L’Attesa di Enea è un colpo di genio creativo di Alberto Savinio, dipinto aggiudicato l’8 novembre 2022 da Bolaffi a Torino per 370 mila euro, inclusi i diritti. Soggetto mitologico di ambito Surrealista, elaborato con dissacrante ironia dell’eroe troiano, immaginato gigante e muscoloso di corporatura in contrasto con la piccola scatola cranica. La composizione è di media grandezza (cm 53×64) eseguita in Parigi nel 1929.
Dalle antichità della Grecia – dove era nato in Atene nel 1891 – e dell’Italia – dove morì in Roma nel 1952 – aveva tratto le tematiche della sua pittura, che considerava come un puro diletto, “un lusso che mi posso permettere” – diceva sorridendo. Parigi infine lo introdusse come pittore nel mercato dell’arte, come scrittore nell’editoria, e infine come musicista – la sua formazione primaria era stata la composizione – nelle sale da concerto.
Nel 1928 ha avuto occasione di conoscere Guillaume Apollinaire, Pablo Picasso, Max Jacob, Jean Cocteau; quest’ultimo, che all’epoca primeggiava nei salotti di Parigi, gli dedicò un testo critico per una personale presso la Galérie Bernheim Jeune. Decisivo sarà l’incontro con André Breton, maître–à–penser del Manifesto del Surrealismo. Dal Movimento era stato cacciato suo fratello Giorgio de Chirico, colpevole per Breton di non seguire in pittura i canoni onirici rivelati da Sigmund Freud; canoni invece ben presenti nell’Attesa di Enea.
Con la crisi internazionale del ’29, Savinio lasciò la Francia alla volta di Torino. Espose alla Promotrice delle Belle Arti con una personale di grande successo. Fece quindi ritorno a Roma proseguendo la sua produzione letteraria con l’editore Valentino Bompiani. Agli inizi degli anni ’40 il suo mercato era in fase ascendente. A riscoprirlo fu il mercante Gino Ghiringhelli della Galleria del Milione di Milano. Malgrado il buon successo delle vendite, le sue quotazioni anche nel decennio successivo rimasero modeste. Ma va detto che Savinio era tutt’altro che accorto, accettando per i suoi quadri anche cifre irrisorie; spesso addirittura li regalava.
Negli anni Sessanta sua figlia Angelica, titolare della Galleria Il Segno, in via Capo Le Case n. 4 in Roma, prese in mano la situazione, intervenendo e controllando le vendite pubbliche in caduta libera e senza difesa. Pertanto l’Arcangelo Gabriele, olio di cm 38×46 del 1930, fu venduto dalla Falsetti di Prato a 7 milioni e 500 mila lire, cifra che negli anni seguenti si sarebbe triplicata. Negli anni Settanta mi aveva rilasciato un’intervista per il Catalogo Nazionale Bolaffi d’Arte Moderna. Voglio qui sottolineare la sua garbata testimonianza:
“Mio padre quando dipingeva era più disteso di quando componeva musica, e alla conclusione di un suo dipinto desiderava che la famiglia godesse di questa sua creazione. Ce la proponeva nel suo studio, in mezzo ad altre opere meno recenti. Ce lo faceva vedere montato sul cavalletto; gli faceva piacere vedere la nostra prima reazione.