Alla Paula Cooper Gallery è stata inaugurata un’ampia antologica dedicata a Luciano Fabro (1936, Torino – 2007, Milano) che occupa gli entrambe gli spazi newyorchesi della galleria (534 & 521 West 21st Street, fino al 23 giugno). Si tratta della prima mostra di Fabro negli Stati Uniti negli ultimi otto anni e, soprattutto, la prima mostra da Paula Cooper da quando la galleria ha annunciato la rappresentanza dell’artista in collaborazione con l’Archivio Luciano e Carla Fabro nel 2021.
«Noto per la sua sensibilità poetica e visiva e per le sue forme intuitive, – ha spiegato la galleria – Fabro è stato una figura centrale nel movimento di ridefinizione della scultura nell’Italia del dopoguerra. Strettamente associato all’Arte Povera e incluso nella prima mostra del gruppo a Genova nel 1967, Fabro si descriveva come l'”eretico” del movimento, posizione che gli permetteva di avere un senso ampio e collettivo della cultura che si estendeva al di là di una singola nazione o di un periodo di tempo per abbracciare la natura, la mitologia e l’antichità. Come i suoi compagni poveristi, le pratiche ibride di Fabro e la radicale tautologia dei materiali hanno suscitato paragoni azzeccati con le tendenze antiformali dell’arte concettuale e processuale. E se molte opere di Fabro si allineano al sentimento di smaterializzazione che aleggiava negli anni Sessanta e Settanta, egli si distingue per l’inappellabile sensualità delle sue sculture, ricche di tradizioni del passato classico. Il compianto Germano Celant, da sempre sostenitore dell’opera di Fabro, ha sintetizzato elegantemente questa contraddizione: “Fabro era disposto ad agitare le acque dell’avanguardia con la sua totale indulgenza nei confronti dei piaceri barocchi”[Germano Celant, “Luciano Fabro: The Image That Isn’t There,” Artforum vol. 27, no. 2, October 1988, p. 108]».
«Le opere della serie Computer di Fabro (1988-1996) – ha proseguito la galleria – occupano la grande galleria al 534 West 21st street. Realizzati con sezioni di intelaiatura metallica e aste metalliche colorate, questi rilievi scultorei sottilmente eleganti “sembrano volare nell’aria”, secondo le parole dell’artista [Luciano Fabro with Martin Schwander in Luciano Fabro, exh. cat. (Basel: Kunstmuseum Lucerne & Wiese Verlag, 1991), p. 203]. La mostra include anche sculture della celebre serie Piedi (1968-2000) di Fabro, esposte accanto alla delicata e poco appariscente installazione a parete Penelope (1972), un’accoppiata che fu esposta per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 1972. L’opera principale di Fabro, L’Infinito (1989), occuperà la galleria al 521 West 21st Street. Un cavo d’acciaio industriale è posizionato direttamente sul pavimento e attorcigliato a formare il simbolo matematico dell’infinito, e i suoi archi e l’asse centrale sono sostenuti da otto pezzi di marmo Calacatta. “L’idea dell’infinito non è tutto […]”, ha detto Fabro di quest’opera, “C’è di più. C’è qualcosa che va oltre l’infinito” [Luciano Fabro in “The Art Returns to the Art,” interview with Jan Braet, in Knack, Brussels, June 1989, pp. 163-166]. Le cinquantaquattro piastrelle di ceramica che compongono Ceramiche (1981) di Fabro sono appese alle pareti circostanti. È la prima volta che L’Infinito e Ceramiche vengono esposti insieme dopo la mostra personale di Fabro, acclamata dalla critica, al Centre Pompidou di Parigi nel 1996».