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Screens: la videoarte in mostra al MA*GA di Gallarate. Intervista al curatore Alessandro Castiglioni

VEGA
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Dal 5 giugno al 25 settembre 2022, il MA*GA di Gallarate (VA) presenta Screens. Culture dello schermo e immagini in movimento, la XXVI edizione del Premio Gallarate che, per la prima volta nella sua storia, indaga le relazioni tra produzione artistica contemporanea in Italia e l’ambito legato al video.

Il riconoscimento è stato assegnato a Rossella Biscotti, Adelita Husni-Bey, Chiara Fumai, Mario Rizzi, Invernomuto, Silvia Rosi, Vega, Natalia Trejbalova e Vashish Soobah, le cui opere vanno ad ampliare le collezioni del Museo MA*GA. Il concept del premio è stato elaborato da Simone Frangi e Cristiana Perrella, membri della commissione scientifica a cui partecipano anche Marina Bianchi, Vittoria Broggini, Alessandro Castiglioni, Emma Zanella e Luciana Zaro.

Il curatore Alessandro Castiglioni ci racconta del progetto.

Il privilegio del testo è alle spalle e l’immagine abita sempre più i nostri schermi. Significa che anche la videoarte è destinata ad avere sempre più spazio?

Il rapporto tra immagine in movimento e proliferazione degli schermi è una questione cruciale del nostro presente. Come sottolinea Simone Frangi nel saggio pubblicato in catalogo: “Nel suo testo What is Visual Culture?, introduzione al primo reader internazionale dedicato alla cultura visuale contemporanea pubblicato nel 1998, Nicholas Mirzoeff propone l’idea che la caratteristica essenziale della cultura post-moderna – ovvero di una cultura che ha abdicato al privilegio del testo e della sua circolazione stampata – sia proprio il fenomeno continuo di visualizzazione, ovvero di traduzione in immagini di entità che non sono in sé visuali.

La proliferazione di immagini – che con l’avvento della cultura digitale di massa ha raggiunto il suo apice – non è dunque l’origine della cultura visuale quanto piuttosto la sua diretta conseguenza. La visualizzazione, sostiene Mirzoeff, è diventata infatti il luogo di produzione simbolico e materiale per eccellenza delle nostre esistenze.

Con il concetto di screen culture, nel 2019 Richard Butsch tenta di aggiornare il paradigma introdotto dal Mirzoeff vent’anni prima, sostenendo che la cultura o meglio le culture dello schermo sono l’espressione più avanzata della cultura visiva contemporanea: le immagini – prioritariamente “in movimento” – veicolate dagli schermi “democratizzati” (siano essi cinema, televisioni, computer, tablet e smartphones) hanno infatti un impatto sociale, politico ed economico dirompente e non trascurabile come tutti i lens-based media nel Ventesimo e nel Ventunesimo secolo”.

Quindi, in fondo, non stiamo parlando solo di trasformazione dei linguaggi artistici ma, in modo più ampio, di trasformazione della cultura, dei media, dei riti e della quotidianità della nostra vita tecnologizzata, a cui poi, chiaramente, l’arte risponde.

Adelita Husni-Bey

Quali solo le caratteristiche della videoarte oggi? Si possono individuare dei trend?

Credo che in merito ancora le parole di Frangi siano estremamente interessanti. “Se adeguatamente contro-ritualizzato, lo schermo diventa capace di fornire uno spazio per riequilibrare un assetto visivo orientato attorno a precisi prototipi di umanità. Sono spesso le esperienze artistiche che hanno scelto di sviluppare “sottotraccia” lo strumento del video come un luogo di visione e registrazione (deformante) privilegiato, poiché in grado di mettere in atto contro-narrative o narrative alternative ad uno sviluppo mainstream e lineare della visualità. Emerge proprio in questa dinamica di riversamento delle dinamiche produttive visuali il fatto cruciale che non è l’essenza ma l’uso delle screen culture a renderle o agenti di normalizzazione o dispositivi di indagine culturale e politica”.

Ecco penso che questa capacità di sviluppare narrazioni frammentarie, alternative, antinarrative e sicuramente liminali, possa aprire nuovi scenari di produzione artistica al di fuori delle narrazioni mainstream.

Vashish Soobah

Come si inseriscono le opere acquisite nella collezione del MA*GA?

Il progetto di Screens. Culture delle Schermo e immagine in movimento – XXVI Edizione del Premio Nazionale Arti Visive Città di Gallarate nasce con un preciso obiettivo: quello di ripensare e strutturare in modo coerente una sezione dedicata all’immagine in movimento all’interno della collezione del museo MA*GA, considerata la funzione primaria ed essenziale del Premio di ampliare le opere del museo e della città di Gallarate.

In questa prospettiva credo che le acquisizioni fatte vadano da una parte ad ampliare la collezione in relazione ad autrici e autori di grande importanza per la cultura visiva italiana contemporanea, come Rossella Biscotti e Invernomuto solo per citare alcuni nomi, ancora assenti dalla collezione e dall’altra cerchi di indagare pratiche non ancora effettivamente musealizzate, da Vashish Soobah a VEGA, per esempio.

In questo modo la ricerca dedicata all’indagine sulle proprie identità, le questioni legate al rapporto tra video e archivi, il dialogo coi linguaggi cinematografici, il rapporto con storie e con culture dei luoghi, la trasformazione della tecnologia e dei pubblici diventano, non sono solo una possibile chiave di lettura per l’intera mostra Screens, ma anche uno strumento con cui immaginare nuovi percorsi attraverso le collezioni del MA*GA.

E poi devo citare, sempre all’interno del progetto, il premio alla Carriera a Mario Gorni e Zefferina Castoldi che hanno donato Caterina MegaDrops: uno speciale fondo di sessantotto documentari e interviste di approfondimento sulla scena artistica italiana, realizzati, selezionati e strutturati  appositamente per le collezioni del Museo MA*GA. Si tratta di un percorso autoriale e di un racconto della storia dell’arte italiana visto dall’interno nel suo farsi. Un archivio – opera che racconta insieme la storia e i suoi stessi autori.

Rossella Biscotti

C’è un lavoro che si può prendere a simbolo di Screens? Ce lo puoi raccontare?

Time under Siege è un’opera che Adelita Husni-Bey realizza nel 2013, in occasione della mostra White Paper: The Land presso il project space Beirut, al Cairo, durante il coprifuoco imposto dal governo egiziano nei mesi successivi al golpe militare e l’instaurazione del governo di Abdel Fattah al-Sisi.

Durante il coprifuoco dell’ottobre 2013 l’artista ha, infatti, chiesto agli abitanti del Cairo di rispondere a una call, raccontando la propria condizione individuale, di fronte a questo evento di restrizione della propria libertà di movimento, restituendo un ritratto collettivo.

Scrive in merito l’artista: “Ogni abitante è stato invitato a contribuire con un segmento video della propria esperienza del coprifuoco. L’obiettivo era la ricerca di una risposta alle seguenti domande:

Come ha ridisegnato la mobilità e l’accesso in città?

Che tipo di interazioni sociali sono promosse / cambiate / possibili / impossibili in queste condizioni?”

Adelita Husni-Bey crea così Time under Siege montando la raccolta di segmenti video ricevuti, documentando e mostrando “le ramificazioni del coprifuoco al Cairo”.  Prosegue l’artista “Si indagano così gli espedienti, le deviazioni, i modi di affrontare la situazione, i momenti di noia e di comunione che alcuni abitanti del Cairo hanno trovato per fare i conti con l’attuale legge”.

Un’opera quindi che racconta della proliferazione e mutamento delle nostre capacità narrative, attraverso l’uso degli schermi e, in una certa misura, della loro democratizzazione. Dall’altra prelude e amplifica il significato della parola “coprifuoco” che negli ultimi anni ha profondamente colpito e trasformato il nostro immaginario.

Invernomuto

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