Benjamin Lacombe e la sua Alice, piena di meraviglie, paure e incertezze: «il racconto di Carroll è universale perché ci riguarda tutti»
Benjamin Lacombe è uno degli illustratori più famosi della sua generazione, classe 1982, ha già all’attivo una lunga bibliografia con una nutrita schiera lettori fedeli e appassionati, e intanto le sue illustrazioni vengono battute all’asta a prezzi stellari. Ha illustrato sia grandi classici della letteratura per l’infanzia (come Bambi, Biancaneve e Il Mago di Oz – ma anche I Racconti Macabri di Edgar Allan Poe) che testi originali scritti da lui (Ondine, Gli Amanti Farfalla e Maria Antonietta. Il diario segreto di una regina) o in collaborazione con Sebastian Perez (Frida, La Piccola Strega, Vite di cani illustri). Il suo stile unico e riconoscibile attinge dai grandi maestri del rinascimento e dai pittori folk, dagli incisori vittoriani e dai manga giapponesi, dando vita a un catalogo di immagini personalissimo e amato in tutto il mondo.
In Italia per l’uscita di una nuova edizione, completamente illustrata, di Alice nel Paese delle Meraviglie e di Alice al di là dello Specchio di Lewis Carroll (in libreria con Ippocampo Edizioni), Lacombe ci ha raccontato del suo lavoro, delle sue ispirazioni e del suo approccio come artista al mondo della letteratura.
Quello di Alice è un mito letterario che periodicamente trova nuovo successo, nuova linfa, ogni generazione lo riscopre, lo reinterpreta e lo ama. Andando subito al sodo chiedo a Lacombe, qual è il segreto di Alice? «È molto difficile da spiegare – risponde lui, ben cosciente dalla complessità della materia – non stiamo parlando di un semplice libro, ma di un vero e proprio fenomeno. Ho notato come tantissime persone nemmeno conoscono i romanzi originali di Carroll, eppure conoscono benissimo Alice e tutto il suo universo, il suo immaginario. Capire il cuore del suo successo quindi è complesso». A questo punto Benjamin prende in mano le redini dell’intervista, e continua: «la domanda a questo punto potrebbe essere: cosa rende classico un classico? I classici diventano tali quando i temi che racchiudono sono così universali, come lo è la stessa natura umana, quindi trascendono il concetto stesso di tempo e diventano in qualche modo eterni. E allora bisognerebbe chiedersi: quale è il tema di Alice? E il tema di Alice è… Crescere. È un racconto di formazione, una grande metafora dell’adolescenza. Carroll lo racconta molto bene anche attraverso molte immagini simboliche, come quella della rosa bianca che viene dipinta di rosso: una chiara metafora del ciclo mestruale. Nel corso della storia Alice diventa enorme, poi minuscola, il suo corpo cambia in continuazione e lei si sente sempre sbagliata: un riflesso dei cambiamenti che si verificano in tutti noi durante l’adolescenza. C’è un momento chiave in cui la stessa Alice si chiede “stamattina, quando mi sono svegliata, ero proprio la stessa? Mi sembra di ricordare che un po’ diversa mi sentivo, sotto sotto”. Oppure ancora il fatto che lei viva in universo dove ha la percezione che tutti siano pazzi, un mondo folle in cui lei non riesce a trovare il suo posto: tutte rappresentazioni allegoriche di quel periodo di transizione che è l’adolescenza. Credo sia questo che rende il racconto di Carroll sempre attuale, perché ci riguarda tutti».
È quello che succede anche in Illusioni Perdute di Honoré de Balzac, con Lucien Rubempré nelle vesti di un’Alice per adulti, anche lui alla fine del suo viaggio folle nella Parigi della restaurazione (la sua tana del Bianconiglio) si desta dall’età delle speranze (e dei sogni) e inizia a vivere, proprio come Alice, che al termine delle sue avventure si deve svegliare per continuare a crescere. Parlo a Benjamin di questo parallelismo che mi è passato per la mente e menziono il nuovo film di Xavier Giannoli, adattamento del romanzo di Balzac con Benjamin Voisin e Xavier Dolan, e Lacombe mi parla della sua ammirazione proprio per Dolan. «Adoro Xavier Dolan perché in tutti i suoi film racconta questo tema della crescita, con l’idea che sia anche, film dopo film, un suo percorso personale di scoperta interiore, un continuo interrogarsi sulla propria identità, anche in relazione alla sessualità, in questo senso, come i classici, penso che il suo cinema sia universale. I suoi lavori però sono densi, pieni di sesso: trovo interessante invece come in Alice non ci sia nessun reale riferimento alla sessualità, la storia si svolge in un mondo molto seducente e insidioso, ma non c’è mai nessun personaggio che cerca di sedurne qualcun altro. È molto strano che una storia di 300 pagine non ci sia nemmeno un accenno a una qualche love story, a un qualche tipo di coinvolgimento romantico, nemmeno in una sottotrama… E si parla di adolescenza! Per me questo è un aspetto curioso perché è una fase sempre accompagnata dal sesso, dalla scoperta, dalla curiosità, dai dubbi, dal desiderio: uno spettro che Dolan esplora in continuazione. Al contrario quella di Alice è un’adolescenza senza sesso. È un riflesso della sessualità di Carroll».
Il viaggio di Alice ha tanto a che vedere con la psicanalisi, con il rimosso e l’elaborazione di traumi irrisolti, suggerisco, un testo che si presta anche a una lettura lacaniana, configurandolo come un viaggio nel perverso celato (rendendola una materia perfetta per un regista come Lynch più che per uno come Burton). «Questo aspetto legato al sogno ha a che fare con una forma di censura – concorda Lacombe – Molti, soprattutto nell’immaginario POP contemporaneo quando si parla di Alice nel Paese delle Meraviglie aggiungono degli elementi di interpretazione sessuale, “drink me” per esempio… Non è detto sia per forza così (a me viene in mente la versione hot delle CLAMP, regine dei manga, che hanno scritto una versione a fumetti – Fushigi no kuni no Miyuki-chan – in cui il paradigma sessuale viene ribaltato, al posto della rimozione tutto diventa esplicito e ogni personaggio, trasformato in sexy pin-up, cerca di sedurre la protagonista, ma non abbiamo molto tempo e lascio continuare Benjamin), spesso Alice è diventata anche una storia legata all’immaginario del viaggio psichedelico, ma in realtà bisognerebbe capire che la storia è un riflesso dello stesso Carroll. Non dimentichiamo la grande quantità di specchi presenti nel mondo di Alice, e gli specchi sono simbolici perché mostrano e, allo stesso tempo, nascondono ciò che si è. Carroll aveva diverse personalità che si riflettevano e si nascondevano tra loro: era un professore di matematica, uno scrittore sotto pseudonimo, un fotografo… In più aveva una parte di sé molto turbolenta e scomoda, da nascondere, la propria sessualità su cui molto si è speculato. In questo senso i suoi romanzi possono essere letti anche come allegoria del passaggio da una personalità all’altra, nel tentativo di reprimere alcuni lati, di nasconderne altri, in Alice tutto questo avviene attraverso il simbolo dello specchio».
Chiedo allora a Lacombe, di fronte a questa storia così ricca, stratificata, piena di immagini folli e simboliche, se ci sono stati degli episodi in particolare che hanno messo a dura prova la sua fantasia come illustratore. «Ci sono stati tantissimi momenti di difficoltà creativa legati ad Alice – mi confessa con sincerità – anche perché è uno dei romanzi più illustrati al mondo, da tantissimi artisti, tra questi ovviamente John Tenniel, illustratore di Alice per eccellenza». Carroll stesso ha illustrato il primo manoscritto per mostrare esattamente cosa volesse, ma i suoi disegni non furono giudicati abbastanza belli, così propose di ingaggiare Tenniel, intrattenendo con l’illustratore fitte conversazioni per essere sicuro che le illustrazioni rispecchiassero le sue idee. «Ho iniziato facendo molte ricerche, chiedendomi proprio cosa Carroll avrebbe desiderato per la sua Alice, quindi è stata una bella sfida. Ho cercato di capire da cosa l’autore aveva tratto ispirazione per ognuno dei suoi personaggi». Benjamin mi spiega che la versione di Alice creata da Tenniel deriva da una foto di Beatrice Hatch scattata e spedita da Carroll come esempio all’illustratore. Guardando poi le foto di Alice Liddell, la bambina per cui è stato scritto il romanzo, vediamo come le due ragazzine siano diverse tra loro, una bionda con i capelli lunghi, l’altra mora con i capelli a caschetto. «Quindi la vera Alice non è solo Alice Liddell – continua Lacombe – quando ho disegnato la mia Alice ho fatto un mix tra l’aspetto dell’Alice bionda (Beatrice Hatch) e il carattere dell’Alice mora (Alice Liddell) perché Lewis Carroll raccontando questa storia per lei ha rubato qualcosa della sua personalità per dare vita a una nuova protagonista. Per la regina di cuori invece mi sono ispirato a Elisabetta I, per la Duchessa alla Regina Vittoria, perché il romanzo è anche, dopotutto, una critica alla società vittoriana e moralizzante».
Benjamin Lacombe parla con passione del suo lavoro, e ancora più volentieri dei temi, delle suggestioni e delle ispirazioni che la letteratura gli fornisce come artista, il motore delle sue creazioni. Gli chiedo quindi, visto che la nostra chiacchierata sta per concludersi (il tempo passa inesorabile, come ci insegna il Bianconiglio), come cambia il suo approccio quando si trova a dover illustrare dei testi classici rispetto a libri scritti di lui. Mi spiega che la differenza sta nella libertà, forse troppa quando lavora su un testo proprio, perchè in quel caso la fantasia non ha freni. Con testi classici o di autori contemporanei affronta il lavoro in solitaria: «Ho un approccio diverso quando scrivo e disegno con Sebastian Perez, un autore con cui collaboro ormai da diversi anni, in quel caso non ho approccio individuale, diventa realmente un’opera a due, un processo di tipo simbiotico. Lavorare su testi altrui, classici o contemporanei, mi fa bene perché mi trovo a dover a che fare con delle barriere, che sono un grosso stimolo per incanalare la fantasia e spingere la creatività».