Fino al 30 gennaio 2022, alla Fondazione Accorsi-Ometto di Torino, si può visitare ‘Parigi era viva. De Chirico, Savinio e Les Italiens de Paris (1928-1933)’. La mostra, in cui sono esposte opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private (tra cui il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, la Ca’ Pesaro, Venezia o gli Uffizi), è stata curata da Nicoletta Colombo e Giuliana Godio.
L’entrata della Fondazione Accorsi-Ometto, che fu la dimora dell’antiquario Pietro Accorsi fino alla sua morte nel 1986, è situata al numero 55 di Via Po, sotto i portici. Varcare le porte del palazzo è entrare in un mondo nuovo, come accade di solito nelle case museo. Gli artisti in mostra sono “I sette di Parigi”: Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Filippo De Pisis, Gino Severini, Massimo Campigli e Mario Tozzi, Renato Paresce, tutti presenti e attivi in questa città dal 1928 al 1933. Circa settanta opere sono distribuite fra le stanze di casa Accorsi, dove entrano in conversazione con i mobili, gli arredi e la collezione di ceramiche, vetri e argenti. Entrando in una delle prime sale, sopra un cassettone del 1755-65 di Pietro Piffetti, lo spettatore incontra l’intensissimo sguardo di un De Chirico concentrato, pensieroso, che si è autoritratto davanti a tre quadri.
Due delle sale della mostra sono monografiche: una dedicata al pictor optimus e l’altra al fratello Alberto Savinio. Di ciascuno sono esposte circa quindici opere: man mano che si percorre la stanza, quasi buia, in cui sono illuminati solo i dipinti, si percepisce l’atmosfera intima creata da questa affollata riunione di soggetti, di tele, di pigmenti, di personaggi, di idee. È quasi come se lo spirito di ogni pittore fosse li, a osservare gli spettatori dai quadri, e non fossero solo gli spettatori a guardare.
La sala di De Chirico è popolata da cavalli (Cavalli antichi, 1929), da manichini (Le muse, 1927), da gladiatori (I gladiatori, 1929), di nature morte (Grenades avec buste ancien, 1923)…la concentrazione in uno spazio così piccolo di così tanti soggetti è travolgente.
Nella sala successiva, il genio di Savinio emerge e si manifesta brillante quanto quello del fratello in quadri come La Navire perdu, 1928, Penelope (Senza titolo o vedova triste), 1940, nella malinconica Fine del combattimento degli angeli o ne Gli ospiti dimenticati (Personaggi), entrambi del 1930.
Le sale dedicate a Campigli, De Pisis, Paresce, Severini e Tozzi sono senza dubbio meno intense, più gioiose. Nature morte, scene della vita mondana parigina, paesaggi. Sono quadri che restituiscono l’atmosfera e il clima della città francese negli anni ’20 e ’30 del Novecento. Particolarmente interessanti sono l’Autoritratto di Paresce del 1917 e i quadri di Campigli, dallo stile arcaico, tra cui Le educande, 1930 o Le spose dei marinai, 1934.
Anche se in alcune stanze della casa sono ci sono quadri della mostra, il percorso all’interno del museo (la sala di Savinio, il gabinetto con le ceramiche, gli spazi con i quadri di De Pisis, quelli con i mobili di Piffetti o con le tele di De Chirico) è sorprendentemente coerente, armonico. Sembra quasi che i quadri siano stati dipinti per essere appesi li, o che sia la casa di uno dei sette pittori. Lo spazio è intimo, accoglie chi entra e lo fa sentire benvenuto, a casa. Sembra di essere stati invitati da un amico che aspetta per conversare, per parlare di Parigi e di ceramica, di argenti, di metafisica, di mobili di ebano e di cavalli in riva al mare…