Una selezione di artisti britannici raccontano l’evoluzione del linguaggio artistico nel Regno Unito dagli anni ’80 in poi. A Palazzo Cipolla di Roma fino al 17 luglio.
Era il 14 dicembre 1979 quando i Clash pubblicarono London calling, un album oggi considerato una pietra miliare della musica rock. Da questo prende il titolo la mostra in corso a Palazzo Cipolla dedicata all’arte britannica. Ed è infatti Londra, città in costante fermento creativo, il filo rosso che lega gli artisti più ispirati della Young British Artists di diverse generazioni nati nell’arco di un quarantennio, le cui carriere si sono formate nella capitale e hanno contribuito a porre la città, a partire dagli anni ’60, nell’Olimpo delle avanguardie artistiche.
Incentrate sulla produzione artistica più recente, le opere selezionate rappresentano le pratiche attuali dei vari protagonisti. Si tratta di David Hockney, Michael Craig-Martin, Sean Scully, Tony Cragg, Anish Kapoor, Julian Opie, Grayson Perry, Yinka Shonibare, Jake e Dinos Chapman, Damien Hirst, Mat Collishaw, Annie Morris, Idris Khan, tutti nati tra il 1937 e il 1978. Mostra molto varia anche per via delle tecniche compositive assai diverse tra loro, spazia dalla pittura alla scultura, al tessuto (c’è anche una borsetta da donna in edizione limitata e un vaso tradizionale cinese, entrambi di Grayson Perry), disegno, ceramica, fotografia, video. Eterogeneità che riflette un’altrettanta varietà di temi che vanno dalla vita quotidiana alla guerra, la violenza, la pandemia, sfiorano la politica, la religione, la storia dell’arte, la letteratura suscitando confronti e suggestioni, letture, sguardi incrociati.
Apre il percorso espositivo l’indo-britannico Anish Kapoor (1954) con tre eleganti e raffinate sculture, una in alabastro e due giganteschi dischi rossi, tra cui la molto ammirata Magenta Apple Mix 2 (2018), doppio disco concavo in cui lo spettatore è invitato a riflettersi. Segue David Hockney (1937), presente con cinque opere, tutti multipli recenti, tra 2008 e 2021 realizzati con i-pad e i-phone e poi stampati per esaltarne il tratto e le tinte.
Tra le opere più ammirate e scenografiche uno dei celebri zootropi di Mat Collishaw, versione contemporanea rivista e corretta dei meccanismi ottico-cinetici in voga in epoca vittoriana. Illusione e desiderio, vanitas, morte, seduzione, repulsione sono i temi fondanti della sua poliedrica creatività, tematiche riassunte nel candido lampadario in mostra azionato da vortici e giochi di luce mentre 180 minuscole figure in movimento animano un’orgia da girone infernale (Seria Ludo, 2014). Questa illusione ottica cinetica ruota a velocità crescente prima che le luci stroboscopiche entrino in funzione e animino la scena, rivelando un caos frenetico, dissoluto e disperato.
Collishaw è anche il proprietario dell’opera successiva, Glen Matlock (1996-97) di Damien Hirst, un armadio di farmacia colmo di medicinali che porta il nome del bassista dei Sex Pistols. Tutta l’opera di Hirst sembra del resto attraversata dalla pulsione di morte o dalla preoccupazione molto contemporanea delle pratiche mediche come sostituto del culto e della religione. Suoi i grandi dipinti “farmaceutici“, gli Spot painting, cerchi di colore perfetti che alludono alle pillole di cui, in una vana aspirazione all’immortalità, oggi siamo tutti dipendenti e che fanno parte di un’altra famosa serie: gli Spin painting, tele circolari risultato della bellezza imprevedibile dell’atto creatore.
Seguono le opere di Julian Opie, Grayson Perry, Yinka Shonibare, artista quest’ultimo di origine nigeriana (si definisce un ibrido post-coloniale). Spazia dalla scultura alla fotografia, pittura, installazioni, video, ama le associazioni improbabili, si interroga sul significato delle definizioni culturali e nazionali nel contesto attuale della mondializzazione.
Spazio quindi a Jake & Dinos Chapman, i fratelli terribili della British Art, con la scultura modellata in bronzo su un giubbotto esplosivo usato dai terroristi e la serie in cui rileggono le incisioni di Goya sui Disastri della guerra. Si termina con i più giovani, entrambi del 1978, Annie Morris (suo un arazzo che esplora i temi della femminilità e del dolore) e Idris Khan.