La prima tappa del progetto di viaggio e pellegrinaggio delle immagini di Venice Time Case è la galleria Tommaso Calabro a Milano. Fino al prossimo 26 novembre. Nessun tema o indicazione, solo un medium che deve essere rivisitato, scomposto, riletto e una valigia nella quale deve essere inserito. Questo è ciò che Barbero ha dato come indicazione curatoriale ai giovani artisti (il più grande ha 36 anni) di questo group show, una tavoletta di legno dalle dimensioni predefinite con la quale devono “fare i conti”, orchestrando il proprio peculiare linguaggio sulla pellicola vergine. Un’occasione, rara e inedita, per poter sfatare diversi preconcetti sui giovani artisti, una vetrina per allenare gli occhi del pubblico alle nuove generazioni.
“In un momento di incertezza ontologica sono ripartita da ciò che mi è più vicino, gli interni della casa di mia nonna”, ci racconta Marta Naturale (Mirano, 1990) a proposito della sua arte. “Lo percepite questo senso di immanenza? Come se ci fosse qualcosa d’altro che non dico, che non dicono”. I suoi quadri, dai richiami fiamminghi, ritraggono soggetti quotidiani privi di interessi estetici. Marta parte da quello che pensiamo di conoscere già, come i dintorni delle nostre abitazione, alla ricerca di punti di vista differenti e nuove scoperte.
La sua creazione inizia con le incisioni e una pittura molto materica composta da colori che prepara lei stessa. Ne risultano quadri dalla visione frontale, tendenti all’appiattimento. Il confronto della pittrice con la tavoletta proposta da Barbero di primo impatto non risulta facile: deve aumentare la sua abituale superficie pittorica e il tempo a disposizione è poco, ma riesce a risolvere il problema con l’inserimento nel quadro di una cornice.
Anche Chiara Enzo (Venezia, 1989) lavora ai dettagli su piccole superfici e anche lei riscontra difficoltà con la grandezza del medium proposto. Nutre un forte interesse per la fotografia e il cinema, ed è proprio da qui che, a volte, nascono le sue idee. Ferma lo schermo su un dettaglio, schematizza in disegno o fotografa. Dal vivo si colgono più dettagli però nell’esperienza dell’artista pochi sono disposti a rimanere in posa per ore e ore per farsi dipingere. Chiara compie un minuzioso lavoro alla ricerca di quei frammenti che ci rendono fragili, attentano alla nostra integrità, e cosa meglio della pelle può rispecchiare tutto questo?
Il fil rouge della sua poetica è la vulnerabilità, che per lei consiste nell’apertura al mondo. La pelle è il punto zero dell’identità, come dice lei stessa: “quello che sei lì, lo spazio dove quello che sei avviene ed entra in contatto con il fuori”. Una dimensione di comunità e scambio che rivede anche in questo group show dove le contaminazioni nei lavori sono state molteplici e ognuno ha apportato il suo contributo, non solo alle mostre finali ma anche al lavoro personale degli artisti stessi.
“Creo luoghi e spazi” così si definisce Luisa Badino (Pisa, 1990), una delle poche a suo agio con il formato proposto. Alla costante ricerca di tanti frammenti, non parte mai dal progetto, scava nei medium finché il soggetto non appare. Non ha mai un idea chiara di quello che andrà a fare ma coglie tutte le contaminazioni che la circondano: come i fumetti di Antonio Rubino (1880-1964), fumettista italiano dai famosi colori pastello, che stava leggendo proprio nel periodo in cui le arrivò la proposta di Barbero. Da qui il blu pastello, primo strato della sua opera. Utilizza l’acrilico e varie tecniche, una pittura materica all’interno della quale scava, come in questo caso, estrapolando una struttura industriale, fino a che non riconosce un oggetto legato a una narrazione; quando vede una storia si ferma e l’opera è finita. “I quadri”, dice, “sono frammenti della mia vita”.