Gli spazi di Marignana Arte, a Venezia, ospitano la personale dell’artista Maurizio Donzelli fino al 23 luglio. La mostra “L’insieme vuoto” è curata da Gabriele Salvaterra e presenta tre serie di lavori, quelle dei Mirrors, degli arazzi e dei Reds, che variano per tecnica e supporto.
“Più passano gli anni e meno tendo a concettualizzare in maniera programmatica quello che faccio, scivolando dentro alle cose”, spiega Donzelli. Per indagare il non risaputo, ciò che di sé non si conosce, è necessario lasciarsi andare. Così, l’artista riesce a ritrovare un collegamento tra tutte le cose, una direzione precisa da seguire che lo porta a creare opere che racchiudono presente, passato e futuro, tutto e niente.
La pratica di Donzelli viene al mondo figlia di due slanci opposti e complementari. Il primo è definito dallo stesso “esperienza del saper fare”, e spinge l’artista a sfruttare le capacità acquisite negli anni. Donzelli conosce gli effetti delle materie sui supporti, conosce la sua manualità e, in una certa misura, anche il risultato finale.
Tuttavia, se si lasciasse guidare esclusivamente dalla ratio, il fare arte di Maurizio Donzelli non porterebbe l’osservatore a muoversi, a indagare le opere, ad “attivarle” accendendone la miccia che alimenta il loro potere espressivo.
La creazione artistica di Donzelli rinasce costantemente attraverso il secondo slancio: lo “scivolare” spontaneo, il lasciarsi andare impulsivo. Questa continua sperimentazione lo porta a essere “sempre lanciato in avanti”. Attraverso i suoi lavori, l’artista compie un’indagine interiore e invita il fruitore a fare lo stesso. Il risaputo e il non risaputo sono le due chiavi di lettura che vanno di pari passo nella pratica di Donzelli.
Ogni persona è un contenitore di mondi
Maurizio Donzelli
Ciascuno di noi possiede infiniti luoghi dentro sé, accessibili solo attraverso uno scavo parzialmente scientifico, che dia peso sia alla ragione che al sentimento. “Le arti visive non si affidano alla razionalità ed è questo che le tiene sempre in vita”, chiarisce Donzelli.
L’opera Aleph III apre la mostra. Memore dell’omonimo testo di Jorge Luis Borges, questa scultura-Mirror racchiude un pensiero che è filo conduttore nel lavoro di Donzelli: in un oggetto è racchiuso un vasto mondo parallelo, che è pieno ed è vuoto, allo stesso tempo visibile e invisibile. Borges scrive che l’Aleph è il “luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli”.
Come spiega il curatore Salvaterra, il titolo dell’esposizione si rifà al pensiero del filosofo e critico d’arte Federico Ferrari: “l’insieme vuoto rinvia a un concetto paradossale. Si tratta, infatti, di un insieme che non ha elementi ed è quindi composto di nulla, ma che, in quanto insieme, è qualcosa”. Aleph III è quindi l’opera-statement non solo dell’intera mostra ma anche del pensiero dell’artista. Il curatore spiega che l’artista si muove in “uno spazio di possibilità per certi versi assente che riesca a evocare una pienezza esperienziale”.
Nella stessa sala, alcune opere della serie Mirrors che, come Aleph III, si rifanno al principio della lente prismatica e del prisma ottico. La sovrapposizione di petali in tessuto e carta viene sdoppiata: l’osservatore, muovendosi, fa muovere l’opera. Per Donzelli questo procedimento “in qualche modo è la metafora dell’arte: non c’è un’obiettività in quello che sto guardando ma tutto sprofonda nel nostro punto di osservazione”. Quello che il fruitore percepisce è un senso di confusione e spaesamento, dato da soluzioni ottiche che lo portano a non capire cosa stia guardando.
La funzione immaginativa dell’osservatore è fondamentale. “L’esperienza del guardare fa comporre dentro al visitatore un’immagine che si costruisce anche in base ai ricordi che si hanno”. Nell’arte di Donzelli non esiste un punto fermo, così come il mondo di forme indefinite, le quali contengono tutto dentro di loro, è in costante cambiamento.
Nella seconda sala, la selezione di arazzi prende origine dalla mostra personale di Palazzo Fortuny a Venezia del 2012, la prima in cui l’artista presenta tali opere realizzate nelle Fiandre. Donzelli rielabora dettagli e particolari di arazzi tardo medioevali e rinascimentali attraverso delle fotografie da lui scattate in vari musei, italiani ed esteri. Queste ultime vengono “ricucite” digitalmente attraverso continue specchiature palindrome.
Frammenti di tessuti antichi vengono assemblati per dare vita a nuovi “tappeti da parete” di cui Donzelli è il disegnatore. All’interno dell’allestimento, salta all’occhio il posizionamento delle opere, che non sono appese al muro ma pendono dall’alto, permettendo di vederne anche il dorso. L’arazzo perde quindi la sua funzione di mera decorazione, facendosi opera d’arte innovativa per quanto misteriosa. Rintracciarne le fonti è impossibile e il visitatore è libero nel suo processo di percezione e interpretazione.
La serie inedita dei Reds occupa la terza sala, creando un’atmosfera immersiva. “I Reds sono segni che hanno forti analogie con il mondo naturale ma anche con il corpo umano. La composizione, il colore, l’emozione delle tavole spinge a osservare, ad avere un’idea immaginativa di fronte alle opere”. La gestualità dell’artista compone paesaggi ondulati, di primo acchito astratti ma fortemente aderenti alla realtà.
Il concetto di analogo – dal latino anàlogos, che ha relazione, somiglianza con un’altra cosa – è una delle colonne portanti del lavoro di Donzelli. Spiega l’artista: “tutto quello che è ‘simile a’ ci spinge a identificarci con l’immaginazione. I miei lavori alludono sempre al mondo, ma si fermano all’analogo, ti lasciano guardare l’oggetto e comporlo nel tuo ricordo. Ogni persona percepisce in maniera diversa. Persino la stessa persona in diversi momenti della sua vita può interpretare la stessa immagine in modo diverso. Siamo sempre in una dimensione di movimento”.