La Galleria BPER Banca ospita per la prima volta una mostra d’arte moderna: ANTONIO LIGABUE. L’ORA SENZ’OMBRA. Il riconoscimento come artista e come persona. Protagonista il pittore svizzero, la cui figura è stata a lungo fraintesa. A Modena dal 16 settembre 2022 al 5 febbraio 2023.
L’ora senz’ombra cade su Antonio Ligabue. Quella dove il sole è al suo apice e i suoi raggi scendono dritti sul mondo, non disperdono alcuna scura proiezione ai suoi piedi. L’ombra, mutevole e ingannevole, rimanda alle cose senza rifletterle, le rende misteriose e fraintendibili. Così è stato per il pittore svizzero, trapiantato in Emilia e lì incompreso, isolato da una popolazione che non ne comprendeva la fragile unicità. Di lui si osservava solo il carattere ruvido, ritroso, chiuso. E le bizzarrie, reali o immaginarie. Così è stato tacciato di pazzia. Un’ombra diventata etichetta, un’etichetta diventata slogan per la narrazione artistica successiva.
Antonio Ligabue, il Van Gogh italiano che ha dipinto sull’orlo della follia. Una considerazione più furba che vera. Ma la terra gira, l’inclinazione con cui il sole ci investe cambia, e con essa la sagoma nera che si disegna al suolo. Così Ligabue diventa lo strambo naif, che satura di colori e animali i suoi quadri, che contorna di esotiche figure la sua cruda vita rurale. Due visioni improprie, oltre che semplicistiche. Per questo la Galleria BPER Banca di Modena sceglie di raccontare Ligabue a mezzogiorno, l’ora senz’ombra dove finalmente egli può apparire per quello che è: una persona, un pittore.
Se infatti è difficile ridurre qualsiasi pittore a una dimensione, nel caso di Ligabue pare quasi impossibile. Esigui i riferimenti iconografici, sostanzialmente nulli i rapporti con i colleghi, isolate le mostre in vita, controversa la presenza sul mercato. Ligabue sembra non avvicinarsi a nessuno e nessuno sembra essersi avvicinato a lui. Questo lo rende atipico, se vogliamo. Non fosse che questa non-etichetta rischia a sua volta di diventare classificazione. Allora occorre dettagliare il suo stile, evidenziare il suo espressionismo tragico e analizzarlo in quest’ottica. Le cromie brillano sulla pennellata rapida e avvolgente, ma il dramma raffigurato trasporta le sue opere su un sofferto piano esistenziale. Il suo, il nostro, quello di ogni creatura.
Una poetica racchiusa nei 20 dipinti che la Galleria BPER Banca presenta nella sua galleria di Modena. Curata da Sandro Parmiggiani, la mostra si sviluppa sui quattro dipinti del pittore appartenenti alla collezione della banca, per poi completarsi con sedici opere provenienti da collezioni private. In scena i tre filoni principali della sua produzione: lo scontro predatorio, la rappresentazione della vita in campagna e l’autoritratto.
Lo scontro predatorio
La passione, o l’ossessione, che Ligabue nutriva per il mondo animale è profonda e variegata. Muove dalla loro rappresentazione placida, inserita in un contesto rurale, alla più brutale messa in scena dello scontro predatorio. Ed è forse proprio in questo aspetto che Ligabue raggiunge l’apice della sua poetica, trovando perfetta metafora del suo sentimento interiore. Come scrive il curatore della mostra Sandro Parmiggiani, l’artista dipinge “la lotta per sopravvivere o per affermarsi, in cui una vittima soccombe al carnefice e viene sacrificata; il lento cammino delle sue umane sembianze verso l’esito finale“.
Dunque c’è un riflettersi tragico delle feroci lotte tra bestie e la strenua battaglia che lui stesso ha combattuto in vita. Con una società, quella di Gualtieri, in Emilia Romagna, che non l’ha mai accettato; con se stesso e la sua psiche fragile, a causa della quale è stato più volte ricoverato in casa di cura e ospedali psichiatrici.
Ma al di là di questi parallelismi, quel che impressiona di tali opere è la qualità tecnica, la precisione anatomica ed etologica degli animali, l’incredibile varietà di figure che compaiono, l’accesa vivacità cromatica. Tele come Caccia grossa (1929), Volpe in fuga (1948), Vedova nera con volatile e Leonessa con zebra (1959-60) presentano in primo piano la violenta scena della predazione, ma tutt’attorno si arricchiscono di personaggi ausiliari, intenti nelle loro biologiche attività. L’habitat di riferimento è inoltre ineccepibile. Come Salgari che descrisse la Malesia senza esserci mai stato, anche Ligabue ci porta con la fantasia in luoghi che lui stesso ha solo immaginato. Oppure recuperato dai libri di zoologia o botanica, così come dalle stampe popolari.
La vita di campagna
Non solo scontri. Il mondo animale è anche quello della quotidianità, vissuta in campagna a stretto contatto con la natura. Le scene sono luminose, come del resto anche quelle predatorie, ma in questo caso domina anche un senso di quiete e pace. Quasi una distensione dopo tanta ferocia.
Aratura con buoi (1953-54) raffigura un contadino di spalle che spinge faticosamente un aratro trainato da due buoi bianchi su un terreno brullo, mentre in lontananza si scorgono un paesaggio verdeggiante e una città. Ritorno dai campi con castello (1955-57) esemplifica la stanchezza e la malinconica soddisfazione che accompagna la fine di una giornata. Ma soprattutto nasconde un dettaglio autobiografico: sullo sfondo, oltre il contadino, i cavalli e il cane che tornano in paese, è dipinto un lago al cui centro svetta un castello con guglie e banderuole al vento, forse ricordo della natia Svizzera.
Non è infatti inusuale che Ligabue inserisca nelle sue opere riferimenti alla Svizzera, e dunque alla sua infanzia. Anch’essa, a dire il vero, segnata da stenti e miseria. Un modo per ritornare con i ricordi a un passato comunque rimpianto, quantomeno perché meno nitido di un presente difficile.
Autoritratto
Ligabue dipinse più di 200 autoritratti nella sua vita. In mostra ce ne sono 4. Tutti spietati, inclementi nei confronti di se stesso. Esercizi tecnici che sfociavano in torture e storture, esagerazioni e punizioni. Una via per capirsi, ma anche per accanirsi contro un’identità fisica ed emotiva con cui non riuscì mai a venire a patti, se non a costo di enormi sofferenze.
Compassione e tenerezza si aprono negli occhi dell’osservatore mentre contempla autoritratti strettissimi. Primi piani dove lo sfondo rimane tale e ciò che domina è il viso straziato e provato di un pittore e di un uomo che desidera solo essere riconosciuto tale. Ma non vi riesce. Allora arriva perfino a ritrarre un Autoritratto con mosche (1956-57). Come fosse una carcassa, come se attorno a lui già aleggiasse la morte. Corvi scuri volano nel cielo. La sensazione di dramma è pervasiva.
Più sereno, conciliante e consolante, il grande Autoritratto con cavalletto (1954-55), una delle opere della corporate collection di BPER Banca. Qui non appaiono elementi minacciosi. Ligabue dipinte un gallo, all’aperto, immerso in una natura verde, con alcuni animali che si muovono lì attorno, curiosi e mansueti. Pare che l’uomo abbia trovato la sua dimensione, quella d’artista. Forse è addirittura riuscito a dimostrarlo. Se non al mondo, almeno a se stesso.