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Biennale di Venezia 2022. Tutto quello che c’è da sapere sulla 59esima edizione

Padiglione Centrale_Giardini_Photo by Francesco Galli Padiglione Centrale_Giardini_Photo by Francesco Galli
Padiglione Centrale_Giardini_Photo by Francesco Galli
Padiglione Centrale_Giardini_Photo by Francesco Galli
Il latte dei sogni è l’evocativo titolo dell’edizione numero 59 della Biennale d’arte di Venezia. Curata da Cecilia Alemani e in programma dal 23 aprile al 27 novembre 2022, l’evento è legato al tema del corpo, alle sue metamorfosi e al suo legame sempre più stretto con la tecnologia.

2022. La Biennale cade in un anno pari, e già questa è una notizia. Soprattutto per gli almanacchi e gli appassionati di numerologia, certo. Ma d’altra parte è utile a ricordare – se non la sempre presente pandemia che ne ha causato lo slittamento – che sono tre anni che aspettiamo l’evento artistico più importante della penisola. L’Arsenale, i Giardini e Venezia tutta sono di nuovo pronti a ospitare la crema della creatività mondiale.

Inoltre, il dato  temporale racconta qualcosa anche dell’avvicinamento all’Esposizione: la difficoltosa preparazione, il dialogo a distanza con gli artisti, il timore dell’imprevisto, lo spettro dell’annullamento. Forse è anche a causa di questa oscurità latente che Cecilia Alemani ha pensato a un titolo infantile, onirico, dolce ma evocativo. Il latte dei sogni, ispirato all’omonimo libro per bambini della surrealista Leonora Carrington. Nell’opera l’autrice racconta un mondo magico nel quale la vita viene costantemente reinventata attraverso il prisma dell’immaginazione e nel quale è concesso cambiare, trasformarsi, diventare altri da sé.

Un entrée suggestivo per una Biennale estremamente fisica e presente. E non solo per la compresenza spaziotemporale, quanto più per i temi su cui prenderà forma: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosila relazione tra gli individui e le tecnologiei legami che si intrecciano tra i corpi e la Terra.

Come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non-umano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi?

Jane Graverol, L’École de la Vanité, 1967. Photo Renaud Schrobiltgen. Collection Anne Boschmans. Courtesy Schirn Kunsthalle Frankfurt. © SIAE
Jane Graverol, L’École de la Vanité, 1967. Photo Renaud Schrobiltgen. Collection Anne Boschmans. Courtesy Schirn Kunsthalle Frankfurt. © SIAE
I numeri

A guardare i numeri si sente aria di novità. 213 gli artisti e le artiste invitati, con una notevole quota femminile e non binaria. 180 di loro sono al loro debutto alla Mostra internazionale. Una percentuale importante, che denota lo spirito contemporaneo e sempre innovatore della Biennale. Non a caso la Curatrice ha accettato di studiare e realizzare il primo College Arte nella storia della Biennale, che si affianca a quelli di Cinema, Danza, Teatro e Musica. I quattro artisti distintisi durante il percorso avranno la possibilità di esporre all’interno dell’Esposizione. 26 le presenze italiane. 58, complessivamente, le nazioni rappresentate. Sono 5 i Paesi che debutteranno alla Biennale Arte: Repubblica del Camerun, Namibia, Nepal, Sultanato dell’Oman e Uganda, mentre Repubblica del Kazakhstan, Repubblica del Kirghizistan e Repubblica dell’Uzbekistan. La laguna si prepara ad accoglierli, come si prepara ad esporre le 1433 opere che arriveranno in città. 80 di queste sono nuove produzioni.

La curatela

Se l’impronta della curatrice Alemani non fosse già emersa dai numeri sopracitati, entriamo nel merito delle scelte espositive che lei stessa ha scelto di anticipare durante la conferenza di presentazione. Si tratta delle capsule del tempo. Ovvero micro-sezioni dedicate, le quali racchiudono un dialogo tra le generazioni creative contemporanee e quelle precedenti. L’idea è di far convergere diverse temporalità nell’ottica di presentare il tema del corpo in una prospettiva trans-storica, che valichi confini precisi e includa il più ampio bacino possibile di storie e suggestioni. Un modo per superare dualismi e contrasti, una modalità partecipativa e stratificata di generare senso e relazioni.

A firmare gli allestimenti è il duo italiano Formafantasma, cui spetterà il compito di rendere organico e permeabile il passaggio tra le epoche. Il primo che incontreremo si chiama La culla della strega. Questa capsula unisce le opere di trenta artiste, danzatrici e scrittrici che usano il corpo in maniera “disobbediente”. L’unico modo, forse, per aprire inediti scenari visivi e capace di ispirare le generazioni successive. Carol Rama, Leonor Fini e Leonora Carrington sono alcune delle artiste in questione, pionieri di una concezione liquida del corpo e del genere.

In totale saranno cinque e forniranno strumenti di approfondimento e introspezione, intessendo rimandi e corrispondenze tra opere storiche – con importanti prestiti museali e inclusioni inusuali – e le esperienze di artiste e artisti contemporanei esposti negli spazi limitrofi.

Carol Rama, Appassionata, 1941. Photo Sebastiano Pellion. Private Collection
Carol Rama, Appassionata, 1941. Photo Sebastiano Pellion. Private Collection

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