione ed esportazione di prodotti culturali tra cui film, serie tv, musica, videogiochi e moda grazie anche agli importanti sussidi governativi. Oggi, questo fenomeno culturale che conta più di 100 milioni di fan nel mondo ed è studiato da molte università, continua ad aumentare grazie ai continui finanziamenti governativi (1,5 miliardi nel 2020).
Le conseguenze per il mondo dell’arte
Comprendere i due meccanismi – sviluppo economico ed investimento nell’industria culturale – ci permette di analizzare le condizioni in cui il mercato dell’arte si muove in Corea. Se da una parte, il boom economico ha permesso l’emergere di una categoria estremamente benestante ma anche molto giovane, dall’altra parte l’investimento culturale è stato capace di avviare un processo importante di apertura del paese ad un clima più globale. Nel mondo dell’arte e del suo mercato questi due fattori creano molteplici conseguenze. In primis, l’investimento governativo nella cultura include anche il settore di gallerie e musei. Seoul prevede già una vastissima offerta di importanti musei di arte antica, moderna e contemporanea, tra cui spicca il Leeum Museum – museo fondato dalla famiglia Samsung che vanta una delle più importanti collezioni di opere Coreane, con inoltre un grande contributo di artisti internazionali come Olafur Eliasson, che vi ha realizzato un’opera site-specific. Il museo, che ha riaperto la prima settimana di Ottobre dopo un fermo di più di un anno per ristrutturazioni, offre un esemplare sguardo su quello che è il panorama dell’arte contemporanea, sia locale che internazionale.
Ne è esempio la mostra temporanea inaugurata recentemente “Humans: 7 questions”, che racchiude le opere (commissionate e non) di più di 50 artisti già affermati in tutto il mondo, riflettendo su cosa significhi essere umani, un tema senz’altro esplorato ampiamente nel periodo post-pandemia. Le visite sono già sold out per i prossimi mesi e questo mostra come i Coreani, che vivono in un’era di estremo benessere (sebbene con ampissime disparità sociali, come del resto succede in paesi che vivono uno sviluppo economico molto veloce) si interessino sempre di più all’arte. Ma questo interesse per il settore artistico non solo fiorisce nel campo museale, ma anche (e soprattutto), in quello del collezionismo.
Il collezionismo e le gallerie
Precedentemente è stato menzionato come il grande sviluppo economico coreano abbia originato una classe estremamente ricca, i cosiddetti chaebol (ovvero le grandi famiglie proprietarie di multinazionali come Samsung, Hyundai o LG), ma anche una serie di imprenditori e professionisti molti benestanti e spesso anche molto giovani. Entrambe rappresentano due dei target principali del mercato dell’arte in Corea. Complice ne è anche una cultura che, abituatasi alla ricchezza solo molto recentemente, ne associa una necessità di affermazione del proprio status: lusso, moda e arte sono quindi portatori di quel valore simbolico di cui i coreani si nutrono e mostrano sui propri social media o per le strade di Gangnam (molti si ricorderanno del famoso brano “Gangnam Style” di Psy, hit che ironizzava proprio su queste nuove pratiche).
Non c’è comunque da tralasciare che l’arte è anche – e forse in primo luogo – vista come un importante investimento economico, complice l’assenza di tasse dedicate. Importante è anche sottolineare come invece il mercato immobiliare sia un investimento quasi inaccessibile per la classe media locale, causa le complesse politiche governative che lo regolano. Di conseguenza vi è quindi un rinnovato interesse per il settore del collezionismo dell’arte e del lusso.
L’occasione che questo fenomeno genera è stata colta al balzo dal sistema delle gallerie, che negli ultimi anni sta fiorendo sempre di più ed è regolata dalla Korean Gallery Association. Oggi le gallerie locali vantano importantissimi nomi sulla sfera internazionale come Kukje Gallery, Gana Art o Leeahn Gallery, che continuamente assumono il ruolo di “educatori” del gusto del collezionismo contemporaneo, introducendo tanti nomi importanti dall’estero e promuovendo le eccellenze locali (principalmente gli esponenti del famoso movimento Dansaekhwa come Park Seo-Bo o Kim Tschangyeul). Ma le grandi gallerie internazionali non sono rimaste indietro: Pace, Perrotin e Lehmann Maupin hanno stabilito le loro sedi a Seoul già da diversi anni.
La svolta del 2021: Fiac Seoul e le nuove aperture
Il 2021 ha senz’altro marcato un altro passo avanti. Da una parte con l’ulteriore apertura di importanti gallerie internazionali, tra cui Thaddaeus Ropac. La galleria ha recentemente inaugurato uno spazio nell’area centrale di Hannam con una mostra su Georg Baselitz (tra l’altro visto tantissimo nell’ultima settimana a Fiac Paris, complice anche la retrospettiva al Centre Pompidou). Dall’altra con il ritorno in sede fisica di Fiac Seoul, la fiera internazionale d’arte contemporanea che ha visto nella sua 20ima edizione un record di acquisti pari a 65 miliardi di Won (55 milioni di dollari). La fiera, che era stata presentata solamente online nel 2020 causa pandemia, ha presentato un corpus di 170 gallerie nella sua sede storica del Coex Mall, la maggior parte provenienti da Seoul, ma con anche una discreta presenza internazionale segnata da Pace, Lehmann Maupin, Perrotin, Peres Project, Esther Schipper, Koning, Gladstone e Various Small Fires.
Le vendite si sono principalmente svolte nella giornata di Mercoledì 13 Ottobre, che marcava la VVIP & press preview. Queste hanno visto opere di artisti locali come i modern masters della Dansaekhwa Park-Seo Bo, Ha Chnog-Yun e Kim Tae-Ho, e nomi internazionali come Kaws, Takashi Murakami (presentato con un solo-show allo stand di Perrotin), Latifa Echakhch, Adolph Gottlieb, David Hockney, Jenny Holzer, Byron Kim e Daniel Boyd tra gli altri. Opere che comunque variano da un range di 10,000 a 600,000 dollari.
Il medium preferito? Sicuramente opere su tela, dall’astratto al monocromatico, dalla pittura all’uso dei tessuti, passando per le tecniche miste, con una predilezione per lavori che ricercano sui volumi e sul materico. Discrete le proposte di statue ed installazioni, poche le fotografie. Varie invece le opere di videoarte, a cui la Corea è molto legata grazie alla figura di Nam June Paik. Inoltre si è potuto notare l’inizio di una presenza di opere NFTs e digitali. La questione NFTs tra l’altro è esplorata in molti contesti a Seoul, con festival e mostre, ma anche attraverso l’uso di cryptocurrency per l’acquisto di opere fisiche adottato da molte gallerie. Del resto Seoul é “vicina” di Hong Kong, uno degli hub principali del mondo NFT.
Cosa aspettarsi per il futuro? Sicuramente un ulteriore sviluppo del panorama artistico nella capitale, che offre già una vastissima gamma di gallerie, fondazioni, centri d’arte e musei. D’altronde, il clima economico presenta una situazione estremamente favorevole per l’ulteriore ampliamento di un mercato che in occidente è sempre più saturo. Sarà quindi interessante osservare quali gallerie internazionali apriranno nuove sedi a Seoul, o quali enti o case d’asta inizieranno nuovi rapporti di scambio reciproco con il paese.
Sulla questione, Jinsu Seo (docente di economia presso la Kangnam University) ha commentato: “Recentemente, la Corea è diventata oggetto di interesse delle principali gallerie e case d’asta internazionali. Le gallerie che un tempo stabilivano piccole filiali hanno ampliato la loro portata e, successivamente, sempre più gallerie si stanno preparando ad aprire filiali o uffici dopo aver assistito a tali espansioni. Ci si aspetta inoltre che le case d’asta più prestigiose a livello internazionale entrino presto nel mercato coreano. La futura partnership tra KIAF Seoul e Frieze Fair nel 2022 porterà notevoli cambiamenti al mercato dell’arte nazionale e asiatico”
Ciò che ci resta da osservare, è dove e come l’Italia vorrà posizionarti in tutto questo, data l’attuale scarsa presenza del paese. C’è sicuramente da dire che molte gallerie Italiane hanno precedentemente puntato su Hong Kong, che vive però una situazione molto complessa tra regole legate alla pandemia ed il tramonto della democrazia. Molti professionisti del settore hanno già compreso una visione che vede sempre di più il cuore del mercato dell’arte asiatico spostarsi da Hong Kong a Seoul, per cui sembra che puntare lo sguardo sulla Corea del Sud oggi sia un investimento intelligente. Quello da chiedersi è chi in Italia saprà coglierlo.