Prevedibilità e banalità segnano il murale sostenibile più lungo d’Italia, realizzato a Valmontone da Francesco Persichella, alias Piskv
Negli ultimi decenni lo spettro di ciò che il mondo annette al concetto di “arte contemporanea” si è decisamente ampliato. È accaduto negli anni ottanta con il deflagrare di fenomeni come Graffitismo e Street Art. Ha subito una forte accelerata più recentemente con lo svilupparsi della creatività digitale, e ai giorni nostri con l’universo NFT. Parallelamente, è ovvio, il mondo dell’arte ha accolto altrettanti creativi impegnati in queste pratiche. E tutto questo è sicuramente un bene: immette nuove energie, nuove prospettive in un ambiente che spesso tende troppo all’autoreferenzialità. Ma c’è un assunto che deve restare e resta insormontabile: la prevedibilità e la banalità sono l’assoluta negazione dell’arte.
Ora: che ci siano creativi che scelgono di intercettare temi caldi dell’attualità come l’ambientalismo – lo fece anche un certo Beuys, in altri anni – rientra nelle scelte personali. Ma che lo facciano utilizzando i più scontati slogan del politicamente corretto diventa un po’ irritante. Veniamo al dunque: giunge notizia che su un muro di cinta del Valmontone Outlet – area romana – sorgerà il murale sostenibile più lungo d’Italia. Che, “grazie alle particolari pitture naturali utilizzate, permette di ripulire l’aria come farebbe un bosco di 18 alberi”. Fin qui tutto bene, anzi benissimo.
110 metri di lunghezza e una superficie complessiva di 450mq, realizzato da Francesco Persichella, alias Piskv. Il problema arriva quando si legge il titolo: “We need a change”, vogliamo un cambiamento. Nemmeno Greta agli esordi avrebbe pensato a qualcosa di così insipido, grigio, debole. Un boomerang: perché molti chiederanno un cambiamento, sì, ma proprio rispetto a questa superficialità davanti a tematiche tanto pressanti…