Fino all’8 maggio il MA*GA di Gallarate ospita Melancholia, personale di Chiara Dynys curata da Alessandro Castiglioni. Con questa mostra si è scelto di guardare al lavoro dell’artista mantovana – già variamente studiato ed esposto sia in Italia che all’estero – attraverso una chiave di lettura inedita, ovvero quella del cinema.
Dal dialogo tra Dynys e Castiglioni è infatti emerso come la settima arte, a livello quasi inconscio, abbia sempre svolto un ruolo di rilievo nel plasmare la poetica dell’artista.
L’amore per il cinema – afferma Chiara Dynys – nutrito e incoraggiato da mia madre, a cui dedico questo progetto, mi accompagna da quando ero bambina. Le suggestioni che ne sono scaturite hanno contribuito a dare al mio lavoro un taglio ben definito attraverso un uso trasgressivo e ‘cinematografico’ dei materiali, che, trasfigurati, esprimono uno straniamento che nel tempo si è trasformato nella rappresentazione di un non luogo”.
In particolare, tematiche quali lo straniamento e lo spaesamento sono centrali nell’esposizione allestita al MA*GA. Lo testimonia il titolo stesso della mostra, Melancholia: esso richiama quello dell’omonimo film del regista danese Lars Von Trier (2011) – che valse alla protagonista Kirsten Dunst il premio per la miglior interpretazione femminile alla 64° edizione del Festival di Cannes –, caratterizzato da un profondo senso di inquietudine per via della catastrofe planetaria che minaccia la Terra.
Melancholia
L’installazione Merry Liseberg Parade (2021), composta da una serie di opere fotografiche che costituiscono il nucleo centrale dell’esposizione, si contraddistingue per il disorientamento che produce nello spettatore a causa del contrasto tra gli scatti realizzati in un parco divertimenti nei pressi di Göteborg, in Svezia, e le rispettive cornici in metacrilato arricchite di sgargianti luci led. Le fotografie catturano un luogo che, nato per lo svago, diventa nei mesi invernali, per le temperature troppo basse, temporaneamente abbandonato. Ciò nonostante, le giostre chiuse non sono prive di decorazioni natalizie, e, paradossalmente, gli unici visitatori del parco sono alcune famiglie di rifugiati che ne fanno il loro luogo di aggregazione.
Viaggio in Italia
Un’altra forma in cui Dynys declina il tema del disorientamento è quella del labirinto – e più precisamente della caverna – che dal 1989 è protagonista di una serie di sue opere che richiamano l’Antro della Sibilla di virgiliana memoria. In tal senso, l’opera in mostra Aurora – Antro della Sibilla (2020) rimanda al film di Roberto Rossellini Viaggio in Italia (1954), in cui una coppia di inglesi in viaggio a Napoli, impersonata da Ingrid Bergmran e George Sanders, visita tale antro situato oggi a Pozzuoli. Colpisce di questa pellicola, in relazione all’opera di Dynys – strutturata come la soglia di un’enigmatica galleria che si moltiplica all’infinito –, la scena in cui Katherine Joyce (Bergman) in visita a Pompei, alla vista di un corpo pietrificato dalla lava, è colpita da un senso di profondo sgomento e dalla perdita di ogni certezza.
Tra i registi che Chiara Dynys considera tangenti alla propria opera, c’è sicuramente Jane Campion, unica donna a essere nominata per due volte come miglior regista agli Oscar con Lezioni di Piano (1994) e con Il potere del cane (2022), quest’ultimo attualmente in corsa per la statuetta dorata in ben dodici divese categorie.
Holy Smoke!
Della regista neozelandese il curatore Castiglioni ricorda, in particolare, il film Holy Smoke! (1999), in cui, come egli stesso afferma, “il rapporto tra vedere e credere” è centrale nella narrazione. A esso, in mostra, si riallaccia per i misteriosi effetti formali, Look Afar (2016), progetto video realizzato da Dynys per la Settima Biennale d’Arte Contemporanea di Mosca e dedicato all’aurora boreale, in cui, come scrisse Giorgio Verzotti, allora curatore dell’esposizione “… il pubblico fa esperienza dell’energia di questo fenomeno naturale attraverso la potenza delle immagini riprese dall’artista”.
Prova d’orchestra
Difficile che potesse mancare – tra opere che, giocando sui contrasti, sono in grado di generare nello spettatore inquietudine mista a bellezza – un richiamo all’opera di Federico Fellini. L’installazione Kaleidos (2020) può infatti essere avvicinata a Prova d’orchestra (1978), in cui il maestro riminese mette in scena il conflitto tra direttore d’orchestra e musicisti, e tra i musicisti stessi, raccontando implicitamente un’Italia in pieno conflitto sociale. L’opera – composta da specchi caleidoscopici disposti da Dynys in modo da formare la costellazione delle Pleiadi e da riflettere l’immagine frammentata dell’osservatore – esprime la stessa capacità di scomporre e ricomporre la realtà, creando suggestioni e inganni, manifestata nella pellicola di Fellini.
Dynys commenta infine la mostra citando un’altra pietra miliare del cinema, Rocky, film che Sylvester Stallone fu in grado di vendere ai produttori con una sola frase: “Un pugile fallito diventa campione del mondo”. Al contrario del cinema, che da un’idea minima riesce a costruire una narrazione estesa, l’arte, secondo Dynys, riassume, nello spazio di uno sguardo, una lunga storia.
L’esposizione è accompagnata dalla monografia edita da Skira e intitolata Chiara Dynys and the Filmic Imaginary.
Chiara Dynys, Melancholia, Museo MA*GA