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Progetto (s)cultura III: Salvatore Arancio: “la fisicità della materia mi ha cambiato”

Salvatore Arancio, We Don’t Find The Pieces They Find Themselves, Vedute dell’allestimento al MIC, ph. Andrea Rossetti
Cosa s’intende per scultura oggi? Questa nuova rubrica prova a rispondere attraverso le voci di alcuni tra i più interessanti artisti italiani. In occasione della sua mostra al MIC di Faenza abbiamo intervistato Salvatore Arancio

Nell’ultima mostra di Salvatore Arancio “We Don’t Find The Pieces They Find Themselves” (MIC Faenza, 12 novembre 2022 – 8 gennaio 2023, a cura di Irene Biolchini) storia e presente si incontrano attraverso la creatività e la ricerca: frammenti di ceramica bombardati della collezione del Mic di Faenza trovano nuova vita nel lavoro dell’artista, coadiuvato dalle restauratrici del museo. Lo abbiamo intervistato per Progetto (s)cultura.

La tua mostra “We Don’t Find The Pieces They Find Themselves”, attualmente in corso presso il Mic di Faenza, si focalizza sui processi di creazione, restauro e conservazione, riflettendo sulla storia della ceramica, sulla sua durabilità e su chi la restaura. Come è nato il progetto?

«La mostra è nata da una conversazione con la direttrice del Mic Claudia Casali. Si parlava da un po’ di fare qualcosa insieme. Alla mia prima visita diciamo così, ufficiale, ho avuto il piacere e l’onore di visitare i lati nascosti di questo splendido museo, i suoi depositi e le aree riservate al restauro. Qui sono rimasto impressionato dai cassoni al cui interno si conservano i frammenti di maioliche e porcellane distrutte. Valentina Mazzotti, la conservatrice del museo, e le restauratrici, mi hanno raccontato come agli albori della seconda guerra mondiale Ballardini, il fondatore della scuola di ceramica e del primo nucleo del museo, pensò di catalogare i pezzi della collezione e di nasconderli sottoterra. Sfortunatamente una bomba che mirava alla ferrovia colpì il museo, abbattendone un’ala. Questo evento tragico è stato, paradossalmente, un’occasione di crescita. Non solo molte e qualificate istituzioni, anche straniere, hanno fatto a gara a donare al museo pezzi nuovi ma, da più di vent’anni a oggi, un team di restauro ha iniziato a ricomporre i cocci che erano stati raccolti e messi da parte. È un’impresa mastodontica, quasi impossibile da immaginare. Mi venne quindi spontaneo domandare a una delle restauratrici come riuscissero a mettere insieme i frammenti e lei, senza pensarci due volte, mi ha risposto: “non siamo noi che mettiamo insieme i pezzi, sono i pezzi che si trovano tra loro”».

Salvatore Arancio, We Don’t Find The Pieces They Find Themselves (fronte)

Il titolo della mostra.

«Esattamente. Questa idea di prendersi cura delle cose – eravamo nel gennaio 2021, nel pieno dell’emergenza Covid – mi piacque. Ho trovato molta poesia in tutto questo. Ho quindi chiesto alle restauratrici di ricreare autonomamente parti di pezzi che avevano restaurato in passato ignorando ciascuna i contributi delle altre, come nella pratica surrealista del cadavre exquis; parti che alla fine io stesso avrei assemblato».

Affascinante. Un intervento esterno, non concordato che conferisce alle forme un senso nuovo.

«Mi affascinava più che altro l’assoluta dedizione delle restauratrici alla causa. Nel mondo dell’arte, chiunque ci tiene a mettere bene in vista il proprio marchio di fabbrica. Loro no. Il loro sogno era riunire i cocci così bene da non lasciar trapelare le linee di frattura».

Tutti i lavori sono nati in questo modo?

«Non tutti. Alcuni sono l’esito di un bando del Ministero della Cultura e della Farnesina, Cantica 21, grazie a cui ho realizzato un video e una scultura, lavorando insieme, per quest’ultima, alla Bottega Gatti di Faenza. Il video è composto da visioni dei luoghi, delle opere, dei frammenti, insieme a momenti di lavoro, racconti, metodologia e stimoli che ispirano le restauratrici. Le sculture in ceramica smaltata sono state invece realizzate a quattro mani durante una serie di workshop con le restauratrici, annullando ogni ordine gerarchico tra artista e artigiano».

Salvatore Arancio, We Don’t Find The Pieces They Find Themselves, Vedute dell’allestimento al MIC, ph. Andrea Rossetti

Le opere seguono quindi il tuo modus operandi solito: entrare in risonanza con artigiani che collaborano con te.

«La collaborazione è sempre uno scambio. Uno scambio che non mi stanco di cercare. Pensa che non ho uno studio mio: preferisco appoggiarmi ad altre realtà, appositamente scelte per ragioni non solo logistiche: frequentando certe botteghe è facile imbattermi in artigiani che magari hanno speso l’intera loro esistenza a migliorare una tecnica, di cui voglio impratichirmi. Non si tratta però mai, semplicemente, di prendere ciò che serve e di andarsene via. Lo scambio è sempre orizzontale, è un dare e avere. Il risultato, il più delle volte, sono percorsi in cui le diverse attitudini, mie e di quelli che lavorano con me, si sovrappongono e si intrecciano tra loro».

Anni fa, sempre a Faenza, hai realizzato un workshop con gli studenti di secondo livello in Design del prodotto, in cui sei partito dal libro La botanica parallela di Leo Lionni: una scienza immaginaria in cui “le piante prima di esser piante sono parole”. Anche nella tua scultura, che contamina la realtà e il sogno, le forme, prima di essere tali, sono sculture?

«Direi che prima di tutto sono immagini. Immagini di giardini, di siti geologici, di musei di scienze naturali, o rubate dal web. Un misto di memorie spontanee e di memorie coltivate, legate ai temi specifici di cui mi vado occupando. E tuttavia quasi mai esse sono preordinate in partenza. Spesso l’incontro col materiale cambia tutto».

In un colloquio con Irene Biolchini hai dichiarato che la ceramica ti ha liberato dalle regole, e che questo è stato possibile “anche per via del materiale stesso, che rimanda alle feci, a qualcosa di sporco: il manipolarlo ti riporta a superare il tabù”.

«Mi riferivo al liberarmi dalla ipertecnicità delle mie prime fotografie. Un lavoro quasi agli antipodi di quello ceramico, fondato sull’ordine e che si esplica in maniera asettica. Non l’ho mai rinnegato, ma la fisicità della materia mi ha cambiato».

Salvatore Arancio, We Don’t Find The Pieces They Find Themselves (film still)

Qual è il tuo rapporto con la tradizione?
«La tradizione è il presente. Non tenerne conto è impossibile. Essa va compresa ma, allo stesso tempo, dimenticata. Altrimenti rischia di diventare un’influenza dominante a livello tecnico, stilistico. Un vero e proprio freno alla tua creatività».

Alcune tue opere ricordano il passato.
«Quando ho iniziato a lavorare la ceramica non sapevo nulla della sua storia. Non sapevo, ad esempio, che Fontana fosse stato un ceramista. Solo più tardi mi sono accorto di alcune possibili somiglianze e parentele sorte in modo del tutto spontaneo. A ricordare il passato, anzi a fare copia e incolla dal passato, trovo che oggi sia molto spesso piuttosto la pittura».

Ultimamente, specie dopo la Biennale del 2017, hai preso l’abitudine ad esporre in Italia: che differenze tra l’ambiente italiano e quello londinese, in cui sei di casa?
«Principalmente una: a Londra si fa molto più rete».

Salvatore Arancio, We Don’t Find The Pieces They Find Themselves (film still)

A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?

«Mi sto dedicando a tre progetti. A febbraio 2023 la mostra che ho tenuto alla Whitechapel di Londra nel 2019 verrà trasferita al Teylers Museum di Haarlem, in Olanda. Poi lavorerò a un video e creerò delle sculture, ispirate al mondo sottomarino, che faranno parte di una mia personale allo chateau di Tournon-sur-Rhône. Il video è stato girato all’interno di un’industria che lavora la porcellana per creare conduttori elettrici usati a scopi industriali. Se ci riesco, realizzerò le mie prime opere in questo materiale. Quest’altra mostra è programmata per il giugno 2023. Infine grazie al bando ministeriale PAC che abbiamo vinto col Macte di Termoli, vi terrò una mostra nel 2024. Il soggetto è Bruno Weber, un outsider artist che, in un parco a tema nei pressi di Zurigo, ha trasformato la fantasia in realtà. Visitai quel parco nel 2015, e vi girai un video, che verrà rielaborato. Sto anche cercando di partire dalla sua visione scultorea per creare la mia».

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