Nata nel 1994 ad Antibes (Francia) nella villa-studio di Hans Hartung e Anna-Eva Bergman, la Fondazione Hartung-Bergman apre a maggio 2022 dopo due anni di lavori. Grazie alla ristrutturazione, il pubblico può finalmente visitare questo straordinario complesso architettonico del 20° secolo.
I fulmini mi hanno dato il senso della rapidità del tratto…il desiderio di catturare l’istantaneo con la matita o il pennello.
Hans Hartung
La luce e il buio, il gesto libero, potente. Il controllo razionale del segno, le rapide, folgoranti traiettorie luminose nel blu intenso dell’universo. Ma in principio fu il fulmine. All’inizio della sua Autobiografia apparsa quando aveva più di 70 anni Hans Hartung (Leipniz 1904- Antibes 1989) narra un episodio di quando bambino di appena 6 anni cerca di reagire a suo modo alla paura dei temporali: spalanca coraggiosamente la finestra della sua camera e disegna i lampi che squarciano il cielo con inusitata violenza, ne riempie un quaderno, comprimendo in un segno le tensioni elettriche, le forze, il mistero, la luce che illumina improvvisamente le tenebre. Quei tratti nervosi disegnati a zig-zag – che accompagneranno poi tutto il suo percorso – diventano terapia, gesto, colore. Da allora – per quanto leggendaria possa sembrare tale ricostruzione della precocità della sua vocazione – l’astronomia, il cosmo, l’immensità del cielo sono stati il tema centrale della sua ricerca artistica.
Da studente, a Dresda, ebbe modo di frequentare una delle più complete pinacoteche del mondo. Fu l’incontro con Rembrandt, in particolare, a spingerlo sulla via della pittura dopo aver visto a Braunschweig il Ritratto di famiglia del pittore olandese. Sorpreso dalla guerra, Hartung fugge a Parigi dove frequenta l’Accademia di André Lhote, il Louvre, gli artisti e le gallerie in voga, poi Monaco e gli assolati paesaggi del sud dell’Italia. Nel 1929 incontra l’artista norvegese Anna-Eva Bergman (Stoccolma 1909- Antibes 1987), che sposa pochi mesi dopo.
Minorca, il ritorno a Berlino, la Legione straniera come volontario, le ferite, l’amputazione della gamba destra. Nel 1946 l’artista viene naturalizzato francese e decorato della Croce di guerra e della Legion d’Onore. Dopo sei anni di interruzione, riprende a dipingere con un segno concitatamente gestuale, spostandosi man mano in direzione dell’Arte informale. Poi i riconoscimenti, la fama, nel 1960 la partecipazione alla Biennale di Venezia, dove ottiene il Gran Premio di Pittura, a Kassel per Documenta, le retrouvailles con Anna-Eve e il loro secondo matrimonio. Di nuovo Parigi e poi l’approdo definitivo, nella luce abbagliante del Midi della Francia.
Negli anni ’60, sulle alture di Antibes, negli stessi posti dove Picasso aveva ritrovato dopo la guerra la “joie de vivre” accanto a Francoise Gilot ed al figlioletto Claude, i due artisti – lui ormai reputato pioniere dell’astrazione informale e gestuale, lei disegnatrice di talento – cercano un luogo dove costruire la loro casa-utopia e lo trovano in un parco di olivi, Le Champ des Oliviers. Qui il pittore vuole costruire un mondo coerente con la sua opera di artista, la sua isola di pace e di meditazione. Tuffati fra il verde di giganteschi pini e il grigio argento degli olivi centenari, Hartung progettò candidi, essenziali edifici di forma cubista, volumi plastici in armonia con un paesaggio di pura bellezza formale, dove lo stile mediterraneo si fondeva con echi della domus romana. Un insieme di edifici votati alla vita domestica e alla sperimentazione artistica dove riporre opere, oggetti, ricordi personali. Monumento ad hoc eretto alla creatività, è divenuto un prezioso teatro per le attività della Fondazione che Hartung aveva già in mente dal primo momento, scrigno di tesori che oggi include un inestimabile patrimonio di arredi, dipinti, ceramiche, sculture, diari.
Dopo la biglietteria, scendendo per un breve vialetto, si incontra l’atelier di Anna-Eva Bergman. Abbagliati dagli ori e dagli argenti delle grandi tele dove si dispiega una misteriosa cosmogonia panteistica, i suoi dipinti evocano i paesaggi nordici della sua infanzia. Tra questi il grande Oceano n.67 del 1966, la Grande Vallé (olio e foglio di metallo su tela del 1960), Moise ou Grande arbre del ’57, La grande montagne n 4, ’57. In una piccola stanza sono esposti i taccuini, le molteplici curiosità di una donna vivamente interessata alle culture altre, i ricordi di viaggi, la fame di mondo della talentuosa artista norvegese prima del suo definitivo approdo ad Antibes.
L’edificio contiguo ci porta nel cuore dell’esistenza e della pittura di Hans Hartung. Dalle prime opere tra il figurativo e l’astratto, alle marcate influenze cubiste del 1922, fino agli anni di Antibes quando il ritmo della sua creatività si intensifica. Quadri dove le linee grafiche e i colori provocano una sorta di vertigine, traiettorie luminose, esplosioni e frammenti di aerei, eco degli anni di guerra. Dopo il ’60 il cielo diviene una notte pura, luminosa di stelle come quelle che contempla attraverso la grande vetrata del suo atelier di Antibes, inondato dalla luce e dalla natura mediterranea. Qui amava dipingere, soprattutto di notte, nel silenzio più assoluto, quando meglio poteva captare l’energia segreta dell’universo, il respiro della volta celeste. Quasi sempre accompagnato dalla musica barocca di Bach, il suo compositore preferito in virtù della dimensione metafisica della sua musica.
L’emozione si percepisce con intensità nel grande atelier, dove sono allineati i cavalletti, la sedia a rotelle, i pennelli e gli strumenti più disparati che usava per grattare le tele, rulli, spazzole di ferro, scope di rami di ginestra, perfino rastrelli. Sembra quasi di avvertire la presenza tangibile dell’artista mentre dipinge l’ultima opera T 1987-H3 1987, immenso olio su tela di 3 metri per 5 dove la materia sembra dissolversi in piccoli segni aerei che si muovono al loro interno alla ricerca di nuovi ritmi, a perseguire un desiderio di armonia che mai lo abbandona, neppure negli anni dell’immobilità, quando anziano e malato è costretto a dipingere usando vaporizzatori e compressori; per una pittura che diviene sempre più la trasposizione sulla tela dei suoi stati d’animo, delle sue emozioni.
Singolare universo pittorico il suo, dinamico, vitale processo alchemico di forza e istinti in dialettica costante tra romanticismo tedesco e razionalismo francese, con il proposito di fondo di riuscire a dare una forma visibile e osservabile alle sue fantasie, ai contenuti interiori. Accompagnati in sottofondo dalla suite per orchestra n3 in D major BWV 1068 e la suite per violoncello solo (BWV 1007) di Bach, si giunge attraverso un breve corridoio al luogo più intimo e sacro dove sono conservate le urne vuote (le ceneri dei coniugi sono state disperse nel mare di Antibes), gli oggetti e i ricordi più cari. Hartung ha fermamente creduto nell’arte come mezzo per vincere la morte.
Un segno su una roccia, un tratto inciso e il nostro spirito risale alla preistoria: qui, un uomo ha vissuto. Questo stesso sentimento di vincere la morte, lo si ritrova nelle piramidi che difendevano i loro re dalla sparizione totale e che oggi ancora ci provano la loro passata esistenza. Le opere d’arte testimoniano dell’umanità. Questi messaggi, questi pensieri, queste religioni e filosofie, queste arti del vivere ch’esse ci trasmettono, ci ancorano nella nostra specificità umana, la fissano, l’approfondiscono, la trasfigurano. Questi messaggi sono universali, hanno il potere di attraversare il tempo senza subirne l’usura, sono sfide al niente. Una parola alla quale non voglio né posso credere. Felicemente nulla mi prova che la morte sia la fine della coscienza del nocciolo umano. Posso immaginarmi, e la speranza mi spinge, che la spiritualità dell’uomo una volta diffusa nel mondo persiste e irraggia per sempre.
Nata per conservare, trattare, diffondere un patrimonio composto da architettura, opere ed archivi, la Fondazione Hartung-Bergman diretta da Thomas Schlesser, ospita circa sedicimila fra tele e disegni rappresentativi di tutti i periodi creativi dei due artisti e conserva anche tutto il lavoro di Hans Hartung fotografo, un’attività che fa da contrappunto alla sua immensa opera. Qui si possono ammirare gli” Hartung di Hartung“ grazie al paziente e impressionante lavoro di catalogazione e di archivio fatto in vita dallo stesso artista. La Fondazione è anche un laboratorio dove si fa ricerca, vengono organizzati seminari, residenze di artisti, mostre temporanee.