I NUOVI FASTI DI MIAMI: ART BASEL E I FASHION DISTRICT
Miami Art Week 2022. Sono lontani e ormai solo cinematografici i “fasti” del peccato della Vice City, Miami -ora- brilla più che mai. Tanto lucida e levigata di botox, quanto sfavillante proiettata nell’aura dell’arte, in tutte le temperature di senso -l’arte- la si possa intendere. Nella maniera più ampia e vaga, come si ama frivolamente sublimare da queste parti, ma non solo. C’è qualcosa di autentico negli stereotipati scintillii glamour di glitter e lustrini. C’è che Miami è in vertiginosa crescita, un’ascesa trasversale, anche culturale. Grazie pure (e soprattutto) al colosso svizzero MCH Group con la maestosa Art Basel. Da quando la regina delle fiere d’arte contemporanea è arrivata vent’anni fa sotto il sole di South Beach, la città non è stata più la stessa. Miami ha cambiato volto (un concetto ben noto da queste parti). Perché la più importante manifestazione fieristica del mondo, in Florida, non significa solo arte. Ma lusso, nelle sue infinite accezioni, ibridazioni e contaminazioni: amalgamandosi alla brezza dell’oceano e alla luce di pastello che sembra non finire mai, moda e design hanno creato una sinergia estremamente feconda, che dal patinatissimo Design District in Midtown corre lungo Biscayne Bay fino a Miami Beach, dove ogni prima settimana di dicembre fa capolino la fiera Design Miami, sorella boutique della superstar Art Basel. Per dare brevemente l’idea, Fendi ha aperto il primo flagship dedicato alla casa negli Stati Uniti, Armani e Bottega Veneta hanno rilanciato le loro collaborazioni con artisti e designer (rispettivamente Marcantonio e Gaetano Pesce), mentre Dolce & Gabbana ha inaugurato il nuovo showroom “Casa” (con tanto di feste, installazioni e sfilate annesse e connesse). Da Coral Gables all’ormai totalmente rigenerato, e gentrificato, quartiere street di Wynwood, popolato ora sempre di più da fighetti pop-up restaurants e concept store. La bellezza cruda del graffito più violento, e vero, è stato addolcito e addomesticato da puppet giocosi e da murales pop colorati piacevoli, adatti a tutti. Decorativi, quindi totalmente depotenziati. Questo è, nel bene e nel male. Perché fino a pochi anni fa in questi block la criminalità era di strada. Ora, invece, è tutto una festa, forse un po’ finta, sicuramente molto più costosa. Wynwood sta espandendo i suoi tentacoli verso Allapattah, sul cui decumano industriale (la 23esima) sorgono già la Rubell Collection, Espacio 23 e Superblue Miami. Nel giro di due decadi, comunque, la città è rinata. Tutto porta con sé il nome e il brand di “Basel”: dal mega festival di musica e urban-mural art, Basel House, fino alle innumerevoli mostre collaterali, più o meno ufficiali, che nascono come funghi su Collins Avenue, ospitate nei monumentali hotel Art Déco o in location temporanee di fortuna. Vale tutto a Miami. E tutto qui è targato Art Basel, pure i cocktail su Ocean Drive.
LE BIRKENSTOCK COL PELO e UN TIRO DI FILLER NELLA MIAMI ART WEEK 2022 (29/11 – 4/12)
La Miami Art Week ha aperto letteralmente le danze lunedì scorso, con una esibizione della performer newyorkese Kelis al party della galleria blue-chip White Cube alla Soho Beach House, eletta quest’anno come una delle sedi pulsanti del fuori Basel assieme al centro dell’aperitivo post-fiera, il Botanical Garden. La stampa internazionale ha trovato rifugio nel più elegante Ritz Carlton, con una press lounge messa a disposizione dalla casa d’aste Christie’s. L’Official Miami Art Week Party invece è andato in scena giovedì tra le atmosfere anni Trenta dell’Hotel National (con una serata all’insegna della sostenibilità…). La festa, da queste parti, è una religione. Inutile dirlo e ribadirlo. Tutta la settimana, appena i cancelli di vetro dell’avveniristico Convention Center di Miami Beach, sede di Art Basel, facevano per chiudersi e la luce crepuscolava da Faena a South Point dietro i grattacieli, si spalancavano i sipari al neon dei party in qualsiasi District della città (i più eleganti: Prada al Faena Art, D&G al Design District, Armani, Lamborghini, Zwirner). A bordo piscina, sulle terrazze, sulla sabbia, nelle fiere, nelle fondazioni, collezioni, musei. Ovunque. Spopolano i mocassini leopardati, le birkenstock col pelo e le babbucce di pelliccia. Pose di plastica e plastiche senza posa fanno il paio coi bidoni del riciclo col triangolo di frecce smussate che si rincorrono con scritto all’interno PET. This is Miami. L’orgoglio è palpabile e manifesto, tanto che nella fiera ultra trash contemporanea SCOPE c’è pure la possibilità di farsi un tiro di filler.
MORNING GLORY, SEX ON THE BEACH, SURYA NAMASKARA
Alla “festa” ha partecipato anche Madonna. Non con la musica, ma con una mostra, vietata ai minori di diciotto anni (non si sgarra, controllo carta d’identità all’ingresso e niente foto all’interno), allestita direttamente sulla spiaggia di fronte ai fasti ricettivi del Delano, Setai e Sagamore. Titolo del progetto: Sex. La pop-star ha ripubblicato il suo omonimo libro del 1992. Così, a distanza di trent’anni dall’uscita, Yves Saint Laurent attraverso il suo direttore creativo Anthony Vaccarello ha selezionato alcuni scatti iconici. Risultato: una elegante ed erotica esposizione vista oceano. Sex on the beach, letteralmente. A proposito di installazioni degne di nota: peregrinando verso Mid Beach, altezza The Bass, RuinArt si è inventata una sorta di lounge stile tulum vagamente retreat. Ancora più su, il colosso argentino Faena, nell’Art District di casa, ha messo a punto tre interventi sulla sabbia: Morning Glory dell’artista cilena Paula de Solminihac, vincitrice del Faena Art Prize 2022; la scultura luminosa Patria y Vida del duo di artisti Wright Millares; e Living Room, opera esperienziale del collettivo Random International. Sulla stessa scia, la piattaforma No Vacancy ha chiesto a 12 artisti di realizzare dei lavori site-specific in 12 iconici hotel, tra cui Avalon, Betsy e Fontainebleau. Più a sud, la commerciale Lincoln Road si è trasformata in una passeggiata di arte pubblica con le terribili sculture animali di Richard Orlinski, coronate da un gigantesco striscione di Keith Haring sventolante a cascata sulla via. Delle decine di esposizioni disseminate per la città, segnaliamo le migliori: Adriàm Villar Rojas al The Bass; Quayola al Faena Art; Together, at the same time alla De La Cruz Collection; You know who you are al El Espacio 23; Michel Majerus all’ICA; The Italians alla Margulies Collection; Charles White al Lowe Art Museum; Leandro Erlich al Pérez Art Museum; Alexandre Diop al Rubell; 100 Years di Jeffrey Deitch e Gagosian all’ex showroom automobilistico Buick Building (il Moore, sede lo scorso anno del duo di mercanti, è già stato occupato da un marchio di moda). Delle oltre venti fiere d’arte satellite ad Art Basel (che hanno portato quasi 1.200 gallerie in città), le uniche degne di nota risultano: Untitled Art Fair (qua il nostro report), nella tensostruttura sulla sabbia allestita a Lummus Park; INK Miami nello storico hotel Dorchester, dedicata alle opere d’arte su carta; e NADA a Downtown, focalizzata sulla ricerca più sperimentale (con tanto di sedute di meditazione e letture dell’anima nel parchetto appena fuori, ma questa è un po’ la piega che sta prendendo tutto, vedi il saluto al sole in zona Faena tutti i giorni…).
ART BASEL MIAMI BEACH 2022
Capitolo Art Basel. ABMB, acronimo come da queste parti è solito identificare la kermesse, celebra i vent’anni in terra di Florida con l’edizione più grande di sempre. Una prova muscolare della fiera elvetica, alla faccia di crisi, guerra e recessione. Quest’anno sono state 283 le gallerie (30 in più rispetto all’anno scorso) provenienti da 28 Paesi in tutto il mondo (più della metà degli espositori proviene dal Nord e dal Sud America ça va sans dire), a popolare il Centro Congressi dalla sinuosa scocca firmata da Fentress Architects. Un’onda bianca di vetro e alluminio composta da “vertebre” dinamiche che riecheggiano la spuma dell’oceano a solo qualche isolato più in là. 26 gallerie approdano sotto i quasi 30 gradi centigradi costanti di Miami per la prima volta. Tra queste figurano nomi del calibro di Alexandre Gallery (New York), And Now (Dallas), Edel Assanti (Londra), Bridget Donahue (New York), P21 (Seoul), Queer Thoughts (New York) e Chris Sharp Gallery (Los Angeles). Significativa la compagine italiana. Oltre al ritorno di Lia Rumma, presenti Alfonso Artiaco, Cardi, Continua, Massimo De Carlo, kaufmann repetto, Magazzino, Franco Noero, Lorcan O’Neill, Christian Stein e Tornabuoni. Superate in tutto e per tutto le dimensioni pre-pandemia. Tra le novità che balzano subito all’occhio: nei tipici quadranti che segnano gli orari delle versioni di Art Basel in tutto il mondo (Basilea, Miami Beach, Hong Kong) si materializza il nuovo fuso parigino: Paris + par Art Basel, fresca di inaugurazione (e successo) a metà ottobre in terra di Francia. Seconda cosa, nettamente più importante: questa edizione congeda Marc Spiegler, il global director dimissionario dopo 15 anni. Gli succederà lo storico dell’arte Noah Horowitz, nuovo CEO di Basel, nonché il nostro Vincenzo De Bellis, ex miart di Milano e Walker Art Center di Minneapolis, come direttore delle quattro fiere. Breve inciso: anche la prima citata Design Miami (1-4 dicembre), situata appena qua di fronte ad Art Basel, è diretta da una italiana: Maria Cristina Didero.
ARTE e LEONARDO DI CAPRIO ALLA PREVIEW
Martedì 29 novembre: si parte. Al via la First Choice Preview (continuata per tutto mercoledì 30, apertura al pubblico dall’1 al 4 dicembre) per addetti, professionisti e soprattutto collezionisti. Moltissimi quest’anno. Con le frontiere definitivamente libere post-Covid si rivedono buyers cinesi, europei e mediorientali, tanto che l’app ufficiale di Art Basel è andata in crash per oltre mezz’ora appena arrivata l’ora x. Inconvenienti a parte, la voce grossa l’hanno fatta, come di consueto, i compratori americani, canadesi e centro-sudamericani. Miami è il perfetto collettore, sia dal punto di vista logistico che geografico, di tutto il Nuovo Mondo, oltre che essere il buen retiro dei miliardari del continente (e non solo). Tantissimi i musei, sia in veste di direzione che di board scientifico, visti aggirarsi tra gli stand. Immancabili vip, star e starlette, giunti qua nelle maniere più eccentriche: elicotteri, yacht, aerei privati, barche a vela. Avvistati Leonardo Di Caprio, nella solita tenuta con berretto e mascherina per camuffarsi, Pharrell Williams, Venus Williams, Bon Jovi, Sean Penn, Cardi B, Travis Scott, Sylvester Stallone, Martha Stewart, James Goldstein, la principessa Firyal di Giordania, Beth Rudin DeWoody e l’ex giocatore dei Knicks Amar’e Stoudemire. Una platea variegata. Come variegata è la proposta in fiera. Gli stand da queste parti non sono curati e raffinati come quelli europei. Ma non siamo qui per questo. Siamo qui per il circo del sistema dell’arte secondo la fiera di arte contemporanea più bella del globo dopo la madre maestà Basel Basilea. Il mondo dell’arte per una settimana sta qua e qua bisogna stare.
IL MEGLIO DEL MEGLIO TRA GLI STAND DELLA FIERA (qua il nostro report con foto e prezzi)
Poca ricerca? Sì, ma le opere parlano da sé. Tra i top assoluti, la maggior parte di questi venduti nelle primissime battute della fiera: Les Femmes à la Toilette di Léger del 1920 portato da Nahmad (18 milioni di dollari); White Alphabets del 1968 di Jasper Johns (da David Zwirner, da 20-25 milioni); gli oltre 2 metri del Self-Portrait (Fright Wig) del 1986 di Andy Warhol, offerto da Acquavella, che con i suoi 32 milioni è l’opera più cara della fiera; lo storico Butterflies Are, 1976 di Sam Gilliam (Galleria Thomas, 1,15 milioni). E ancora: Loose Y, 1964 di Shirley Jaffe (da Nathalie Obadia, 250 mila dollari), una bella scoperta frutto finalmente di un lavoro di rivalorizzazione su questa ottima artista astratta americana (morta a 93 anni nel 2016). L’anno prossimo il Kunstmuseum di Basilea le dedicherà la più importante retrospettiva mai fatta in Europa, seguirà il Museo Matisse di Nizza a cavallo tra 2023 e 2024. Non manca un classico capolavoro di Richard Diebenkorn da quasi due metri e mezzo, Ocean Park #102 del 1977, da Gagosian, prezzo: 7 milioni di dollari (l’altro bel Diebenkorn, più piccolo ma del ’54, ispirato ai Collage di De Kooning, è esposto da Nahmad). Notevole una gemma di gelatina ai sali d’argento di Tina Modotti del 1928 (Mella’s Typewriter, galleria: Edwynn Houk) da 275 mila dollari, e una installazione museale di Dan Flavin del 1995 portata da Cardi, prezzo tra i 200 e i 300 mila dollari. Presente una delle regine del mercato d’oltreoceano: Georgia O’Keeffe, il suo Dead Tree Lake Taos del 1929, portato da Schoelkopf Gallery, vale tra i 6 e gli 8 milioni. Tra i Basquiat, invece, che popolano la fiera i due pezzi migliori sono quello di Nahmad (Untitled, 1983) sui 19 milioni, e quello di Van de Weghe (The Ruffians, 1982), più raffinato, sui 20 milioni. La più chiacchierata opera della fiera? Lei, o meglio loro: mega uova in mega paniere (Bowl with Eggs, 1994-2009). Chi poteva essere se non Jeff Koons? La galleria è White Cube, il prezzo è di 7,5 milioni. Con Shirley Jaffe, avanti anche un’altra eccelsa pittrice dell’America Post-War, morta appena due anni fa: Susan Rothenberg (tra le cose, è stata la moglie di Bruce Nauman). Esposto un suo iconico cavallo monocromo che galoppa sui toni del rosa carne. La galleria è Gray, il prezzo: 2 milioni di dollari (si segnala per la monumentalità anche un Calder gigante da 7 milioni che fa capolino all’ingresso dello stand). Capitolo neon: un eloquente grido AMERICA/ME di Glenn Ligon da Hauser & Wirth (750 mila dollari) illumina il cuore della fiera, la cosiddetta North Plaza dove campeggia avvolto da piante esotiche l’Oyster Bar, rifugio dei buyer dal nobile palato. Quest’anno vanno anche moltissimo le economiche Empanadas ripiene e gli ottimi bomboloni con crema di Rosetta.
UOVA NEL PANIERE e BANCOMAT VIDEOGIOCO
Per il super contemporaneo sugli scudi Issy Wood con i classici close-up su lino (prezzi dai 150 ai 200 mila dollari); Amoako Boafo (prezzi da 290 a 400 mila); Chris Ofili nello stand David Zwirner (che ha come al solito uno dei booth migliori con Nate Lowman, Kerry James Marshall, Noah Davis, Cecily Brown, Ruth Asawa), prezzo 750 mila dollari; Kehinde Wiley, sia pittura che scultura, prezzi da 700 mila a 1,3 milioni; Shara Hughes, presentata da David Kordansky (ricordiamo che il record in asta, folle, è di appena lo scorso maggio di 2,9 milioni), prezzo: 350 mila dollari; e Hernan Bas da Perrotin (450 mila dollari). La stessa multinazionale artistica francese che portò la Banana (Comedian, prezzo al tempo 120 mila dollari) di Cattelan in questi lidi nel 2019, quest’anno fa parlare di sé per offrire al miglior acquirente un Bancomat a grandezza naturale del collettivo MSCHF. La macchina, perfettamente operante, espone pubblicamente il saldo del conto di chi preleva. L’opera funziona come un videogioco: vince chi ha più soldi in banca. Degli artisti italiani, con Patrizio Di Massimo, Davide Balliano e Enrico David, si segnalano i più “storici” Giuseppe Penone -le sue Spine d’acacia del 2005, da Marian Goodman, valgono 1,3 milioni- e Alighiero Boetti, fresco di record mondiale in asta a 8,8 milioni. Una sua Mappa, 1983-84, da Ben Brown costa 3 milioni, mentre un suo capolavoro di sei metri (Copertine, 1984), esposto da Tornabuoni, si aggira sui 4 milioni. Per quanto riguarda gli stand, i tre più curati sono Rodeo, con un solo show di Haris Epaminonda; Franco Noero, elegantissimo e fin troppo sobrio per i canoni di Miami; e Susan Sheehan, per la coerenza della proposta. Delle sezioni, c’è la conferma, ottima, di Positions, dedicata alla riscoperta di autori del Novecento. Stenta, al contrario, Meridians, focus dedicato alle opere e alle installazioni di grandi dimensioni, pallida copia di Unlimited a Basilea. Non c’è confronto, si salvano Judy Chicago e poco altro.
IL DINAMISMO PATOLOGICO e L’IMPAGABILE SERENITA’ DELL’OCEANO
Insomma, il circo milionario di Art Basel è tornato, questo sì, ai fasti del passato dopo la forzata ridimensione dell’era Covid. Ma non si è limitato a questo, è andato oltre. A Miami l’amabile luna park del contemporaneo si sta oggettivamente superando anno dopo anno. E ora che la luce dell’Art Week scivola via dietro le palme intrise di lucine natalizie di Lummus Park e le spezzate tropicali anni Venti dell’Art Déco District, si sta già guardando al futuro. Per il 2023 sono previste decine di nuove aperture in città, dal grattacielo del Grand a Miami Beach Hyatt (proprio di fianco alla fiera) all’espansione del quartiere della moda a Midtown, fino al futuristico Regatta Harbour a Coconut Grove. Dinamismo patologico e milioni compulsivi che possono far girare la testa. Ma qui è tutto normale. Partecipare ad Art Basel Miami costa tra i 100 e i 400 mila dollari per galleria, compresi di stand, vitto, alloggio, trasporti e tutto quello che serve per vendere le opere. In qualche modo bisogna pur rientrare con le spese. E guadagnarci. E ritornare. La serenità dell’oceano dopo la tempesta della fiera è impagabile.