Steve McQueen arriva al Pirelli HangarBicocca con una grande mostra. Sunshine State raccoglie alcuni dei lavori più importanti della carriera di McQueen insieme a una nuova installazione video. Dal 31 marzo al 31 luglio 2022.
Uno dei più importanti artisti e film-maker contemporanei. Steve McQueen arriva a Milano e si prende le Navate (più una parete esterna) del Pirelli HangarBicocca. Il grande spazio espositivo è pronto ad accogliere lo sguardo radicale di un’artista capace di ridefinire il modo di esporre il mezzo filmico. Al centro della sua poetica la condizione umana, i suoi drammi e la sua fragilità, la costruzione dell’identità̀, il senso di appartenenza e il diritto alla libertà.
Sunshine State – curata da Vicente Todolí, la mostra è organizzata in collaborazione con Tate Modern, Londra, dove nel 2020 è stata presentata una prima versione – si compone di sei film e una scultura. Pervasivo dunque la forma cinematografica, che si unisce alle arti visive in opere coerenti e sfaccettate. Premiato con il Turner Prize nel 1999 e con il Premio Oscar nel 2013 (12 Years a Slave), McQueen negli anni ha approfondito temi come le questioni razziali, post-coloniali e l’oppressione delle comunità nere.
Il percorso espositivo, pensato in ordine non cronologico, si apre con Static (2009). Proiettate su un grande schermo, sospeso al centro della Piazza, si avvicendano in rapide sequenze riprese aeree della Statua della Libertà di New York. Le disorientanti immagini ravvicinate del monumento ne mettono in discussione la funzione simbolica e colgono il senso di instabilità e precarietà dell’idea di libertà individuale del mondo occidentale. Il film fa da contraltare al lavoro presentato nel Cubo e che chiude la mostra, Western Deep (2002). L’opera conduce lo spettatore nelle profondità della miniera d’oro di Tau Tona in Sudafrica, conosciuta durante l’apartheid come “Western Deep”, e offre un amaro spaccato delle dure condizioni lavorative dei minatori.
Caribs’ Leap (2002) si compone di due parti. Una è trasmessa su uno schermo LED sulle pareti esterne delle Navate, l’altra è proiettata all’interno dello spazio espositivo. Il titolo fa riferimento al drammatico momento storico della conquista francese di Grenada, l’isola dei Caraibi da cui provengono i genitori di McQueen, nel 1651. Piuttosto che sottostare al governo coloniale, alcuni dei resistenti e ribelli locali preferirono gettarsi da una scogliera (Caribs’ leap), scegliendo la morte rispetto alla prigionia e alla schiavitù.
Nel cortile esterno trova spazio anche la scultura Weight (2016), realizzata per una mostra presso la prigione di Reading in Inghilterra – dove era stato incarcerato Oscar Wilde –, in occasione del cinquantesimo anniversario della parziale decriminalizzazione dell’omosessualità nel Regno Unito. L’opera è composta da un letto da prigione circondato da una zanzariera dorata e funge da concretizzazione fisica della poetica filmica dell’artista.
In Charlotte (2004) e Cold Breath (1999) Steve McQueen esplora il corpo nelle sue dimensioni più intime e materiali. Qui l’artista rappresenta gli aspetti più voyeuristici dell’atto di guardare la trasformazione di un corpo da soggetto a oggetto fisico e manipolabile. Cold Breath mostra il film-maker che accarezza, tira e stringe il suo stesso capezzolo. Il movimento ossessivo delle dita rivela i confini labili tra desiderio e violenza, tra piacere e dolore.
Sunshine State, che dà il nome all’esposizione, si configura una riflessione sugli esordi del cinema hollywoodiano e su come il grande schermo abbia influenzato profondamente la percezione e la costruzione dell’identità.
Da qui il grande interrogativo sull’arte e sull’immagine filmica nello specifico. Può il medium filmico possa plasmare l’ambiente circostante e lo sguardo dello spettatore? Se sì, è giusto che lo faccia? Risponde direttamente McQueen:
Non mi interessa influenzare lo spettatore, completamente l’opposto. Sono attirato da una verità…alle volte le cose più terribili avvengono nei luoghi più meravigliosi… Io non posso mettere un filtro alla vita. É questione di non sbattere le palpebre.
Estratto da un’intervista con Kirsty Young, Desert Island Discs, BBC Radio 4, 2014.