Alla fine della fiera, cosa resta a Torino? Una serie di mostre decisamente ben costruite, e la percezione che questo 2022 sia stato un anno d’oro per l’art week e tutti i suoi protagonisti. Nonostante la cautela
Quando mai vi è capitato di essere fermati a un party – nel cuore della notte – da vari galleristi che, complice un po’ di alcool, vi vogliono raccontare quanto è stata esplosiva Artissima quest’anno?
È successo ieri sera al Bunker, mitico club torinese dove le gallerie della città hanno offerto ai partecipanti della settimana dell’arte un incredibile momento di ritorno definitivo alla normalità, come non si vedeva da quando ci eravamo lasciati nel novembre ’19, proprio qui in fondo a via Bologna, zona Aurora.
E se i galleristi hanno quel brillare d’occhi per gli affari conclusi, anche il pubblico generale pare avere apprezzato l’art week sabauda del 2022. E non poco.
Ieri pomeriggio, per esempio, lunghissime code a Torino Esposizioni per entrare a The Others, la fiera degli emergenti che quest’anno ha disposto le sue gallerie in una pianta a labirinto dove perdersi tra l’offerta di ottime realtà che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni per la qualità del lavoro: c’è Curva Pura di Roma, Podblieski, Paola Sosio, A.More di Milano, Gagliardi & Domke di Torino, Studio La Linea Verticale di Bologna, Mancaspazio di Nuoro e così via, in una infilata che a volte sembra sopraffare per la quantità di opere esposte, ma che tutto sommato trasuda una grande energia. Code anche a Flashback, e folla in tante istituzioni in città.
Usciti dalle fiere, insomma, la settimana dell’arte torinese pare essere tornata allo scintillio pre-covid, ma con la stessa postilla che è valsa anche per raccontare Artissima: nessun azzardo nemmeno fuori dagli stand, ma una misurata accuratezza nelle scelte. Tutto è caldo e perfettamente condito, ma non rovente. Per qualcuno è un bene, ma per quelli che invece da Torino si aspettano ancora le “Avanguardie Pure” degli anni scorsi…l’appuntamento è rimandato.
In città, ad ogni modo, per i prossimi mesi non mancheranno ottime mostre, e l’organizzazione della settimana anche a questo giro è stata pressoché impeccabile, circondando la 29esima edizione di Artissima con una costellazione di places to be.
A Torino: un percorso tra le mostre in città
Tra le più belle esposizioni in città, aperte negli ultimi giorni, c’è Hic Sunt Dracones, alla GAM – un dialogo dedicato al pensiero metamorfico tra Chiara Camoni, che presenta anche una serie di nuove sculture, e la produzione dell’Atelier dell’Errore, che negli anni abbiamo conosciuto per la capacità non indifferente di offrire agli occhi del pubblico una pittura dell’abisso, intersecando i “non allineati” con le più taglienti espressioni dell’arte. A cura di Elena Volpato, la mostra è percorso iniziatico che si snoda attraverso la compenetrazione tra uomo e natura, dove zoomorfismo, biologia e sincretismi di ogni genere convivono in una armonia rara che permette di approfondire il vecchio valore dell’arte come specchio dell’anima, approdo di credenze e moti della coscienza.
Seguendo questa scia vale la pena anche soffermarsi sulle pitture dell’artista tedesco Victor Man alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo: Eyelids, Towards Evening (Le palpebre, verso sera) è il titolo della mostra (a cura di Eugenio Re Rebaudengo con testo critico di Alessandro Rabottini) che presenta venti ritratti realizzati da Man negli ultimi 10 anni, e che attraverso le atmosfere cupe che rimandano alla Nuova Figurazione Tedesca e un allestimento a dir poco rigoroso, sono una immersione a volte inquietante nella potenza dell’umanità. Sono figure che, come scrive Rabottini, “sembrano ritirarsi dal mondo attuale […] immerse nella penombra di stati d’animo e di condizioni psicologiche indefinibili come il momento della sera”. C’è, di fatto, una sorta di melancolia che alberga in ogni volto – tutti personaggi che l’artista ha conosciuto personalmente e con i quali ha intrattenuto relazioni di svariata natura; c’è quel certo non so che si prova di fronte all’impossibilità di chiarificare l’alterità, e quel cosmo di percezioni, sensazioni e vicissitudini solo in parte definibili che è l’animo umano.
Notevole è anche Liquid Transfers di Diana Policarpo, vincitrice del Premio Illy Present Future 2021, video-installazione che continua il percorso di ricerca dell’artista nelle implicazioni della natura unite alla sfera politica e sociale, e il protagonista stavolta è la Claviceps purpurea, o fungo ergot, parassita della segale in grado di indurre bruciori, spasmi muscolari, allucinazioni e cancrena: attraverso una narrazione precisa e documentaristica Policarpo racconta come il suo Paese, il Portogallo, sia stato uno dei più grandi “produttori” di questo micete che veniva però “acquistato” da altri Paesi, tra cui la Svizzera, per testarne le sue capacità in programmi militari sperimentali. Policarpo ci mostra come la natura più ambigua e pericolosa venga fatta incontrare (mai casualmente) con le strutture di potere e di controllo sociale: un’occasione speciale per riflettere, e parecchio, su quello che abbiamo vissuto negli ultimi 3 anni.
A proposito di animo umano e delle connessioni che la nostra percezione intrattiene per forza di cose con i “Regni del Dominio”, dall’uso politico del corpo alla società dei mass-media e della manipolazione delle coscienze, alle OGR Arthur Jafa (già Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 2019) presenta una grande video-installazione dal titolo RHAMESJAFACOSEYJAFADRAYTON che ci parla di Black Culture e negritudine e del suo rovesciamento nella propria storia personale. Difficile restare impassibili di fronte alle onde di un mare nero dove galleggiano quelle che sembrano migliaia di bolle di catrame o petrolio e invece si scoprono essere lembi di pelle di colore, manipolati in una sorta di loop dallo stesso studio di effetti speciali che aveva lavorato dietro le quinte del film Matrix.
Continuando nel solco dei “corpi in allerta” arriviamo forse alla mostra più evanescente – e allo stesso tempo più impattante – di questa art week: si chiama proprio Alert: è un progetto specifico dell’artista israeliana Michal Rovner, e siamo alla Fondazione Merz.
Sagome di sciacalli, sul far della sera, ululano nell’incavo della fontana, rischiarate dal neon rosso del Volo dei Numeri di Mario Merz. La balaustra diviene l’affaccio a una metaforica arena, sulla quale ci disponiamo curiosi e inquieti: gli sciacalli ci ricordano il coyote di Joseph Beyus, e anche in questo caso si tratta di situarsi di fronte all’alterità per poterci presentare ad essa. Lo racconta proprio la stessa Rovner, che ha cercato l’incontro con questi animali – che simboleggiano anche il Dio Anubi, colui che nell’Antico Egitto era incaricato di traghettare l’anima umana nell’aldilà – in una serie di notti passate nei campi, al buio, per riflettere sulla condizione dei rifugiati, degli esuli e degli esodi.
Rovner ha anche trasformato lo spazio interno della fondazione, oscurandone le vetrate e innalzando un muro che – all’ingresso – ci fa sentire esattamente al cospetto di una Divinità nel suo tempio, protetti e e allo stesso tempo straniti da quella presenza che, per dirla con le parole che lo scrittore David Grossman ha usato per il lavoro dell’artista, “È l’essenza dell’esilio ma anche della scoperta”. E gli sciacalli, alla fine, siamo noi: “Siamo di passaggio. Siamo andati via” come siamo arrivati – aggiungiamo noi – e abbiamo scelto di guardare negli occhi, e di fidarci, di alcuni anziché di altri. In costante stato di attenzione.
Dulcis in fundo di nuovo al Lingotto, ma stavolta nella rinnovata Pinacoteca Agnelli la cui Pista500 – con un po’ di fantasia – in questi giorni di cielo sereno ci è sembrata una High Line torinese, e scusate è poco. Ma in effetti in quale altro luogo, in Italia, avete la possibilità di salire su un “tetto” e trovarvi installazioni di Mark Leckey, Sylvie Fleury, Superflex, Liam Gillik, Cally Spooner? Aprono – o chiudono – il percorso i bellissimi leoni di marmo, Guardiani, di Nina Beier che in questa settimana sono stati eccezionalmente disposti in posizione verticale anziché essere sdraiati nella loro condizione selvatica a simboleggiare, tra le altre cose, la disillusione umana nel momento della presa di coscienza dell’ingovernabilità della natura a nostro piacimento. Bentornati a Torino, oggi possiamo proprio dirlo.