Il cinema di Truffaut, torna il libreria il libro di Paola Malanga sul regista Jules e Jim, I 400 colpi e L’ultimo metrò, per riscoprire l’attualità di un cinema destinato a non invecchiare mai
720 pagine su François Truffaut possono bastare? Doppio slurp! In libreria una nuova edizione del libro di Paola Malanga (Baldini+Castoldi), testo fondamentale sul regista francese, autore di capolavori come I quattrocento colpi (esordio e manifesto di un cinema nuovo), Jules e Jim, Fahrenheit 451, Il ragazzo selvaggio, Effetto notte, La signora della porta accanto, L’ultimo metrò, Finalmente domenica (testamento cinematografico e omaggio postmoderno al cinema classico americano, il noir e la commedia romantica).
Ci sono protagonisti del cinema che si sono meritati un posto nella storia per aver cambiato l’idea stessa del fare cinema, di concepirlo, di pensarlo, di comunicarlo, Truffaut è tra questi: prima ha inventato un nuovo modo di fare critica, rivalutando Hitchcock e il cinema americano, con I Quattrocento Colpi ha inaugurato ufficialmente la Nouvelle Vague, dando vita a un cinema confidenziale, al tempo stesso personale e universale, intimamente condiviso. I suoi film sono classici, subitaneamente, quindi sempre contemporanei, impermeabili alle mode e ai tic dei movimenti culturali e/o estetici che si sono susseguiti negli anni trafelati delle rivoluzioni culturali (e tecnologiche). «La mia diffidenza verso la moda si estende anche al linguaggio quotidiano – dichiara Truffaut – per esempio, non riesco a decidermi a usare l’espressione “a livello di” che gira da un capo all’altro dei “Cahiers”. È sempre l’“Express” a lanciare simili orrori, e nel mondo del cinema è Marcorelles… Sei anni fa l’espressione in voga era “sul piano umano” e dieci anni fa “valido o non valido”. A sinistra, si è completata: “valido… in sé”. Quando ho una difficoltà letteraria, un paragone da stabilire, una citazione da fare, mi rivolgo a Grimm, Perrault, La Fontaine»
La lunga militanza nella critica prima e la carriera da cineasta poi, con una filmografia che mai si è cristallizzata in “maniera”, che sempre ha cercato nuovi percorsi, nuovi sbocchi, guardando a nuove forme, senza mai tradire la propria natura autoriale e “teorica”: quello di Truffaut è un lascito artistico ancora attuale, perché pone questioni sempre aperte sull’identità di chi fa film, sulle intenzioni delle storie, sugli obiettivi (i messaggi?!) e i mezzi per raggiungerli. Il libro di Paola Malanga “ricostruisce” la persona Truffaut, il regista (certo), il critico (ovviamente), ma anche l’animatore culturale e l’uomo politico, senza tralasciare l’aspetto del privato, grazie anche alla mole di interviste e testimonianze rilasciate del regista nel corso della sua carriera – fonte preziosissima per storici del cinema e critici. È lui per esempio a spiegare, in occasione della lavorazione di Finalmente Domenica!, il suo amore per Howard Hawks, a cui guarda per «l’autorità straordinaria della messa in scena. […] Sono cose che ho guardato molto, che invidio, è una scienza, è geniale. Spero che ci siano piccoli tocchi così in Finalmente domenica!. È questo che ho cercato di fare. È un cinema che è talmente lontano da noi che è normale tentare di copiarlo. In questo momento siamo come degli apprendisti pittori in un museo, che ricopiano una tavola per impregnarsi della conoscenza che possiede l’autore».
Prende forma così, tra ricostruzioni, testimonianze, interviste e analisi storiche e critiche, un ritratto sfaccettato e completo, che fa ordine nelle parole e negli aggettivi usati per descriverlo negli anni (40 dalla sua morte, 90 dalla sua nascita). Il volume si divide in due parti, la prima dedicata alla vita del regista, la seconda prende invece in analisi tutti i suoi film, uno per uno, in ordine cronologico. Un cinema d’altri tempi? Su questo si interroga Paolo Mereghetti nell’introduzione del libro (si interroga fintamente, s’intende): «è proprio questo il cinema di cui si dovrebbe sentire maggiormente la mancanza e il bisogno, quel cinema à l’ancienne capace di coniugare le esigenze e le ambizioni dell’autore con il rispetto e la riconoscenza per un pubblico curioso e appassionato».
Paola Malanga racconta un Truffaut insolente e tenero, capace di amori dissennati e di odi furibondi, facendolo ricostruisce un’intera epoca, quella dei Cahiers du cinéma di Bazin e della Cinémathèque di Henri Langlois, sullo sfondo della guerra d’Algeria e del Maggio ’68. La parte dedicata ai film presenta un’analisi dettagliata titolo per titolo, chiedendosi ogni volta le ragioni di successi e flop, capolavori e mezzi fallimenti. Questa doppia ricognizione (quella biografica, lavorativa e privata, e quella cinematografica, creativa e produttiva) restituisce così “l’idea del cinema di Truffaut”.
Tornare a Truffaut quindi, prima nel 1996 quando tutto sembrava già scritto, e ora, nuovamente, nell’era dello streaming, dei registi superstar, del cinema post global. Scrive l’autrice: «La riedizione di questo libro, uscito per la prima volta nel 1996, è rivolta non solo a chi sente la mancanza di Truffaut, ma anche e soprattutto a chi non lo conosce. Nella speranza che i giovani di oggi e di domani possano trovare in lui un compagno segreto per portare alla luce e far avverare anche i sogni che sembrano impossibili. O almeno provarci».