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Profondo Argento. In mostra a Torino i film del Maestro del brivido

Ritratto di Dario Argento. Immagine da Archivio Bellomo

Per Dario Argento Il riconoscimento di un posto tra i grandissimi del cinema italiano, fino a non molto tempo fa, non era cosa affatto scontata. Un discorso a parte va fatto per la critica estera, che, al contrario, ha sempre individuato nella figura del regista romano un punto cardine della cinematografia italiana, e non solo.

Basti pensare a una dichiarazione rilasciata dall’acclamato regista danese Nicolas Winding Refn nel 2016, in occasione della 73a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia:

Argento è un maestro assoluto del cinema italiano, senza dubbio alcuno. Uno dei più influenti registi di tutti i tempi, dovreste esserne fieri”.

A consacrarlo definitivamente nel nostro paese, anche se con un certo ritardo, è la mostra “Dario Argento – The Exhibit” – a cura di Domenico De Gaetano e Marcello Garofalo -, ora in corso a Torino alla Mole Antonelliana, sede del Museo Nazionale del Cinema (fino al 16 gennaio 2023).

Chi è Dario Argento?

Se dovessi dire chi sia Dario Argento, sinceramente, non saprei rispondere. Non lo conosco poi tanto bene”.

Con queste parole il regista romano ha presentato il 5 aprile scorso la mostra a lui dedicata, progettata per celebrare il suo ottantesimo compleanno, che cadeva nel 2020, e poi ritardata di due anni causa Covid-19. In esposizione, fotogrammi, costumi, oggetti di scena e spezzoni dei suoi film. A partire dalla pellicola di esordio, L’uccello dalle piume di cristallo (1970), fino a Occhiali Neri (2022), presentata nella sezione Special Gala all’ultima edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino.

La mostra

Qualche esempio della genialità visionaria e surreale di Argento documentata in mostra? Da Profondo Rosso (1975) – che, in parte girato in location torinesi come Piazza C.L.N. e Villa Scott, rappresenta il punto di svolta nella carriera di Argento – la mostra prende in prestito la testa del terrificante pupazzo meccanico realizzato da Carlo Rambaldi, il quale pochi anni dopo avrebbe vinto l’Academy Award for Best Visual Effects per Alien (1979) prima e per E.T. l’extraterrestre (1982) poi. Dal film, di cui è protagonista David Hemmings nei panni del pianista Marc Daly, è tratto anche lo specchio in cui si riflette l’immagine del killer, mimetizzata tra i volti di un dipinto ispirato allo stile del pittore Enrico Colombotto Rosso: in mostra i visitatori, accostandosi a una ricostruzione digitale del quadro, realizzata da Gianluca Garofalo a partire dai fotogrammi del film, possono immedesimarsi nel personaggio dell’assassina, interpretata da Clara Calamai.

Pupazzo meccanico di Profondo Rosso. Reperto originale dalla collezione cinematografica privata delle famiglia Rambaldi

Memorabile nel film Suspiria (1977), interpretato da Jessica Harper, la fotografia di Luciano Tovoli, fatta di colori primari, fortemente saturi e contrastati, in grado di donare alla vicenda un carattere allucinato. Per filtrare le luci poste sul set Tovoli si servì di velluti che, a detta del fotografo stesso,

fratturavano la luce, scomponendola in mille rivoli e colorandola quasi in senso tridimensionale, annientando così la banale e ripetitiva trasparenza delle abituali gelatine cinematografiche”.

Per quanto riguarda i costumi di scena presenti in mostra, tra gli altri, ricordiamo quello indossato proprio in Suspiria dall’austera direttrice dell’Accademia di danza di Friburgo, interpretata da Alida Valli. A fianco dei veri e propri abiti utilizzati nei film sono esposti anche alcuni bozzetti dei completi realizzati da Emporio Armani per il personaggio interpretato da Jennifer Connelly in Phenomena (1985). Tra i vari manifesti, di particolare suggestione i bozzetti disegnati da Renato Casaro,  cartellonista cinematografico trevigiano di fama internazionale, per Tenebre (1982) e Opera (1987).

Jessica Harper e Stefania Casini in Suspiria (1977). Foto di Franco Bellomo

Naturalmente, uno spazio è dedicato alle musiche iconiche dei film di Argento, in particolare a quelle realizzate dai Goblin, in primis per Profondo Rosso, le cui note disturbanti risuonano lungo il percorso espositivo. Roberta Pugliese, autrice di un saggio critico presente nel catalogo della mostra (pubblicato da Silvana Editoriale), definisce le colonne sonore dei film del Maestro – a cui hanno collaborato anche compositori come Ennio Morricone, Giorgio Gaslini e Pino Donaggio – come

un lungo, articolato e suggestivo poema sonoro a più mani attraverso il quale Argento è riuscito nella sua impresa più difficile. Riuscire, attraverso i suoni, a visualizzare l’inimmaginabile e a comunicare l’indicibile”.

Bozzetto originale del manifesto del film Opera. Realizzato da Renato Casaro

I maestri

E pensare che nel 1969 Goffredo Lombardo, produttore di L’uccello dalle piume di cristallo con la Titanus, poche settimane dopo l’inizio delle riprese era stato sul punto di sostituire Argento con un regista più esperto. Ma quali furono i modelli per il giovane Argento? Sergio Leone, Michelangelo Antonioni, Mario Bava. Di Hitchcock il regista precisa di non sentirsi erede, ma non nasconde la sua ammirazione per la messa in scena di Psyco (1960), nonostante la sceneggiatura, firmata da Joseph Stefano, a suo avviso piuttosto banale. Se però il Maestro inglese confidava a François Truffaut che per fare un buon thriller bisogna filmare le scene d’amore come quelle d’omicidio, e viceversa, bisogna riconoscere che l’aspetto erotico è sicuramente centrale anche nelle pellicole del regista italiano, mischiato a una cruda violenza che non è però mai fine a sé stessa. Come capita invece nei sanguinari film di Quentin Tarantino, che alla scuola di Argento si è formato. Piera Detassis, presidente dell’Accademia del Cinema Italiano, nel suo saggio in catalogo a proposito del Maestro romano scrive infatti:

Non gli interessa l’aspetto sanguinario, ma la coreografia, la mise-en-scène, il rifiuto della trama a favore dell’inquadratura che colpisce, della macchina da presa che inventa sguardi e percorsi impossibili”.

Dario Argento sul set di Suspiria (1977). Foto di Franco Bellomo

In mostra appare dunque l’intero universo che Dario Argento ha saputo costruire nel corso della sua carriera, fatta di film che ancora oggi ci fanno rabbrividire più di molti horror, coprire gli occhi più di molti splatter e rimanere col fiato sospeso più di molti thriller che sono venuti dopo, magari girati con più budget e accolti da una critica meno esigente. Un universo che non ha e che non vuole avere nulla a che fare con la grigia realtà. Lui stesso afferma:

Nel corso della mia carriera ho imparato che se riesci a costruire un universo coerente, per quanto folle esso sia, hai già ottenuto la sospensione d’incredulità necessaria a raccontare quello che vuoi”.

Potremmo dire che Argento ha voluto raccontare nei suoi film le nostre paure, attingendole dall’immaginario collettivo e mettendole in scena davanti ai nostri occhi. Chiediamo infine al Maestro cosa sia per lui la paura. Argento sospira:

La paura è salvezza, senza moriremmo tutti”.

https://www.museocinema.it/it/mostre/dario-argento-exhibit

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