Alessandro Biggio, Antonio Fiorentino e Giuseppe Di Liberto protagonisti del programma espositivo a cura di Alessandra Troncone
Archeologia futuribile e cultura popolare. Sono questi i nuovi focus di Paesaggio e Portfolio. I cicli espositivi, cominciati a settembre, rientrano nell’ambito di Quotidiana, il programma espositivo sull’arte italiana contemporanea promosso dalla Quadriennale di Roma che coinvolge due sale museali di Palazzo Braschi. Paesaggio, giunto al suo secondo appuntamento, inaugura la mostra Appunti per un’archeologia del futuro, a cura di Alessandra Troncone. Un dialogo tra i lavori di due artisti, Alessandro Biggio e Antonio Fiorentino, che ragionano intorno alla tendenza crescente dell’arte odierna a delineare i profili di falsi relitti. Oggetti che sconfinano dai mirabilia al reperto, al recupero geologico d’invenzione, le cui origini non sembrano affiorare da un’epoca passata classificabile, quanto piuttosto suggerire un’anteprima di ciò che sarà ritrovato e scoperto da un ipotetico uomo del futuro.
In filigrana si legge la pressante e vivida percezione apocalittica della fine del mondo che connette l’umanità del XXI secolo alle credenze medievali, come il saggio della curatrice mette in luce. Una ricerca sulla propensione artistica internazionale per la fictional discovery che spazia dai lavori di Laura Favaretto a quelli di Damien Hirst, nell’idea di offrire una panoramica da cui la stessa mostra prende avvio. In Hermetica Hesperimenta (2019) – l’affascinante installazione di Antonio Fiorentino – fossili di animali dai denti aguzzi, busti, maschere, teste scolpite, fra il variopinto e il non finito, si alternano su alcune tipiche scaffalature da museo archeologico, sorte da un pavimento cosparso di sabbie, macerie, legnetti e residui d’alga.
In perfetta sintonia con la Càmua (2021) di Alessandro Biggio, una scultura sospesa, dalla sagoma incerta, che assume le parvenze di un oggetto recuperato dagli abissi e resistito al dissolvimento. La struttura in poliuretano è il calco dell’interno di un tronco marcito, avvolto da un groviglio inestricabile di corda, bagnata in un impasto di acqua e cenere e si rifà ad antiche tradizioni sarde. Materia e espressione artistica sono legate insieme nella resa di un’ambiguità formale e temporale. La terza mostra di Portfolio, il ciclo dedicato agli artisti under 35, vede l’opera site specific Cortei (2022) dell’artista siciliano Giuseppe Di Liberto, di cui racconta le linee di ricerca Gaia Bobò, curatrice in residenza presso la Quadriennale.
Come il titolo suggerisce, due cortei funebri si imbattono fatalmente sullo stesso terreno, andando tuttavia incontro a destini differenti. Il corteo dei ricchi prosegue avanti, quello dei poveri si arresta al passaggio del primo. Si tratta di una scena desunta dal film del ’95 Lo zio di Brooklyn, ambientato in una Palermo distopica e surreale. Il lavoro di Di Liberto, realizzato con una celere e dinamica modellazione dell’argilla cruda, nell’arco di soli tre giorni, ragiona non soltanto sulle implicazioni sociologiche e sulle traiettorie, ma anche sul processo di temporalità dell’opera, abbinando i concetti fra loro. Ad uno sguardo attento il fruitore si accorgerà infatti che il primo corteo è bagnato da un impianto a gocce che ne provoca la trasformazione costante e lo scioglimento, mentre il secondo viene lasciato seccare.
L’acqua, solitamente associata ad una semantica positiva, vitale e di rigenerazione, viene sfruttata in questo caso per il suo polo opposto. La carica distruttrice dello sgocciolamento, a rievocare la tortura della goccia cinese, è inflitto alle piccole sculture del primo corteo. Mentre alcune fredde luci al neon concorrono ad offrire alla scena un drammatico taglio chiaroscurale.