Fino al 28 maggio è in corso a Milano, presso la galleria L.U.P.O. diretta da Massimiliano Lorenzelli, la mostra (((8))) dell’artista multimediale Edoardo Caimi. Classe 1989, Caimi, attivo tra Milano e Lodi, da anni presente nel panorama dell’arte contemporanea, negli ultimi anni ha esposto le sue opere in occasione di varie mostre, collettive e personali, sia in Italia che all’estero.
Fin dagli esordi, la sua pratica artistica si è incentrata sulla figura del sopravvissuto: combinando materiali ricavati dalla natura – sul pavimento degli spazi di Corso Buenos Aires sono disseminati alcuni mandarini carbonizzati che, in alcuni casi, diventano anche parte integrante di installazioni presentate in mostra – con oggetti creati dall’uomo – tra gli altri, quattro forconi abbandonati che, come un ready-made, vengono composti insieme per costruire figure totemiche –, Caimi realizza opere post-apocalittiche che sembrano appartenere a una realtà da day after.
Sembrano provenire da un futuro distopico, per esempio, Visione 1 (luce alta) e Visione 1 (eclissi) (2021), realizzate con argilla, che, applicata su legno carbonizzato e colorata con pittura spray, crea una sorta di visione aerea di una palude inaridita. Cambiamento climatico o distruzione planetaria? Questi paesaggi spogli e desolati, incrostati di scorie e incorniciati da lembi di pelle sintetica, si pongono come scenario che reca le tracce di presenze umane oggi scomparse.
I superstiti e la natura
Le poche figure che abitano questo panorama desolato, simili a sacerdoti, o forse a rabdomanti in cerca d’acqua, in realtà non sono nient’altro che macchine: Drone divinorum (2022) ne mette in scena tre, fatte di ferro e vestite con sacchi di juta. La loro natura oltre che materica è sonora: alcuni subwoofer, posti a completamento delle sculture, sintetizzano i rumori di “fenomeni” ormai estinti nella sua visione del reale, ovvero la pioggia, il vento, le campane. Il diffondersi di questi suoni nello spazio, secondo onde acustiche che si rincorrono all’infinito, rimanda al titolo stesso della mostra milanese, (((8))).
La natura, in cui Caimi è cresciuto, occupa la restante parte della mostra, seppur declinata secondo gli stilemi post-apocalittici tipici dell’artista: fiori di cemento – Fiore (2022) – sono accostati ad alberi – Arbor (2021) – e ad insetti – Ragno (2021) – composti con mandarini carbonizzati. Incubo a occhi aperti, o destino inevitabile? Lo spettro che abita le opere di Caimi, non si esprime se non con la voce del vento e della pioggia che proviene dai subwoofer, forse per ricordarci che senza di queste non c’è futuro possibile, come racconta No future (2019).